Cass. civ., sez. III 27-10-2005, n. 20908 RESPONSABILITA’ CIVILE – ATTIVITA’ SPORTIVA – Partecipanti – Nozione – Individuazione – Implicita accettazione del relativo rischio da parte degli stessi – Conseguenze – Limiti – Responsabilità degli organizzatori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza attualmente impugnata la Corte d’appello di Trento ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dal M. nei confronti dello Sporting club Madonna di Campiglio e del D., con l’intervento volontario in giudizio della Sportass (Cassa di Previdenza per l’Assicurazione degli Sportivi). In particolare la domanda si riferiva al sinistro occorso all’attore che, mentre svolgeva il compito di guardiaporte in una regolamentare gara di sci (organizzata dal predetto Club), era stato investito e colpito al volto dal concorrente D., uscito di pista a grande velocità.

In particolare, la sentenza impugnata sostiene: che, per un verso, la condotta dello sciatore non era stata anomala (ossia non era stata contraria alle regole proprie dello sport esercitato, nè alle regole del neminem laedere); che, per altro verso, la collocazione del guardiaporte M. (frutto di una sua scelta discrezionale) era intrinsecamente pericolosa, coincidendo con il luogo d’arresto di uno sciatore fuoriuscito ordinariamente dal tracciato; che la condotta del D. non era stata antigiuridica; che non è invocatile con riferimento alla responsabilità degli organizzatori la disposizione dell’art. 2050 c.c. e, dunque, una responsabilità extracontrattuale, posto che nella specie difetta il presupposto dell’illiceità dell’attività svolta; che non v’è nesso tra l’attività organizzativa e l’evento dannoso; che sulla scelta del sito dicollocazione da parte del M. per nulla aveva interferito l’ente organizzatore.

Il M. propone ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Trento svolgendo tre motivi. Rispondono con controricorso la Sportass ed il D.. Depositano memorie il M., il D. e la Sportass.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione artt. 2043 e 2050 c.c. nel rapporto tra il M. e lo Sporting Club) il ricorrente censura la sentenza per avere fatto applicazione della regola dell’accettazione del rischio sportivo, la quale esulerebbe dalla fattispecie in esame nella quale la vittima non è un concorrente in gara, bensì un guardiaporte. Sostiene, dunque, l’applicabilità alla fattispecie della disposizione dell’art. 2050 c.c., con conseguente obbligo per lo Sporting Club di adottare tutte le cautele riconducigli alla scienza ed all’esperienza del settore per consentire lo svolgimento della gara con i minimi rischi; cautele (quali la predisposizione di reti o di altri congegni) che, nella specie non erano state affatto adottate.

Con il secondo motivo è censurato il vizio della motivazione e la falsa applicazione dell’art. 2050 c.c. in relazione all’incarico di guardiaporte ed alla condotta tenuta dal M.. La doglianza riguarda il punto della sentenza nel quale s’afferma la carenza di nesso causale tra disfunzione dell’attività organizzativa ed evento dannoso, attribuendo al M. la libertà di scegliere il sito in cui posizionarsi. Si sostiene, invece, che il M. non aveva alcuna libertà al riguardo, aveva bensì il dovere di svolgere i compiti assegnatigli con diligenza, attenendosi a quanto previsto dal regolamento tecnico federale.

Il terzo motivo lamenta la violazione degli artt. 2043 e 2050 c.c. nel rapporto causale tra evento e condotta dello sciatore D. e vi si sostiene che nell’occasione l’atleta tenne una condotta affatto passiva, mentre una sua pronta e doverosa reazione avrebbe potuto evitare la collisione o quanto meno rallentare la corsa prima di investire il M..

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

Come s’è visto, il percorso argomentativo del giudice parte dall’affermazione della teoria del rischio consentito (o accettato) nell’espletamento di gare sportive, passa per l’accertamento dell’avvenuto rispetto delle regole dello sport di riferimento e perviene all’assoluzione da responsabilità sia del Club organizzatore, sia del concorrente alla gara.

Corretta è l’applicazione alla fattispecie della predetta teoria e, dunque, la preliminare affermazione contenuta in sentenza secondo cui l’attività agonistica implica l’accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, per cui i danni da essi eventualmente sofferti rientranti nell’alea normale ricadono sugli stessi, onde è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele atte a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi; accertamento affidato alla valutazio-ne del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato (Cass. 20 febbraio 1997, n. 1564; 10 luglio1968, n. 2414, la quale ammette la risarcibilità dei soli danni cagionati dall’attività di terzi inseritisi con un comportamento illecito nello svolgimento dell’esercizio sportivo).

Principio questo che, una volta verificata la normalità dell’alea e la relativa accettazione da parte del partecipante alla gara, esclude l’illiceità del comportamento e, dunque, l’applicabilità alla fattispecie della disposizione di cui all’art. 2050 c.c., la quale pur sempre presuppone la commissione di un illecito aquiliano.

Quanto alla contestazione che il principio in questione possa essere applicato anche a coloro che (come il M.) non sono agonisti in gara, deve rispondersi che la critica è infondata, in quanto la regola enunciata fa riferimento a tutti coloro che partecipano all’attività sportiva e non soltanto agli atleti che in essa svolgono agonismo. Nel senso che sarebbe irrazionale escludere dalla teoria del rischio accettato quelli che, per ragioni di indispensabile servizio, strettamente inerente allo svolgimento della gara (arbitri, guardiaporte, guardalinee, meccanici, tecnici, ecc), si trovino al centro della competizione e necessariamente esposti, quindi, alla eventuale violenza o pericolosità dello scontro tra atleti.

Il caso in questione ne è un calzante esempio, ma si pensi (per prospettare un’ipotesi di ancor maggiore evidenza) all’arbitro di un incontro di pugilato o di scherma o di arti marziali in genere, il cui intimo ed indispensabile coinvolgimento negli attacchi dei contendenti rende impossibile configurare come illecito il comportamento di uno di questi che, pur sempre nel normale svolgimento dello sport in questione, lo colpisca procurandogli lesioni.

Così come, per altro verso, è impensabile pretendere in favore di questi stessi soggetti, da parte dell’organizzatore della gara, forme di protezione fisica che siano incompatibili con la loro funzione o che comunque impediscano fortemente le loro capacità e possibilità di movimento. Ed è per questo che nessuno mai ha pensato di munire il già menzionato arbitro di pugilato di caschi, armature, paracolpi o protezioni varie, che impedirebbero l’agilità ed il dinamismo che il suo compito pretende, oppure di posizionare l’arbitro ed i guardalinee di una partita di calcio dietro una rete o dentro una garitta d’osservazione o in qualsiasi altro posto protetto dall’azione dei giocatori e dalla violenza di colpo del pallone.

Sarebbe, peraltro, una grave minaccia all’imparzialità di coloro che sono preposti alla vigilanza sul corretto svolgimento della gara se fosse l’organizzatore, e non loro stessi, a stabilire in quale punto di osservazione ed attraverso quali mezzi posizionarsi nel campo di gara.

In conclusione, si può affermare il principio secondo cui l’attività agonistica implica l’accettazione dal rischio ad essa inerente da parta di coloro che vi partecipano, intendendosi per tali non solo gli atleti in gara ma tutti quelli (come gli arbitri, i guardalinee, i guardiaporte, i meccanici, i tecnici, ecc.) che sono posti al centro o ai limiti del campo di gara, per compiere una funzione indispensabile allo svolgimento della competizione, assicurandone il buon andamento, il rispetto delle regole, la correttezza dei comportamenti e la trasparenza dei risultati.

Sicchè, i danni da essi eventualmente sofferti ad opera di un competitore, rientranti nell’alea normale, ricadono sugli stessi ed è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele atte a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi;

accertamento affidato alla valutazione del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato.

Riportando tutte queste osservazioni all’ipotesi in esame, bisogna dire che a fondamento della decisione impugnata esiste l’accertamento negativo circa la sussistenza del nesso causale tra le attività dell’atleta concorrente e del Club organizzatore, da una parte, e l’evento, dannoso dall’altro. Sulla base delle prove raccolte, la sentenza, infatti, esclude che il concorrente abbia tenuto una condotta anomala, rientrando l’incontrollato sbandamento nel rischio tipico ed ordinario dello slalom gigante (peraltro, neppure in questa sede il M. concretamente attribuisce al D. un comportamento illecito, limitandosi ad affermare – in maniera incoerente rispetto allo stesso contesto sciistico del quale si sta trattando – che egli, una volta sbandato, ebbe una condotta passiva e non reattiva). Così pure viene escluso che il Club organizzatore abbia tenuto una condotta illecita, nella considerazione che il guardiaporte, al fine di compiere l’attività demandatagli, è libero di scegliere la postazione che ritiene opportuna, non esistendo nessuna norma regolamentare o, più genericamente, di prudenza che imponga all’organizzatore della gara di disporre in merito. Peraltro, nella specie è rimasto accertato che il M. non era solo guardiaporte, me anche responsabile di tutti i guardiaporte, ed egli stesso nel ricorso afferma (cfr. pag. 6) che la posizione che deve tenere colui che svolge tale funzione nell’ambito dell’organizzazione della gara "deve necessariamente essere più vicina possibile al tracciato nel rispetto delle direttive del capocontrolli anche se logicamente esterna rispetto alla traiettoria ideale che viene percorsa dagli atleti per non creare intralcio e comporta dei rischi quali appunto la possibilità di essere investito da un concorrente che perdendo l’equilibrio cade ed esce di pista".

Orbene, questi stessi accertamenti hanno consentito al giudice del merito di correttamente escludere la possibilità di ravvisare la responsabilità del Club organizzatore e dell’atleta concorrente per i danni alla persona subiti dal M..

In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Sussistono i giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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