Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-10-2011) 25-10-2011, n. 38645 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.-. Il difensore di R.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale la Corte di Appello di Catania ha confermato la condanna pronunciata in primo grado nei confronti del predetto per i reati di detenzione illecita di cocaina e guida senza patente.

Il ricorrente deduce:

1. La violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., in quanto a fronte di una iniziale contestazione di illecita detenzione di quattro dosi e mezzo di cocaina il R. sarebbe stato condannato per il possesso di ben 107 dosi della medesima sostanza. Si sarebbe trattato di una consistente differenza quantitativa, che avrebbe realizzato una trasformazione radicale degli elementi essenziali della accusa, incidendo sulla possibilità di una valida difesa da parte del prevenuto.

2. Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione di responsabilità anche per la inutilizzabilità "patologica" delle dichiarazioni rese dal coimputato V. L..

3. Vizio di motivazione in ordine alla pena inflitta, ritenuta eccessiva, al diniego delle attenuanti generiche ed alla mancata esclusione della recidiva.

2.-. Il ricorso è infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente chiarito che in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, Rv. 248051, Carelli).

In applicazione di questi principi deve concludersi che nel caso di specie nessuna violazione dell’art. 521 c.p.p. si è verificata, non tanto perchè, come rilevato dalla Corte di Appello, ci si troverebbe in presenza di una difformità meramente ponderale tra contestazione e decisione, quanto per il fatto che al R., al di là della formale contestazione, era stato ascritto (e per questo era stato arrestato e su questo era stato interrogato) di avere occultato un involucro contenente 107 ovuli termosaldati di cocaina del peso complessivo di grammi 23,8. Conseguentemente l’imputato è stato posto in grado di convenientemente difendersi in ordine alle accuse che gli erano state mosse.

Quanto al secondo motivo di ricorso, si tratta di doglianza non consentita in sede di giudizio di legittimità Le censure del ricorrente attengono invero alla valutazione della prova, che rientra nella facoltà esclusiva del giudice di merito e non può essere posta in questione in sede di giudizio di legittimità quando fondata su motivazione congrua e non manifestamente illogica. Nel caso di specie, i giudici di appello hanno preso in esame tutte le deduzioni difensive e sono pervenuti alla decisione impugnata attraverso un esame completo ed approfondito delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica. A parte il fatto che la responsabilità dell’imputato è stata basata sulle dirette osservazioni degli agenti operanti (che lo avevano colto nell’atto di cessione delle sostanze stupefacenti) e non sulle dichiarazioni del coimputato.

Nella sentenza impugnata la Corte di merito ha anche adeguatamente spiegato, anche se in modo stringato i motivi del diniego delle attenuanti generiche e della mancata esclusione della recidiva (la negativa persistenza delittuosa del prevenuto). Infine anche l’ultima censura proposta dal ricorrente è inammissibile in quanto si appunta su un punto della decisione, quale la commisurazione della pena, che è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito, come tale sottratta al sindacato di legittimità ove – come appunto nel caso di specie- corredata di una motivazione riconducibile ai canoni di cui all’art. 133 c.p. e idonea a far emergere la ragione della concreta scelta operata.

3.-. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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