Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 12-10-2011) 25-10-2011, n. 38653

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 24/10/2010 la Corte di Appello di Trieste, decidendo sugli appelli proposti dall’imputata V.C. V. avverso n. 4 sentenze di condanna per i reati di cui all’art. 388 c.p., comma 2 emesse dal Tribunale in composizione monocratica in sede, rispettivamente in data 27/10/2006; 7/5/2007;

21/5/2008; 25/3/2009, previa riunione dei relativi procedimenti, in parziale riforma della sentenza in data 27/10/06, assolveva l’imputata da quella imputazione, relativamente al solo episodio verificatosi in data (OMISSIS), perchè il fatto non costituisce reato, e unificati i reati nel vincolo della continuazione, concesse le attenuanti generiche, rideterminava la pena inflitta in mesi sette di reclusione, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della stessa oltre al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.

Si contestavano all’imputata vari episodi di inottemperanza a quanto stabilito nelle varie ordinanze del giudice civile, succedutesi nel tempo, in regime di affidamento del figlio minore L. in via esclusiva alla madre e la regolamentazione del diritto di visita del padre H.E., impedendo a quest’ultimo di vedere il figlio nelle giornate prestabilite.

In motivazione la corte territoriale, condivideva la ricostruzione della vicenda e i rilievi e le argomentazioni dei giudici di primo grado a conferma del giudizio di colpevolezza, valorizzando le deposizioni accusatorie della parte offesa e le conferme rivenienti dal materiale probatorio acquisito e dalle stesse dichiarazioni dell’imputata, non dubitando della sussistenza degli elementi costitutivi del delitto contestato sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, ed in particolare ritenendo provata la volontà dell’imputata di eludere con la sua condotta i provvedimenti del giudice civile, che assicuravano al padre il diritto di visita del figlio minore.

Contro tale decisione ricorre l’imputata a mezzo del suo difensore e nell’unico motivo a sostegno della richiesta di annullamento dell’impugnata decisione denuncia l’inosservanza o erronea applicazione della norma penale e censura l’errore in cui erano incorsi i giudici del gravame i quali avevano fondato il giudizio di colpevolezza esclusivamente sull’inerzia del soggetto obbligato all’osservanza del provvedimento giudiziale, discostandosi dal principio enunciato nella recente giurisprudenza di legittimità, a mente del quale in materia di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del Giudice, ai fini della configurabilità del reato ex art. 388 c.p., comma 2, il concetto di elusione non può equipararsi puramente e semplicemente a quello di inadempimento, occorrendo, affinchè possa concretarsi il reato, che il genitore affidatario si sottragga con atti fraudolenti o simulati all’adempimento del suo obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario, ostacolandole attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede e non riconducibile a mera inosservanza dell’obbligo. Passando in rassegna i vari episodi contestati nelle singole sentenze di condanna, la difesa evidenzia poi gli elementi, trascurati dalla corte di merito, dai quali era desumibile l’assenza di ogni comportamento fraudolento o in mala fede da parte dell’imputata nella ipotizzata inosservanza dei provvedimenti del giudice civile.

A sua volta la parte civile con memoria depositata in cancelleria in data 11/10/2011 ha replicato contestando in fatto e in diritto gli argomenti, che la difesa aveva posto a sostegno del ricorso.

Il ricorso è inammissibile.

Le censure proposte esorbitano dal catalogo dei casi di ricorso disciplinati dall’art. 606 c.p.p., comma 1, profilandosi come doglianze in gran parte in punto di fatto, non consentite ai sensi del comma 3 cit. art., volte, come esse appaiono, a introdurre come "thema decidendum" una rivisitazione del "meritum causae", preclusa, come tale, in sede di scrutinio di legittimità.

Nel caso in esame i giudici del merito hanno fatto corretta applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza 27/9-5/10/2007 n. 36692 Rv. 236937, laddove con puntuale e adeguato apparato argomentativo, di cui in precedenza si è fatto cenno, esaminando i singoli episodi, contestati nei vari capi di imputazione, hanno dimostrato come la condotta dell’imputata, mascherata da una disponibilità solo formale, si fosse in realtà sempre sostanziata in persistenti atteggiamenti di chiusura e di condotte finalizzate ad escludere il padre dalla vita del figlio minore e rivelatrici di un radicato disegno teso ad ostacolare il diritto di visita, riconosciuto al genitore, non affidatario, sicchè la motivazione non appare sindacabile in questa sede, soprattutto tenuto conto che il ricorrente si limita sostanzialmente a sollecitare un non consentito riesame del merito attraverso la rilettura del materiale probatorio.

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro 1.000,00, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. La condanna inoltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in Euro 1.800,00 per onorari, aumentate del 12,5 % per spese generali IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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