Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 12-10-2011) 25-10-2011, n. 38694 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 22/2/2011 il Tribunale di Catanzaro, adito dall’indagato D.D. in sede di riesame ai sensi dell’art. 309 c.p.p., confermava la misura cautelare della custodia in carcere, inflitta al predetto con ordinanza in data 10/1/2011 del G.I.P. del Tribunale in sede per l’ipotesi di reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 (capo 24 della rubrica).

L’indagine prendeva le mosse dalle operazioni di monitoraggio dell’utenza telefonica in uso a N.A. in riferimento ad una presunta vicenda usuraria in danno del predetto, dalle quali emergeva come costui, trovato in possesso di gr. 22,2 di cocaina e di altro materiale, abitualmente utilizzato per il confezionamento di dosi di stupefacente, fosse dedito ad una intensa attività di spaccio e come intorno a lui gravitassero una serie di altri personaggi, tutti coinvolti a vario titolo nel traffico illecito da lui gestito. Nel prosieguo delle investigazioni veniva attivato un servizio di riprese audio-video all’interno di un capannone, ubicato in (OMISSIS) ed in uso ai fratelli S., che emergeva essere la base logistica dell’organizzazione, utilizzata dai sodali per l’occultamento e il confezionamento di quantitativi di stupefacenti e dai dati risultanti da tale attività di monitoraggio telefonico ed ambientale, oltre che di localizzazione del territorio l’ipotesi investigativa prendeva forma e si poteva pervenire alla identificazione degli indagati attraverso la intestazione delle singole utenze, il riconoscimento ad opera degli operanti delle voci captate e la capillare conoscenza dei rapporti di parentela o affinità. In molti casi i contenuti delle captazioni, pertinenti al narcotraffico erano oggettivamente riscontrati dagli esiti dei servizi di o.p.c., dalle operazioni di perquisizione, sequestro di stupefacenti e arresti dei corrieri e dei detentori di stupefacenti e dalle dichiarazioni rese dagli acquirenti della droga. Si perveniva così alla prova indiziaria dell’esistenza di una stabile struttura associativa, connotata di quei requisiti tipici della fattispecie di cui all’art. 74 cit., attiva nel settore della cocaina e dell’hashish, avente sede e basi logistiche per il deposito, la custodia, la manipolazione e l’occultamento in (OMISSIS) e in (OMISSIS) presso domicili, locali e luoghi di pertinenza a vario titolo nella disponibilità dei sodali, operante stabilmente in aree della provincia di Vibo Valentia, quale epicentro del traffico, con fonti di approvvigionamento in aree territoriali nevralgiche del narcotraffico calabrese, nonchè nell’interland milanese, utilizzando quali mezzi di comunicazione apparati telefonici cellulari, finalizzata alla commercializzazione di numerosi quantitativi anche ingenti di stupefacenti, appellati in gergo: pitta, caramellino, legno, gomma, nafta bulloni, pezzi di ricambio etc. ….

In motivazione il giudice del riesame condivideva il giudizio di gravità indiziaria, delineatosi a carico del D.D., cui era assegnato il ruolo di partecipe del sodalizio, pienamente consapevole della natura illecita delle attività da questo gestite, in continuo contatto con il N. e L.G., personaggi di spicco dell’organizzazione, rispetto ai quali fungeva spesso da intermediario per le cessioni al minuto, veicolando le richieste di sostanza stupefacente di volta in volta avanzate dai tossicodipendenti con i quali era in contato. Valorizzava a sostegno della ritenuta intraneità dell’indagato al sodalizio il ruolo svolto in seguito all’arresto del N., gestendo per conto di quest’ultimo e su sua indicazione le operazioni di approvvigionamento di droga, nonchè i canali di smercio della stessa su P. C., gestendo il contatto diretto di G.C. presso il L.G. al fine di prelevare lo stupefacente commissionato; richiamava il contenuto di una conversazione intercorsa tra l’indagato e il N., nel corso della quale il primo sollecitava il suo interlocutore, in stato di detenzione, ad affrettarsi ad assolvere il suo debito con la giustizia, essendo impellente la necessità di ripristinare l’organigramma del gruppo,e adoperando una espressione altamente eloquente "ricongiungere la squadra", in tal modo evocando il contesto associativo, cui entrambi appartenevano. Quanto al quadro cautelare evidenziava l’esigenza cautelare ex art. 274 c.p.p., lett. c), richiamando il profilo delinquenziale dell’indagato, non altrimenti tutelabile se non con la misura cautelare e evocava la presunzione legale della adeguatezza della massima misura cautelare in forza del titolo del reato.

Contro tale decisione ricorre l’indagato personalmente e con il primo motivo a sostegno della richiesta di annullamento ne denuncia il vizio di motivazione, censurando i giudici del merito, i quali si erano limitati ad una sommaria, superficiale e parcellizzata valutazione delle circostanze e degli elementi di fatto acquisiti, da cui avevano tratto il proprio convincimento, senza operare una necessaria, quanto doverosa e approfondita disamina degli stessi, nonostante la loro insufficienza a provare l’inserimento del ricorrente nell’associazione, dedita al narcotraffico.

Lamenta con il secondo motivo l’inosservanza e erronea applicazione della legge penale in riferimento alla corretta valutazione degli elementi costitutivi del reato ex art. 74 D.P.R. cit., che il Tribunale aveva operato senza tener conto dei criteri e dei canoni interpretativi dettati dalla giurisprudenza i legittimità in materia, nonchè il vizio di motivazione in riferimento alla valutazione della gravità del quadro indiziario, non avendo il Tribunale spiegato l’iter argomentativo seguito per ritenere che il D.D. nelle conversazioni intercettate fosse identificabile nell’indagato ovvero evidenziato gli elementi, comprovanti il suo stabile inserimento nel contesto associativo in mancanza di un suo coinvolgimento in singoli episodi delittuosi, riconducibili all’associazione, non potendo il contenuto delle conversazioni captate sull’utenza del ricorrente e valorizzate dal giudice del riesame, assurgere a dignità di indizi gravi, suscettibili dell’applicazione della massima misura cautelare. Anche se il D. avesse gravitato intorno ad ambienti criminali e fosse dagli organizzatori del sodalizio conosciuto e utilizzato per incarichi vari, non per questo si poteva ritenere acquisita la prova della sua intraneità alla cosca.

Eccepisce con il terzo motivo la nullità per violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3 e per difetto di motivazione di tutti i vari decreti del P.M. o del G.I.P. di autorizzazione o di proroga delle intercettazioni, disposte senza giustificato motivo, utilizzando apparecchiature, appartenenti a privati e non all’ufficio con la conseguente inutilizzabilità delle conversazioni captate.

Il ricorso è inammissibile, siccome fondato su motivi generici, non consentiti e comunque manifestamente infondati.

Difetta di specificità innanzi tutto la censura in ordine alla nullità dei decreti di autorizzazione e proroga delle intercettazioni telefoniche, laddove non indica quali di detti provvedimenti riguardassero la posizione del ricorrente.

Le altre censure sono dirette a ottenere una rilettura delle risultanze processuali e una rivalutazione della consistenza indiziaria e delle circostanze poste dal giudice della cautela a fondamento della custodia cautelare in carcere, condivise e fatte proprie dal Tribunale, come sintetizzate in narrativa con specifico riferimento alle censure formulate dal ricorrente.

Gli argomenti sviluppati dal giudice del riesame danno adeguatamente conto dell’esistenza e operatività dell’associazione finalizzata al narcotraffico, nonchè della partecipazione ad essa dell’indagato e del ruolo ricoperto dal predetto all’interno di tale sodalizio criminoso. Infatti il percorso argomentativo, sebbene riproduca in parte le motivazioni del provvedimento cautelare e ne sintetizza i contenuti significativi e condivisi dal Tribunale, è completo, logicamente corretto e privo di aporie, laddove pone in risalto gli elementi per i quali il D. fosse da ritenersi partecipe dell’organizzazione criminosa e contribuisse consapevolemente alla sua operatività.

Va poi ricordato che il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze in tema di procedimenti incidentali, relativi alla libertà personale non può riguardare la verifica della rispondenza delle argomentazioni, poste a fondamento della decisione impugnata alle acquisizioni processuali, provvedendosi così ad una rilettura degli elementi di fatto, atteso che la relativa valutazione è riservata in via esclusiva al giudice del merito.

Principio quest’ultimo che non può non valere anche per l’asserito travisamento del fatto, riferito alla verifica della consistenza indiziaria e la significato di essa in relazione all’oggetto dell’accusa.

Questa Corte ha già più volte ribadito che il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, dopo le modifiche apportare dalla L. n. 46 del 2005, art. 8, non può consistere in una rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione. Il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di motivazione la prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione del quadro indiziaro.

Del resto la valutazione della gravità indiziaria che – avvenendo nel contesto incidentale del procedimento de libertate, e, quindi, allo stato degli atti, cioè sulla base di materiale conoscitivo in itinere -deve essere orientata ad acquisire non la certezza, ma la elevata probabilità di colpevolezza dell’indagato.

Completezza e coerenza della motivazione, in tale contesto valutativo, rendono dunque inammissibile il sindacato richiesto a questa Corte di legittimità, anche in riferimento al quadro cautelare, nonostante la recente declaratoria di incostituzionalità della norma di cui all’art. 275, comma 3, sul punto.

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *