Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-04-2012, n. 5798 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda di M.D.G. avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimatogli, dalla Banca Popolare di Crotone, in data 13 dicembre 1994 dopo altro licenziamento, comunicato nel mese di novembre 1991, annullato per violazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 con sentenza passata in giudicato il 31 agosto 1994.

La Corte territoriale, rilevato che non costituivano oggetto di contestazione le affermazioni del primo giudice secondo le quali i fatti contestati nel secondo recesso erano gli stessi del primo e che La mancata reintegrazione, a seguito dell’annullamento di tale ultimo licenziamento, aveva impedito qualsiasi affidamento da parte del lavoratore circa la rinuncia del datore di lavoro ad esercitare il proprio potere di recesso, riteneva tempestivo il licenziamento impugnato. Tanto, assumeva la Corte del merito, in quanto trattandosi di rinnovazione di licenziamento annullato per vizi di forma, il ritardo della contestazione poteva costituire un vizio del procedimento disciplinare solo se incidente sul diritto di difesa del lavoratore. Conseguentemente, poichè il M., con la prima contestazione, era venuto a conoscenza dei fatti e si era difeso in modo esaustivo nel merito, in termini sostanzialmente coincidenti con quelli dedotti in sede d’impugnazione nel secondo licenziamento, tenendo conto che erano trascorsi solo pochi mesi dalla contestazione e dal passaggio in giudicato della sentenza di appello sul primo licenziamento, quello impugnato doveva considerarsi tempestivo.

Riteneva, poi, la Corte territoriale che i comportamenti, come accertati alla stregua delle emergenze istruttorie, protratti nel tempo e posti in essere nella filiale dal dipendente che rivestiva la posizione apicale, consistiti nel permettere la gestione di conti con abnormi scoperture, anzichè curarne l’interruzione per evitare ulteriori e maggiori danni alla banca e consentire una riduzione solo apparente dell’esposizione debitoria, costituivano violazione degli obblighi contrattuali e disciplinari imposti al dipendente ed integravano, per la loro gravità, di per sè giusta causa di licenziamento. Inoltre, rimarcava la Corte del merito, gli ulteriori addebiti, anch’essi provati, mossi al M. caratterizzavano la condotta dei dipendente come comportamento assunto in spregio alle procedure che avrebbe dovuto osservare e fare osservare.

Avverso questa sentenza il M. ricorre in cassazione sulla base di cinque censure.

Resiste con controricorso la parte intimata che deposita anche memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Con la prima censura il M., deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., art. 324 c.p.c., L. n. 300 del 1970, art. 7, e violazione del principio ne bis in idem, assume che la Corte del merito, nel valutare come tempestiva la contestazione del primo licenziamento, ha violato il giudicato formatosi sulla invalidità della prima contestazione.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione in relazione alla L. n. 300 del 1970, art. 7, ed agli artt. 2119, 1175, 1375 e 2697 c.c., ed in relazione alla relatività del principio d’immediatezza, sostiene la inadeguatezza della motivazione della sentenza impugnata non essendo esplicate, in modo completo, le ragioni di dissenso rispetto alle argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado in punto di precedente valida contestazione.

Nè, aggiunge il ricorrente,la Corte del merito svolge un indagine sulla tempestività della prima contestazione ovvero tiene conto che si tratta di contestazione intervenuta a quattro anni dalla conoscenza dei fatti.

Le censure, che in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico-giuridico vanno trattate unitariamente, sono infondate.

Innanzitutto mette conto rilevare che la Corte territoriale, per quanto attiene il profilo della rinnovazione del licenziamento, si è attenuta a quanto sancito da questo giudice di legittimità secondo il quale il rinnovo da parte del datore di lavoro di un licenziamento nullo per vizio di forma in quanto intimato prima del decorso del termine di difesa del lavoratore (rinnovo che si risolve nel compimento di un negozio diverso dal precedente) può intervenire validamente solo nel rispetto dei requisiti formali imposti dell’art. 7 stat. lav. e dalla disciplina collettiva, e richiede, in particolare, una nuova contestazione degli addebiti posti a suo fondamento. Tuttavia in tal caso la tempestività della prima contestazione (in assenza di un’autonoma tempestività della seconda) conserva la sua efficacia, poichè la violazione del principio dell’immediatezza della contestazione non va valutata in astratto e con esclusivo riferimento al tempo trascorso dal fatto, ma riscontrata in concreto in relazione al determinarsi, in ragione del tempo trascorso, di un comportamento del datore di lavoro incompatibile con la volontà di risolvere il rapporto (Cass. 7 agosto 2003 n. 11911 e Cass. 12 luglio 2002 n. 10177).

Nè può fondatamente criticarsi la sentenza impugnata per non aver i giudici di appello proceduto alla valutazione della tempestività del primo licenziamento atteso che essi motivano in modo congruo, e tenendo conto della funzione propria del principio della tempestività correttamente individuata nella salvaguardia del diritto di difesa, nel senso che non può negarsi la conoscenza dei fatti acquisita dal M. con la prima contestazione per il pregnante rilievo che il primo licenziamento era stato impugnato svolgendo una esaustiva difesa nel merito in termini sostanzialmente coincidenti con quelli dedotti nel presente giudizio.

Si tratta del resto, di un accertamento di fatto, che in quanto adeguatamente motivato, è sottratto al sindacato di questa Corte.

Neppure può assumersi che alla Corte del merito era precluso un siffatto accertamento stante il giudicato formatosi sulla nullità del primo licenziamento per violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7. Invero l’accertamento in parola è completamente estraneo a tale giudicato essendosi questo formato in relazione alla invalidità del licenziamento in ragione dell’esclusivo rilievo secondo cui la contestazione, in violazione della L. n. 300 del 1970, citato art. 7, è stata contestuale alla comminazione della sanzione disciplinare.

Inoltre va rimarcato che al fine di adempiere all’obbligo della motivazione il giudice di appello non è tenuto a valutare tutte le argomentazioni poste a base della sentenza di primo grado, essendo, invece, sufficiente che il giudice dell’impugnazione, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.

Da ultimo, giova sottolineare, che la Corte di Appello da conto, ai fini della valutazione della tempestività della contestazione del secondo licenziamento, che questa va valutata in relazione al passaggio in giudicato della sentenza di appello che si è pronunciata sul primo licenziamento, non potendosi ragionevolmente negarsi alla Banca di volere attendere l’esito del proprio appello proposto avverso la decisione di primo grado, con la conseguenza che vi è stato uno spatium deliberandi non di quattro anni, ma di pochi mesi. Nè su tale punto vi è specifica censura.

Con la terza critica il M., prospettando violazione degli artt. 2119 e 2106 c.c., assume che la Corte territoriale: 1. non ha valutato la condotta del lavoratore nel suo contenuto obiettivo omettendo qualsiasi accertamento in ordine alle condotte irregolari effettivamente imputabili ad esso ricorrente; 2. non ha preso in considerazione l’elemento soggettivo e l’assenza di precedenti disciplinari; 3. non ha adeguatamente valutato la proporzionalità della sanzione.

Con la quarta censura il M., allegando vizio di motivazione in relazione agli artt. 2119, 1175 e 1375 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 1, sostiene la erroneità della valutazione delle emergenze istruttorie.

Con il quinto motivo il M., denunciando vizio di motivazione in relazione agli artt. 115 e 136 c.p.c., artt. 2697 e 2729 c.c., assume che la Corte del merito non ha accertato la regolarità delle operazioni da esso ricorrente effettuate e non ha congruamente motivato in ordine alle sue istanze istruttorie.

Anche questi motivi, che per la loro stretta interdipendenza vanno tratti unitariamente, sono infondati.

Non sono, invero, condivisibili le critiche mosse, sotto il profilo della violazione di legge, alla sentenza impugnata risultando questa rispettosa dei parametri normativi relativi alla giusta causa di licenziamento ed alla proporzionalità della sanzione disciplinare avendo la Corte del merito valutato nella loro obiettività i fatti contestati, l’elemento soggettivo del comportamento tenuto dal lavoratore, il ruolo rivestito dallo stesso nella realtà aziendale, l’affidabilità futura che il datore di lavoro poteva riporre nelle prestazioni di lavoro e quindi, conseguentemente, la proporzionalità della sanzione.

Infatti la Corte del merito, dopo aver rimarcato la sussistenza di taluni fatti addebitati e consistiti nel permettere la gestione di conti con abnormi scoperture, anzichè curarne l’interruzione per evitare ulteriori e maggiori danni alla banca e consentire una riduzione solo apparente dell’esposizione debitoria, ritiene che tali fatti siano da soli idonei a giustificare il licenziamento in quanto, oltre alla gravità intrinseca dei fatti stessi, vi è il comportamento pervicace del lavoratore che ha avuto una condotta protrattasi nel tempo resa ancora più grave dalla posizione apicale che egli ricopriva nella filiale dove avrebbe dovuto far rispettare, oltre che lui stesso rispettare, le regole ed i procedimenti da lui violati. Nè la predetta Corte, manca di rimarcare come gli ulteriori addebiti, anch’essi provati, mossi al M. caratterizzano la condotta del dipendente come comportamento assunto in spregio alle procedure che avrebbe dovuto osservare e fare osservare.

Quanto alla denunciata erronea valutazione delle emergenze istruttorie ed alla mancata ammissione delle istanze istruttorie osserva il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata è su tali punti coerente e convincente. Del resto è al giudice del merito che spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità del fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge), mentre al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito (Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e 27 luglio 2008 n. 2049).

In particolare, poi, relativamente all’assunta non congrua motivazione della sentenza impugnata in punto di mancata ammissione di prova per testi, ritenuta dalla Corte irrilevante sotto molteplici profili, vale la pena di sottolineare, altresì, che il ricorrente non allega la decisività di tale prova, ovverosia non deduce che ove ammessa tale prova avrebbe sicuramente portato ad una soluzione diversa della controversia.

Nè può sottacersi, infine, che l’assunta regolarità delle operazioni effettuate è esclusa dall’accertamento, supportato da adeguata e logica argomentazione, svolto dalla Corte del merito circa la sussistenza degli addebiti mossi al ricorrente.

Il ricorso in conclusione va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in 60,00, per esborsi ed Euro 3500,00 per onorario oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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