Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 12-10-2011) 25-10-2011, n. 38654 Associazione per delinquere

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 19/2/2007 il G.U.P. del Tribunale di Firenze dichiarava S.E., S.D. e R.I., cittadini albanesi, colpevoli del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, per essersi associati allo scopo di commettere più delitti di importazione, illecita detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti del tipo eroina e cocaina in rilevanti quantitativi, acquisite sul mercato internazionale e immesse sul territorio fiorentino, agendo i primi due insieme ad altri coimputati quali promotori e dirigenti dell’organizzazione e il terzo quale partecipe, nonchè di vari episodi di spaccio ex artt. 81-110 c.p. -D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73; S.R., D.S. e M. K., cittadini anch’essi di nazionalità albanese, di concorso negli stessi episodi di spaccio, e li condannava ciascuno alla pena di giustizia, come da dispositivo.

Fondava il giudice di primo grado l’affermazione della colpevolezza sul contenuto delle intercettazioni telefoniche, da cui emergevano i contatti tra i suddetti imputati ed altri coimputati, le richieste di pagamento delle forniture da parte dei menzionati cittadini albanesi, il pagamento da parte degli acquirenti, nonchè sull’esito delle operazioni di o.p.c. e sequestro di stupefacenti poste in essere dalla p.g.. formulando un giudizio positivo in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo, oltre che dei reati satelliti.

A seguito di gravame degli imputati la Corte di Appello di Firenze, condivideva la ricostruzione dei fatti operata in prime cure e i rilievi e le argomentazioni del giudice di primo grado a conferma del giudizio di colpevolezza, passando in rassegna i singoli episodi di acquisto e cessione di stupefacenti e analizzando le censure mosse nei motivi di appello e in parziale riforma della sentenza impugnata rideterminava in misura inferiore la pena inflitta a ciascuno di essi, come da dispositivo, confermando nel resto.

Contro tale decisione ricorrono gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori e ne chiedono l’annullamento.

In difesa di S.E., S.D. e S. R. l’avv. Filippo Cei denuncia con i primi due motivi l’erronea applicazione della legge penale in riferimento alla ritenuta sussistenza dell’ipotesi associativa e censura l’errore dei giudici del merito nella valutazione degli elementi costitutivi del reato ex art. 74 D.P.R. cit., ritenuto pur in assenza dei requisiti di una struttura organizzata, volta alla commissione di reati concernenti gli stupefacenti, della stabilità del gruppo, dell’effettiva ripartizione dei compiti tra gli associati in relazione al programmato assetto criminoso da realizzare, della consapevolezza in ciascuno dei compartecipi di contribuire attivamente alla vita dell’associazione. Con il secondo motivo e terzo motivo eccepisce il difetto di motivazione e l’erronea applicazione della norma concorsuale ex art. 110 c.p., in riferimento alla posizione della S.R. e sostiene come vi fosse una palese difformità tra la motivazione e il dispositivo della sentenza impugnata, laddove a fronte di un capo di imputazione che coinvolgeva tutti e tre i fratelli S. nell’ipotesi associativa e nei reati satelliti, la donna era stata considerata estranea all’associazione e colpevole a solo titolo di concorso interno nel reato di spaccio, senza considerare che l’accordo tra i concorrenti deve avvenire anteriormente o contemporaneamente alla commissione del reato, laddove nel caso in esame la R. di fatto e inequivocabilmente non risultava mai essere intervenuta nei contestati episodi nè prima, nè durante l’azione qualificante la condotta.

In difesa di R.I. l’avv. Filippo Viggiano denuncia la nullità della sentenza per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, sancito dall’art. 522, comma 1 e art. 521 c.p.p., comma 2, e sostiene che erroneamente i giudici del merito avevano ritenuto l’insussistenza di una unica associazione, affermando che si era in presenza di due contesti associativi, di fatto sostituendo all’associazione delineata nel capo di imputazione, che prevedeva quattro persone al vertice e alla base un’articolata rete di mercato, di cui faceva parte il ricorrente, altra e distinta associazione, contrassegnata da una struttura particolare e diversa a piramide rovesciata, costituita da due vertici e un subordinato con la rete di spaccio all’esterno dell’associazione, in tal modo contravvenendo al principio espresso di recente nella giurisprudenza di legittimità, che vieta al giudice di modificare nella fase della cautela e quindi a fortori nella fase dibattimentale il fatto contestato.

Con il secondo motivo lamenta il vizio di motivazione in riferimento alla sussistenza del reato e censura l’errore del giudice del gravame, che aveva travisato le doglianze difensive e aveva omesso di motivare su punti nodali della fattispecie criminosa. Sostiene in particolare, quanto alla diversa ipotesi associativa ritenuta un sentenza che era stato travisato il contenuto della doglianza che non segnalava solo la ristrettezza temporale della partecipazione associativa e l’incoerenza di una struttura composto solo da tre persone, di cui due di esse in qualità di vertice, ma contestava anche il requisito dell’indeterminatezza del programma criminoso, conseguente alla reggenza temporanea, nonchè al dato fattuale che il terzo associato lo S.E. comparisse solo a Novembre. Ad avviso della difesa la corte di merito non aveva motivato sul perchè l’associazione sussistesse nel pur breve periodo in cui non erano presenti tutti e tre soggetti, sul perchè a dispetto della sua assenza dalle scene lo S. doveva ritenersi legato agli altri due sin dai momenti precedenti. Inoltre non era stata data alcuna risposta alla doglianza circa l’altro dato fattuale, che legava il R. al solo associato S.D. e quindi la necessità di dimostrare che il ricorrente fosse a conoscenza del vincolo che legava i due fratelli.

In difesa di D.S. l’avv. Savino Lupo nell’unico motivo denuncia la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 86, in riferimento alla misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato e il vizio di motivazione nella valutazione del requisito della pericolosità sociale.

Infine in difesa di M.K. l’avv. Stefano Raddi denuncia con il primo motivo la violazione dell’art. 597, c.p.p., comma 3, in riferimento al divieto di reformatio in peius, avendo la corte fiorentina, pur accogliendo il gravame in ordine al trattamento sanzionatorio, aveva ridotto la pena detentiva, applicando una pena pecuniaria superiore a quella irrogata dal G.I.P.; con il secondo motivo lamenta la violazione degli artt. 133 e 81 c.p., nonchè il vizio di motivazione nella individuazione della violazione ritenuta in concreto più grave, nella determinazione della pena base, che del tutto irragionevolmente non teneva conto delle pur riconosciute condizioni di disagio morale dell’imputato, nella determinazione del quantum attribuito a titolo di continuazione, nella determinazione della riduzione operata in forza dell’applicazione dell’art. 62 bis c.p., ingiustificatamente non applicata nella sua massima estensione.

I ricorsi, ad eccezione di quello di M.K., che va accolto solo parzialmente, come più avanti si dirà, non hanno fondamento e vanno rigettati.

Partendo dall’esame del più grave reato associativo, va sgomberato il campo dall’eccezione di nullità, formulata nell’interesse di R.I. già in sede di gravame, concernente la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, conseguente alla ritenuta scomposizione dell’originaria unica ipotesi associativa in due distinti gruppi organici.

Sul punto si è già pronunciata la corte fiorentina, la quale uniformandosi alla consolidata giurisprudenza in materia, secondo cui per aversi mutamento del fatto ex art. 521 c.p.p., comma 2, occorre che la fattispecie concreta, che realizza la previsione astratta della legge, venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tanto determinante da arrecare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa (ex multis Cass. Sez. Un. 19/6-22/10/96 n. 16; Sez. 2^ 16/10- 10/12/07 n. 45993 Rv. 239320) – con motivazione ineccepibile ha dimostrato alla stregua del materiale probatorio acquisito, come nessun pregiudizio difensivo fosse derivato dalla scissione dell’originaria associazione contestata, posto che sia in quella contestata, sia in quella ritenuta in sentenza il ruolo dell’imputato, "quale partecipe, non avente poteri decisionali, e che sostituiva lo S.D. in sua assenza, provvedendo a consegnare lo stupefacente", è rimasto immutato. L’aver ritenuto l’imputato partecipe di un sodalizio, composto dai soli due S., in luogo di quello originariamente contestato, e composto oltre che dai tre predetti anche da C.A., D.S. ed altri, non poteva comportare per la difesa una diversa strategia difensiva.

Quanto alla sussistenza del sodalizio criminoso i giudici del merito hanno dato conto con puntuale e adeguato apparato argomentativo, cui in precedenza si è fatto cenno, delle ragioni della conferma del giudizio di colpevolezza in capo a tutti e tre gli imputati, enunciando gli elementi e le circostanze di fatto convergenti e rilevanti a tal fine. In particolare richiamando e analizzando le numerose fonti probatorie, costituite dagli esiti delle attività svolte dalla p.g., consistite in operazioni di o.p.c. arresti, perquisizioni e sequestri, e dai risultati delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, è stato dimostrato come sia pure nell’arco di un breve periodo i due S. e R., tutti di nazionalità albanese, si fossero accordati per la realizzazione di un determinato programma delinquenziale in materia di stupefacenti. I viaggi, le consistenti quantità di droga, destinate di volta in volta ai vari acquirenti, tra i quali alcuni fissi ( K., G., B.), la stabilità dei rapporti intrattenuti con i fornitori, la frequenza dei rifornimenti evidenziavano come nel periodo dall’estate 2003 ai primi mesi del 2004 i tre imputati avessero realizzato in Firenze un fitto mercato della droga. E che si trattasse di un accordo, destinato a durare anche dopo la consumazione dei singoli delitti, lo si poteva dedurre dalla sistematicità dei contatti tra gli associati e dalle numerose forniture, volte a soddisfare le innumerevoli richieste di coloro che si rifornivano direttamente e per interposta persona dai tre imputati. Innumerevoli sono i richiami alle numerose captazioni telefoniche e ambientali puntualmente valorizzate nella sentenza di primo grado, e richiamate nella sentenza impugnata, per dimostrare la predisposizione dei mezzi, non solo rudimentali e semplici, quali cellulari e autovetture, ma anche immobili, come il magazzino dell’abitazione di L. e R., ove si custodiva la droga nelle more della sua distribuzione a terzi, l’apprestamento di attrezzi necessari alla suddivisione e alla pesatura della droga, che non potevano di certo essere improvvisati attesi i quantitativi di volta in volta ceduti. Non ha mancato poi la corte territoriale di evidenziare i ruoli ricoperti dai tre componenti del sodalizio, i quali avevano compiti diversificati: lo S.E. nella prima fase, quando si trovava in Albania aveva il ruolo di supervisore e referente dell’attività, successivamente, giunto in Italia, si ingeriva direttamente nella realizzazione materiale dell’illecito traffico; lo S.D. ricopriva anch’egli una posizione di vertice e si avvaleva della stretta collaborazione del cugino R.I.; quest’ultimo, utilizzando l’utenza cellulare del D., provvedeva ad avere i contatti con i clienti, ad effettuare le consegne e in assenza dei due fratelli, su ordine di questi ultimi, anche ad approvvigionarsi di stupefacenti.

Devono pertanto ritenersi presenti nel caso in esame tutti i requisiti che l’elaborazione giurisprudenziale ha enumerato, per ritenere la sussistenza del reato, come contestato e ritenuto in sentenza, per cui la motivazione, che offre la sentenza impugnata sul punto, non appare sindacabile in sede di controllo di legittimità, specie ove si consideri che i ricorrenti si limitano sostanzialmente a richiamare i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte e a sollecitare, come fa la difesa del R., un non consentito riesame del merito, attraverso la rilettura del materiale probatorio.

Per quanto attiene al reato fine contestato in concorso alla S.R. la motivazione a sostegno della conferma del giudizio di colpevolezza resiste alla censura mossa nel ricorso, e si ravvisa immune da vizi logici o interne contraddizioni, laddove valorizza le conversazioni telefoniche intercorse con il fratello D., nelle quali la donna chiedeva conferma di quanto dovuto dalla G. a titolo di acquisto di stupefacente, per dedurne insieme alla circostanza che nella sua abitazione i fratelli solevano depositare la droga nelle more della sua distribuzione a terzi, che costei fosse pienamente consapevole dell’attività illecita posta in essere dai predetti, ne condividesse l’operato e contribuisse alla realizzazione della vendita della partita di stupefacente, riscuotendone il prezzo.

La censura mossa nel ricorso di D.S., al limite dell’ammissibilità, è destituita di fondamento, avendo la corte fiorentina a sufficienza motivato sulla pericolosità sociale dell’imputato a giustificazione della misura di sicurezza adottata, valorizzando le modalità dello spaccio da lui posto in essere e i quantitativi non limitati di droga trattati.

Parzialmente fondato, come si è detto, è il ricorso di M. K.. Risulta infatti vera la violazione del divieto di reformatio in peius in riferimento al calcolo della pena pecuniaria, dovuto probabilmente ad un errore della corte di merito, nel ridurre di un terzo per il rito prescelto la pena di anni sei di reclusione e Euro 27.000,00 di multa, errore che tuttavia in questa sede può essere sanato ai sensi dell’art. 619 c.p.p., comma 2, rideterminando in Euro 18.000,00 la pena della multa inflitta all’imputato.

Le residue censure, al limite anche esse dell’ammissibilità, tendono a sottoporre al giudizio di legittimità questioni di mero fatto e valutazioni discrezionali in ordine all’entità della pena, rimesse alla esclusiva competenza del giudice di merito, che nel caso in esame si è correttamente adeguato ai parametri suggeriti dagli artt. 132-133 c.p..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di M. K. limitatamente alla pena pecuniaria, che ridetermina in Euro 18.000,00 e rigetta il ricorso nel resto.

Rigetta gli altri ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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