Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-10-2011) 25-10-2011, n. 38644 Coltivazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 25/11/2010 la Corte di Appello di Reggio Calabria confermava la decisione in data 17/3/2010 del G.U.P. del Tribunale di Locri, con la quale M.D.S. era stato dichiarato colpevole dei reati di coltivazione di canapa indiana, detenzione a fine di spaccio della medesima sostanza stupefacente, detenzione di arma comune da sparo clandestina, ricettazione e detenzione non autorizzata di munizioni e ritenuta la continuazione tra i reati concernenti lo stupefacente e il concorso formale tra i restanti reati concernenti l’arma e le munizioni, lo condannava alla pena di giustizia.

Il predetto era stato tratto in arresto in data 29/6/2010, perchè proprietario di un appezzamento di terreno, nel quale si coltivava una piantagione di canapa indiana, composta da circa 2.300 piante;

all’interno della casetta rurale attigua al terreno veniva rinvenuta canapa indiana già essiccata per un peso complessivo di kg.1.850 e una bilancia elettronica; la perquisizione effettuata presso l’abitazione di S.S., madre di una bambina, della quale il M. si dichiarava padre, portava al rinvenimento su uno scaffale, posto in uno stanzino, adibito a ripostiglio, di una pistola semiautomatica, marca Beretta Calibro 7,65 con matricola abrasa, completa di caricatore con n.7 cartucce e colpo in canna, oltre 8 cartucce a parte, di cui nell’immediatezza del fatto l’imputato si dichiarava possessore.

Contro tale decisione ricorre l’imputato a mezzo del suo difensore, il quale a sostegno della richiesta di annullamento articola vari motivi. Con i primi due motivi denuncia l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità e inammissibilità ex art. 350 c.p.p., commi 5 e 6 e art. 191 c.p.p., il vizio di motivazione e l’errore o il travisamento del fatto e sostiene che l’affermazione della colpevolezza in ordine ai reati, concernente l’arma e i proiettili, si fondava su di un dato probatorio inesistente agli atti del giudizio e comunque non utilizzabile, in quanto assunto contra legem, relativo alla ritenuta convivenza tra l’imputato e la S., nella cui abitazione era stata rinvenuta l’arma, che i giudici del merito avevano desunto dalle dichiarazioni rese dal M. nell’immediatezza del fatto, che già di per sè inutilizzabili, non potendosi considerare spontanee in assenza di verbale redatto ex art. 357 c.p.p., comma 2, lett. b), non contenevano alcuna confessione al riguardo, non avendo l’imputato mai dichiarato in quella circostanza di essere convivente con la S. e/o di frequentare assiduamente l’abitazione della stessa, ella fattispecie non era stata eseguita alcuna valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni spontanee, erroneamente ritenute sic et simpliciter valide e attendibili ai fini del giudizio, indipendentemente dalla successiva ritrattazione e indipendentemente dagli altri elementi di prova di segno contrario, pure ritualmente acquisiti, che dimostravano come esse fossero finalizzate ad impedire l’arresto della donna e il rischio che la bambina rimanesse priva di entrambi i genitori. Con il terzo motivo eccepisce il vizio di motivazione in riferimento alla destinazione dell’arma alla commissione di gravi reati, che i giudici del merito avevano apoditticamente ritenuto nell’intento di infierire sulla determinazione della pena e discostarsi dal minimo edittale.

Con il quarto motivo lamenta l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e la contraddittorietà della motivazione in riferimento alla determinazione della pena e al mancato riconoscimento della continuazione tra tutti i reati contestati, che doveva necessariamente conseguire alla ritenuta destinazione dell’arma alla commissione di gravi delitti, ivi compresi quello concernente l’attività di spaccio di stupefacenti.

Il ricorso è inammissibile.

I primi due motivi sono manifestamente infondati.

Ed invero alle dichiarazioni spontanee ex art. 350 c.p.p., comma 7., rese dal soggetto indagato non si applicano le disposizioni dell’art. 63 c.p.p., comma 1 e dell’art. 64 c.p.p., giacchè l’una concerne l’esame di persona non imputata o non sottoposta ad indagini, l’altra attiene all’interrogatorio, atto diverso dalle spontanee dichiarazioni (Cass. Sez. 6, 27/6-26/8/2008 n. 34151 Rv. 241466), con la conseguenza che esse sono pienamente utilizzabili in sede di giudizio abbreviato, essendo il divieto stabilito dal comma 7 cit. art. riferibile alla sola fase dibattimentale (Cass. Sez. 1, 23/9- 28/10/2008 n. 40050 Rv. 241554). La riconducibilità dell’arma e dei proiettili all’imputato discende non tanto dalla ritenuta convivenza dell’imputato con la S.S., dalla quale il M. aveva avuto un figlio, ma dalla disponibilità dell’abitazione in capo a quest’ultimo, come accertata in sede di indagini di p.g., nonchè dalle spontanee dichiarazioni del predetto, che ebbe ad ammettere di avere depositato lui in quel luogo sia l’arma che i proiettili, onde ogni contraria asserzione difensiva si risolve in una diversa valutazione di merito, non consentita in sede di legittimità.

Le residue censure esorbitano dal catalogo dei casi di ricorso, disciplinati dall’art. 606 c.p.p., comma 1, profilandosi come doglianze non consentite, volte, come esse appaiono a introdurre sul "thema decidendum" del trattamento sanzionatorio una rivisitazione del "meritum causae", alternativa a quella compiuta dai giudici di merito, i quali sul punto hanno fatto corretto uso del potere discrezionale, applicando i criteri e i parametri suggeriti dagli artt. 132 e 133 c.p., hanno adeguatamente giustificato il diniego delle generiche, richiamando la gravità dei fatti e la negativa personalità dell’imputato e dando ampiamente conto delle ragioni ostative alla applicazione della disciplina della continuazione tra il reato concernente la droga e quelli concernenti l’arma e i proiettili, evidenziando la potenziale utilizzabilità dell’arma clandestina in riferimento al compimento di gravissimi reati, ma certamente non in materia di stupefacenti.

Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma, ritenuta di giustizia ex art. 616 c.p.p., di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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