Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 12-10-2011) 25-10-2011, n. 38693

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 3 maggio 2011 il Tribunale di Lecce confermava il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere a B. M., indagato per concorso in tentata estorsione aggravata D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7 e altro.

Il Tribunale, dalle conversazioni intercettate, desumeva che l’indagato, in concorso con P.M. e P.N., con il benestare di P.C., avevano ideato e attuato un tentativo di estorsione in danno di B.L., titolare di un ristorante, al quale avevano chiesto il pagamento di una somma di 25/30.000 Euro, minacciandolo con l’esplosione contro il suo locale di un ordigno al tritolo e di colpi di pistola.

Contro l’ordinanza la difesa dell’indagato ricorre per cassazione e denuncia:

1. inutilizzabilità dei risultati delle conversazioni intercettate in cui parla l’indagato, perchè i decreti autorizzativi sono stati emessi sulla scorta di elementi acquisiti con intercettazioni illegittimamente raccolte in altro procedimento;

2. inutilizzabilità delle anzidette intercettazioni, perchè la motivazione dei decreti autorizzativi fa riferimento agli indizi desunti da un interrogatorio, privo della sottoscrizione della parte e del verbalizzante, reso da T.M., che, comunque, non offrirebbe elementi idonei a ritenere assolutamente indispensabile l’intercettazione disposta nei confronti dell’indagato;

3. vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi relativi ai reati E, F, perchè la mera presenza dell’indagato alle conversazioni in cui i presunti concorrenti discutono dell’estorsione e dei relativi atti intimidatori non integrerebbe i reati ascritti;

4. vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi relativi al reato G, perchè il Tribunale, in difformità dall’imputazione, ha ritenuto la sussistenza di gravi indizi per la detenzione e porto abusivi di una sola pistola (anzichè due), che sarebbe stata ceduta a tale " S.", anzichè a C.I.;

5. vizio di motivazione sulla sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, atteso che l’affermazione del Tribunale che gli indagati spendevano il nome di P.C. sarebbe smentita dalla lettura delle conversazioni intercettate.

2. I primi due motivi di ricorso sono generici, perchè reiterano censure già proposte nel precedente grado di giudizio senza confrontarsi con le puntuali risposte date dal Tribunale a loro confutazione; sono inoltre manifestamente infondati, perchè il preteso vizio di motivazione, anche ove fosse sussistente, non potrebbe determinare l’inutilizzabilìtà dei decreti autorizzativi (v. Cass., Sezioni U., 25.3.1998, Manno, rv 210610).

Il terzo motivo è inammissibile, perchè propone a questa Corte di legittimità una questione di merito, sulla quale peraltro si è espresso, con ampia a logica motivazione, il Tribunale, osservando che l’indagato non assisteva passivamente ai discorsi di P. N. e P.M., ma vi partecipava manifestando il proprio entusiastico appoggio alle azioni delittuose programmate.

Il quarto motivo è manifestamente infondato, dal momento che nessun pregiudizio è derivato all’indagato dalla delimitazione dell’accusa a una sola pistola, mentre l’individuazione della persona a cui l’arma sarebbe stata successivamente ceduta è questione palesemente irrilevante nell’economia del reato.

Il quinto motivo è manifestamente infondato, perchè l’ordinanza impugnata ha correttamente fondato la sussistenza dell’aggravante prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7, sulle modalità impiegate per costringere la vittima a soggiacere all’estorsione, modalità che, essendo tipiche dei gruppi criminali organizzati, evocavano immediatamente la forza intimidatrice propria di un’associazione mafiosa.

Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta equa, di Euro mille alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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