Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-04-2012, n. 5782 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 13.7.09 la Corte d’appello di Salerno rigettava il gravame interposto da S.E. contro la pronuncia con cui il Tribunale della stessa sede ne aveva respinto la domanda intesa ad ottenere, previa dichiarazione di nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi con Poste Italiane S.p.A. dal 22.6.99 al 31.8.99, dal 16.11.99 al 30.12.99 e dal 9.10.2000 al 31.1.2001, la riammissione in servizio e la condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate medio tempore.

La domanda del S. era rigettata dai giudici di primo e secondo grado in ragione dell’assorbente rilievo del mutuo consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro intervenuto fra le parti, desumibile dal fatto che il lavoratore aveva percepito il TFR senza riserve e che aveva lasciato decorrere sei anni dalla scadenza dell’ultimo rapporto a termine prima di agire in giudizio.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il S. affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso Poste Italiane S.p.A..

Motivi della decisione

1- Con il primo mezzo si lamenta vizio di motivazione laddove l’impugnata sentenza ha desunto un mutuo consenso alla risoluzione del contratto di lavoro dal mero decorso del tempo fra la scadenza dell’ultimo rapporto a termine e l’esperimento dell’azione in giudizio da parte del ricorrente; trascura la Corte territoriale – si prosegue in ricorso – che i fatti concludenti suscettibili di dimostrare tale mutuo consenso sono incompatibili con l’inoltro medio tempore, da parte del S., della richiesta di tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c., e dal fatto che il lavoratore è rimasto inserito costantemente dal 1998 al 2006 nella graduatoria regionale, suddivisa in sottograduatorie per ciascun ufficio postale, in vista di ulteriore assunzione, dal che emerge che il ricorrente non ha manifestato alcun disinteresse al rapporto lavorativo con Poste Italiane S.p.A..

Il motivo è fondato.

Invero, la più recente giurisprudenza di questa S.C. – cui va data continuità – è ormai consolidata nello statuire che "Nel rapporto di lavoro a tempo determinato, la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, affinchè possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo dovendosi, peraltro, considerare che l’azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l’assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con norme imperative ex art. 1418 c.c., e art. 1419 c.c., comma 2, di natura imprescrittibile pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione "ex lege" del rapporto a tempo determinato cui era stato apposto illegittimamente il termine. (Nella specie, relativa ad una pluralità di contratti a tempo determinato conclusi tra un aiuto arredatore e la RAI S.p.a., la S.C., in applicazione dell’anzidetto principio ha ritenuto che correttamente la Corte di merito avesse dichiarato la nullità del termine apposto, restando priva di rilievo la mera inerzia tenuta dal lavoratore per oltre un anno e mezzo, dalla scadenza del termine dell’ultimo dei cinque contratti intervenuti)" (Cass. 15.11.2010 n. 23057; conf. Cass. 1.2.2010 n. 2279).

Ancora più di recente, Cass. n. 9583/2011 ha ribadito che "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parli medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo".

In senso conforme si vedano, altresì, Cass. 10.11.2008 n. 26935;

Cass. 28.9.2007 n. 20390; Cass. 17.12.2004 n. 23554; Cass. 11.12.2001 n. 15621 ed innumerevoli altre.

Aggiunge, ancora la cit. sentenza n. 9583/2011 che "grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro" (v. ancora, in senso conforme, Cass. 2.12.2002 n. 17070).

Ebbene, tutte le sentenze citate hanno, nel caso concreto sottoposto all’esame della S.C., ritenuto giuridicamente corretta (oltre che immune da vizi logici) l’affermazione dei giudici di merito secondo cui la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto, anche se protratta per due o tre anni o più, non fosse sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per tacito mutuo consenso.

Aggiunge icasticamente Cass. n. 23501/2010, cit.: "D’altra parte, come è noto, l’azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l’assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con nome imperative ex art. 1418 c.c., e art. 1419 c.c., comma 2. Essa, pertanto, ai sensi dell’art. 1422 c.c., è imprescrittibile, pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege per illegittimità del termine apposto. Ne consegue che il mero decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione di siffatta azione giudiziale non può, di per sè solo, costituire elemento idoneo ad esprimere in maniera inequivocabile la volontà delle parti di risolvere il rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ovvero, in un ottica che svaluti il ruolo e la rilevanza della volontà delle parti intesa in senso psicologico, elemento obiettivo, socialmente e giuridicamente valutabile come risoluzione per tacito mutuo consenso (v. Cass., 15/12/97 n. 12665; Cass., 25/3/93 n. 824). Comunque, consentendo l’ordinamento di esercitare il diritto entro limiti di tempo predeterminati, o l’azione di nullità senza limiti, il tempo stesso non può contestualmente e contraddittoriamente produrre, da solo e di per sè, anche un effetto di contenuto opposto, cioè l’estinzione del diritto ovvero una presunzione in tal senso, atteso che una siffatta conclusione sostanzialmente finirebbe per vanificare il principio dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità e/o la disciplina della prescrizione, la cui maturazione verrebbe contro legem anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti. Per tali ragioni appare necessario, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l’esercizio del diritto o dell’azione, che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare "una volontà chiara e certa delle parti di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo" (v, anche Cass., 2/J2/2000 n. 15403; Cass., 20/4/98 n. 4003). E’, inoltre, onere della parte che faccia valere in giudizio la risoluzione per mutuo consenso allegare prima e provare poi siffatte circostanze (v. Cass. sez. lav. n. 2279 dell’1/2/2010, n. 16303 del 12/7/2010, n. 15624 del 6/7/2007)." (v., altresì, Cass. n. 23499/2010 cit. ed altre ancora).

Riepilogando, per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione giudiziale, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro (ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso).

La sentenza impugnata ha dedotto un mutuo consenso alla risoluzione dal decorso del tempo fra la scadenza dell’ultimo rapporto a termine (sei anni) e l’esercizio dell’azione in giudizio da parte del S. e dalla circostanza dell’asserita incontestata accettazione del TFR da parte dell’odierno ricorrente.

Orbene, quanto al decorso del tempo, si tratta di dato di per sè neutro, come sopra chiarito (per un’ipotesi analoga a quella oggi in esame, vale a dire di decorso di circa sei anni fra cessazione del rapporto a termine ed esercizio dell’azione da parte del lavoratore v., da ultimo, Cass. n. 16287/2011).

In ordine, poi, alla percezione del TFR, questa S.C. ha più volte avuto modo di rilevare che non sono indicative di un intento risolutorio nè l’accettazione del TFR nè la mancata offerta della prestazione, trattandosi di "comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione dei termine" (cfr., Cass., n. 15628/2001, in motivazione).

Lo stesso dicasi della condotta di "chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni" (cfr. Cass. n. 839/2010, in motivazione, nonchè, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005, in motivazione).

In sentenza si parla, altresì, di ulteriori comportamenti incompatibili con la volontà di proseguire il rapporto di lavoro con Poste Italiane, consistenti nell’acquiescenza alla cessazione del rapporto medesimo e nell’omissione di ogni altra iniziativa, anche stragiudiziale, nei confronti della società, ma – com’è evidente – l’uno non integra un dato indiziario da cui inferire la volontà oggetto di prova, ma – semmai – il risultato della prova stessa, l’altro coincide con l’inerzia (l’aver lasciato decorrere de tempo prima di agire in giudizio) già valorizzata dai giudici d’appello, sicchè tali considerazioni svolte dal l’impugnata sentenza in realtà nulla aggiungono a quanto sopra ritenuto insufficiente ai fini della deduzione d’un mutuo consenso.

Da ultimo, si consideri che le esigenze di certezza dei rapporti giuridici sottese alla motivazione dell’impugnata sentenza sono già affrontate dal legislatore, che proprio a tal fine calibra eventuali termini di prescrizione (in quanto tali, legati al mero decorso del tempo): la stessa operazione non è, invece, consentita all’interprete per trasformare – in assenza di diversi indici sintomatici – il mero decorso del tempo in una tacita manifestazione di volontà negoziale.

Deve, dunque, constatarsi che la motivazione resa dalla Corte territoriale è insufficiente perchè fondata su un fatto (il mero decorso del tempo – sei anni – tra la cessazione del secondo ed ultimo contratto a termine e l’esperimento dell’azione giudiziaria) di per sè giuridicamente non rilevante e accompagnato dalla valorizzazione di un’altra circostanza (percezione del TFR senza riserve) non suscettibile di essere interpretata come sintomatica di una chiara e certa volontà di entrambe le parti di considerare definitivamente chiuso il rapporto lavorativo.

2 – L’accoglimento del primo motivo di ricorso assorbe i restanti, con i quali – per altro – il ricorrente, più che censurare la gravata pronuncia, si limita a coltivare le proprie difese inerenti all’asserita nullità dell’apposizione del termine ai precedenti contratti, che la Corte salernitana non ha esaminato in forza del rilievo – erroneamente ritenuto dirimente – del mutuo consenso alla risoluzione.

3 – In virtù di quanto precede, accolto il primo motivo ed assorbiti i restanti, si cassa l’impugnata decisione in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Napoli, che si atterrà ai sopra ricordati principi di diritto.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli.

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