Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 12-10-2011) 25-10-2011, n. 38655

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza dell’8 marzo 2011 la Corte d’appello di Reggio Calabria confermava quella di primo grado che aveva dichiarato U. N. colpevole del reato di calunnia condannandolo alla pena di anni due e mesi sei di reclusione.

Contro la sentenza ricorre l’imputato che denuncia mancanza di motivazione, perchè la sentenza rinvia per relationem alle argomentazioni del giudice di primo grado senza curarsi di rispondere alle specifiche censure formulate nell’atto d’appello, con cui contestava l’attribuzione del fatto e la ritenuta sussistenza del dolo.

Lamenta altresì la violazione degli artt. 62 bis e 133 c.p., perchè il giudice ha negato la concessione delle attenuanti generiche a causa dei precedenti penali.

2. Il ricorso è manifestamente infondato.

La Corte d’appello ha riproposto la ricostruzione e valutazione del fatto operate dal giudice di primo grado, osservando che la falsità della denuncia di smarrimento dell’assegno bancario – da cui è scaturita l’accusa di calunnia – era provata dalla testimonianza del prenditore F.G. (che aveva dichiarato di avere ricevuto il titolo in pagamento del prezzo di un’autovettura venduta al ricorrente), avvalorata dalla circostanza che l’assegno recava la sottoscrizione della moglie del ricorrente.

Dalla citata testimonianza i giudici di merito hanno dunque tratto la prova sicura della falsità del fatto denunciato e della consapevolezza, in capo al denunciante, di esporre all’accusa di ricettazione colui che quell’assegno avesse posto all’incasso.

Quindi affermazione di responsabilità e condanna a pena congrua, con diniego delle attenuanti generiche motivato sulla base dei numerosi precedenti penali.

A tale decisione l’imputato replicava con un atto d’appello contenente censure assolutamente generiche, reiterate nel ricorso odierno con l’accompagnamento della citazione di massime prese dalla giurisprudenza di legittimità prive, però, di una specifica correlazione con il caso concreto.

Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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