Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 12-10-2011) 25-10-2011, n. 38656

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 14/10/2010 la Corte di Appello di Trieste in riferma della sentenza in data 19/3/2007, appellata dal P.M., con la quale il Tribunale di Pordenone aveva assolto B.M. perchè il fatto non sussiste dal reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore A., omettendo di versare – o versando parzialmente – l’assegno alimentare, disposto in sede di separazione dal Tribunale, dichiarava l’imputato colpevole del reato ascritto e lo condannava alla pena di giustizia oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile.

In motivazione la corte territoriale valorizzava a sostegno del giudizio di colpevolezza le dichiarazioni accusatorie della parte offesa, la quale aveva sempre sostenuto che l’ex coniuge non aveva adempiuto ai propri obblighi dal 2003 fino al mese di Ottobre 2004, l’aveva costretta ad agire in via giudiziale per il recupero coattivo dei crediti in favore della figlia, ed aveva privato la minore di qualsiasi assistenza materiale e morale.

Osservava che l’allegato stato di disoccupazione non era sufficiente ad escludere il dovere del genitore – che nel caso in esame aveva formato una nuova famiglia – di contribuire al soddisfacimento dei bisogni della prole.

Contro tale decisione ricorre l’imputato a mezzo del suo difensore, il quale a sostegno della richiesta di annullamento articola due motivi. Con il primo motivo ne denuncia la nullità per erronea applicazione della legge penale e per vizio di motivazione in riferimento:

1) alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, censurando l’errore della corte di merito, che non aveva assolutamente indagato su tale profilo del reato, limitandosi ad assumere l’inadempimento doloso in assenza di una conclamata condizione di indigenza ed in presenza di un adempimento, sia pure parziale, da parte dell’obbligato, e di altri soggetti disponibili, a provvedere alle esigenza della minore;

2) alla sussistenza della capacità economica dell’obbligato, che nonostante la fragilità delle condizioni economiche in cui versava, aveva sempre e puntualmente provveduto all’adempimento di quanto dovuto;

3) alla inesistenza dello stato di bisogno, del soggetto beneficiario, non avendo il giudice del gravame seriamente indagato sul requisito dei mezzi di sussistenza, da intendersi quali strumenti idonei al soddisfacimento delle primarie esigenze quotidiane, quali vitto, alloggio e di quelle complementari, quali l’abbigliamento i libri di istruzione etc., i quali non erano mai mancati alla minore.

Con il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per difetto di motivazione in riferimento al trattamento sanzionatorio, ed in particolare alla quantificazione della pena, che ingiustificatamente si discostava dal minimo edittale, alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale e all’eccessiva quantificazione dell’importo della provvisionale.

Il ricorso è inammissibile Il primo motivo ripropone sostanzialmente le medesime censure, poste a fondamento dei motivi di appello, senza prospettare elementi di giudizio nuovi o apprezzabili, e senza alcun riferimento alle valutazioni in proposito espresse dal giudice del gravame, ma anche perchè manifestamente infondato, laddove mira a contestare valutazioni di merito sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato (stato di bisogno e capacità economica), e la corretta affermazione di principio, secondo cui lo stato di bisogno non viene meno se il beneficiario riesca a superare la sua indigenza con l’aiuto di altri e la capacità contributiva dell’obbligato deve comunque ritenersi sussistente sin quando quest’ultimo non dimostri rigorosamente di essere impossibilitato a svolgere qualsiasi attività lavorativa, prova, questa che il giudice di merito nel caso in esame ha dimostrato non essere stata raggiunta.

Il secondo motivo, a prescindere dalla sua genericità, tende a sottoporre al giudizio di legittimità questioni di mero fatto e valutazioni discrezionali in ordine all’entità della pena, rimesse alla esclusiva competenza del giudice di merito, che nel caso in esame ha fatto corretta applicazione dei criteri indicati nell’art. 133 c.p., e ha adeguatamente giustificato il diniego del beneficio della sospensione condizionale, esprimendo una motivata prognosi negativa di ricaduta nel reato, valorizzando la pervicace condotta omissiva, tuttora perdurante.

Quanto alla misura della provvisionale imposta, la censura non è valutabile in questa sede e può trovare adeguata risposta nella più opportuna sede civile.

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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