T.A.R. Veneto Venezia Sez. III, Sent., 22-11-2011, n. 1726

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente, cittadino del Marocco, espone di risiedere in Italia da più di 22 anni, in quanto è giunto nel 1988, all’età di 9 anni per ricongiungimento con i propri familiari, e di aver svolto in passato regolare attività lavorativa sin dal 1995 (cfr. copia delle buste paga e dei CUD di cui ai docc. da 12 a 22 ed il prospetto di cui al doc. 30 allegati al ricorso).

Essendo rimasto temporaneamente privo di occupazione, ha presentato domanda di rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione che la Questura, con provvedimento del 6 ottobre 2010, ha respinto, in quanto il ricorrente è risultato già titolare di un permesso di soggiorno del medesimo tipo.

Il diniego è impugnato per le seguenti censure:

I) violazione dell’art. 22, comma 11, del Dlgs. 25 luglio 1998, n. 286, dell’art. 37, commi 5 e 6 del DPR 31 agosto 1999, n. 394, nonché illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 117 della Costituzione e della convenzione O.I.L. n. 143/1975, perché la normativa citata non può essere interpretata nel senso che la perdita del lavoro comporti l’allontanamento dal territorio nazionale;

II) violazione dell’art. 5, comma 5, del Dlgs. 25 luglio 1998, n. 286, difetto di motivazione, di istruttoria e travisamento, nonché violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, perché è da escludersi l’applicabilità di automatismi che comportino l’allontanamento dal territorio nazionale per gli stranieri che abbiano fatto ingresso per ricongiungimento familiare;

III) violazione, sotto altro profilo, dell’art. 22, comma 11, del Dlgs. 25 luglio 1998, n. 286, nonché degli artt. 3 e 5 comma 5 del Dlgs. 25 luglio 1990, n. 286, difetto di istruttoria, travisamento e difetto di motivazione, per la mancata considerazione della sussistenza di risorse economiche adeguate al sostentamento derivanti da documentate fonti lecite;

IV) violazione degli artt. 2, 7, 8 e 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché difetto di istruttoria, per l’omessa acquisizione dell’apporto procedimentale dell’interessato;

V) violazione dell’art. 9 del Dlgs. 25 luglio 1998, n. 286 e della direttiva 2003/109/CE che prevedono una tutela rafforzata contro l’allontanamento per i soggiornanti di lungo periodo;

VI) violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione, della convenzione O.I.L. n. 173/1975, illogicità della motivazione e irragionevolezza per disparità di trattamento tra stranieri privi o meno di un consolidato radicamento con il territorio nazionale.

Non si è costituita in giudizio l’Amministrazione.

Con ordinanza n. 76 del 20 gennaio 2011, è stata accolta la domanda cautelare.

Alla pubblica udienza del 20 ottobre 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. Con il primo e terzo motivo il ricorrente sostiene la tesi secondo cui, nel caso di perdita del lavoro, sarebbe sempre possibile mantenere un titolo di soggiorno per attesa occupazione a tempo indeterminato qualora sia possibile provare di possedere non un reddito proprio, ma semplicemente fonti lecite di sostentamento offerte dai familiari conviventi.

Questo ordine di idee non può essere condiviso, perché propone un percorso argomentativo incompatibile con la disciplina in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri.

Infatti la disciplina vigente prevede un legame tendenzialmente indissolubile tra rilascio del permesso di soggiorno e la stipula del contratto di soggiorno sancito dal combinato disposto dell’art. 5, comma 3 bis, e dell’art. 5 bis del D.lgs. n. 286 del 1998, che subisce limitati temperamenti, e la mancanza di un lavoro può comportare, ai sensi dell’art. 22 del Dlgs. 25 luglio 1998, n. 286, il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione, che può sfociare o nella concessione di un nuovo permesso di soggiorno per lavoro subordinato, ove nel termine di sei mesi sia trovata un’occupazione, o nell’obbligo per lo straniero di lasciare il territorio dello Stato.

In linea di principio è quindi da escludersi che sia configurabile, rispetto al permesso di soggiorno per attesa occupazione, un potere discrezionale di proroga oltre il termine ricavabile dall’art.37, comma 6, del DPR 31 agosto 1999, n. 394 (cfr. Consiglio di stato, sez. VI, 22 maggio 2007, n. 2594).

Peraltro, contrariamente a quanto dedotto, un tale assetto normativo esclude che la perdita del posto di lavoro costituisca da sola motivo di revoca o mancato rinnovo del permesso di soggiorno, cosicché la previsione di un termine per trovare un’occupazione (che coincide o con la durata del permesso di soggiorno originario o con il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione della durata di sei mesi), non si pone in diretto contrasto con l’invocata convenzione O.I.L. 143/1975, la quale afferma all’art. 8 che la perdita del lavoro non può, di per sé, causare il ritiro del permesso di soggiorno.

2. Sono invece fondate e devono essere accolte le censure di cui al secondo e quarto motivo.

Infatti il ricorrente è entrato in Italia a seguito di ricongiungimento familiare, e l’art. 5, comma 5, del Dlgs. 25 luglio 1998, n. 286, modificato in recepimento del Dlgs. 8 gennaio 2007 n. 5, attuativo della direttiva 2003/86/CE, ha previsto una tutela rafforzata contro l’allontanamento nei confronti di chi abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto.

Come è stato osservato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 settembre 2010, n. 6566; id. 15 giugno 2010, n. 3760; id. ordd. 30 marzo 2010 n. 1480, 31 marzo 2010 n. 1469, 31 marzo 2010 n. 1468; 10 febbraio 2010 n. 691; 3 febbraio 2010 n. 537) di tale disposizione deve essere data un’applicazione estensiva e costituzionalmente orientata, in ossequio all’art. 8 della C.E.D.U., ratificata in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848 (che rileva nell’ordinamento interno come norma interposta rispetto al parametro costituzionale previsto dall’art. 117, primo comma Cost.: cfr. Corte Costituzionale 12 marzo 2010, n. 93; id. 24 ottobre 2007, n. 349), in base al quale "ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza" e "non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui".

Ne consegue che, nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’art. 5, comma 5, ultimo periodo, del citato testo unico, si deve sempre tenere anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale.

Proprio con riferimento alle problematiche poste dal conflitto tra la tutela rafforzata contro l’allontanamento prevista in favore dei soggetti ricongiunti e la disciplina prevista in caso di assenza di attività lavorativa, il Ministero dell’Interno con circolare 1727/7 del 28 marzo 2008, ha ammesso che le Questure siano abilitate in casi analoghi a questi a svolgere valutazioni di carattere elastico, non strettamente vincolate.

Tale ultima considerazione comporta pertanto l’accoglimento anche del quarto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta la mancata acquisizione del suo apporto procedimentale, che lo avrebbe messo nelle condizioni di rappresentare la sua condizione familiare, il grado del proprio inserimento sociale e la sostanziale inesistenza di rapporti con il paese d’origine, oltre che l’eventuale sopraggiungere di una nuova attività lavorativa (che nel caso di specie si è effettivamente concretizzata con decorrenza dall’11 luglio 2011: cfr. docc. 119, 120 e 121 depositati in giudizio).

In tale contesto, poiché il diniego del permesso di soggiorno non costituisce un’attività automatica e strettamente vincolata perché nel caso all’esame l’istanza è stata presentata da un soggetto ricongiunto (per una fattispecie analoga cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 24 settembre 2010, n. 6463) si rivelano quindi fondate le censure di difetto di motivazione e violazione dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, di cui al secondo e quarto motivo, e il ricorso deve essere accolto con assorbimento dei restanti motivi.

La relativa novità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione delle spese tra le parti del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il diniego del 6/10/2010 Cat. A.12/2010/Imm./2° sez./PSE/n.p..

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Di Nunzio, Presidente

Elvio Antonelli, Consigliere

Stefano Mielli, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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