Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-10-2011) 25-10-2011, n. 38648

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 26/5/2009 il G.I.P. del Tribunale di Rimini dichiarava P.L. colpevole dei reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti (capi a) proc. pen. n. 7502 e b) proc. pen. riunito n. 9494/08) e di estorsione aggravata (capo a) proc. pen. riunito) e lo condannava alla pena di giustizia.

Si contestava all’imputato di avere detenuto a fini di spaccio in concorso con S.L. quantitativi non modici di sostanze stupefacenti del tipo hashish e marijuana, nonchè di avere costretto con reiterate minacce, formulate anche attraverso messaggi telefonici, Pa.Ab.An., cui aveva ceduto più volte svariati quantitativi di sostanze stupefacenti del tipo cocaina e hashish, a versargli il prezzo delle cessioni illecite, conseguendo la somma in contanti di Euro 200, a titolo di anticipo sulla cifra complessivamente richiesta. Fondava il giudice di primo grado l’affermazione della colpevolezza, quanto al primo reato sul contenuto delle intercettazioni telefoniche intercorse con il concorrente e gli acquirenti, e, quanto alla vicenda estorsiva, sulle dichiarazioni della persona offesa, ritenute altamente attendibili, di cui evidenziava gli elementi di riscontro obiettivo emergenti dalla compiuta istruttoria.

A seguito di gravame dell’imputato la Corte di Appello di Bologna con la sentenza in data 30/4/2010, in parziale riforma della decisione di primo grado, rideterminava in misura inferiore la pena inflitta e confermava nel resto.

Contro tale decisione ricorre l’imputato a mezzo del suo difensore, il quale a sostegno della richiesta di annullamento denuncia l’inosservanza e erronea applicazione della legge penale in riferimento alla qualificazione giuridica del fatto ex art. 629 c.p., anzichè art. 393 c.p., e il vizio di motivazione, testualmente rilevabile in riferimento alla valutazione delle dichiarazioni etero- accusatorie della presunta parte offesa.

Il ricorso è inammissibile.

Ed invero, dato atto che il ricorrente non contesta la utilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie del Pa., alla stregua del principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, e fatto proprio dalla corte di merito, per cui nell’ipotesi in cui la condizione di persona offesa, coincide con quella di imputato nello stesso reato o in reato connesso o collegato, la qualità di testimone doveva prevalere per la sua maggiore pregnanza, la censura in ordine alla valutazione di dette dichiarazioni esorbita dal catalogo dei casi di ricorso, disciplinati dall’art. 606 c.p.p., comma 1 profilandosi come doglianza non consentita ai sensi del comma 3 cit. art., volta, come essa appare, ad introdurre come "thema decidendum" una rivisitazione del "meritum causae", come tale preclusa in sede di scrutinio di legittimità. Nel caso in esame il giudice del gravame ha dato conto con puntuale e adeguato apparato argomentativo, di cui in precedenza si è fatto cenno, delle ragioni della conferma del giudizio di colpevolezza in ordine all’episodio estorsivo, enunciando analiticamente gli elementi e le circostanze di fatto convergenti e rilevanti a tal fine, non mancando di evidenziare i riscontri obiettivi alle accuse mosse dalla parte offesa sul punto, la cui mancanza la difesa dell’imputato ha fortemente contestato, di guisa che la motivazione non appare sindacabile in sede di controllo di legittimità.

Manifestamente infondata è poi la censura sulla qualificazione giuridica del fatto, correttamente inquadrato nell’ipotesi di estorsione e non in quella dell’esercizio arbitrario della proprie ragioni ex art. 393 c.p., in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità, che esclude l’ipotesi meno grave in presenza, come nel caso in esame, di una minaccia riferita al conseguimento di un profitto illecito (ex multis Cass. Sez. 6, 16/10/95-10/2/96 n. 1626 Rv. 203736).

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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