Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-10-2011) 25-10-2011, n. 38683

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La difesa di T.L. propone ricorso avverso l’ordinanza del 5/8/2011 del Tribunale di Lecce con la quale è stato respinto l’appello del provvedimento del Gip di quella città di rigetto della richiesta di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in atto, applicata al T. in relazione al reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

Si lamenta vizio di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. e), richiamando il merito delle risultanze, e segnatamente le due comunicazioni telefoniche valorizzate nel provvedimento applicativo, per escludere la coerenza della chiave di lettura attribuita a tali conversazioni, assumendo che tale contesto complessivo non permetteva di escludere la validità della ricostruzione difensiva, che inquadra la condotta tenuta nell’acquisto per uso di gruppo.

In subordine si assume che i fatti oggetto dell’imputazione possano inquadrarsi nell’ipotesi del comma 5 della norma incriminatrice, circostanza che, in uno con la giovane età del T. infraventunenne, doveva condurre ad escludere la possibilità di emettere la misura custodiale.

2. Con il secondo motivo si rileva analogo vizio, valorizzando il contrasto esistente tra la pretesa costanza dei rapporti illeciti desunta dal giudice di merito dalle comunicazioni, ed il loro limitatissimo numero, contestando che dal loro contenuto potesse ricavarsi il dato richiamato.

3. Con il terzo motivo si contesta la valutata esclusione dell’uso di gruppo, valorizzando al fine di attestarne la sussistenza l’uso del plurale utilizzato da T. nelle sue comunicazioni, nonchè il programmato incontro a tre con il fornitore, conferma di un rapporto non esclusivo del T. con lo stesso.

Ricostruiti gli eventi emergenti dalle conversazioni secondo la logica difensiva, si rileva contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza che è giunta ad escludere la validità di tale ricostruzione, omettendo di considerare le condizioni personali di T., che potrebbero condurre alla determinazione di una sanzione da contenere nei limiti per fruire della sospensione condizionale della pena.

4. Si lamentano vizi nella motivazione del provvedimento riguardo la presenza delle esigenze cautelari, desunte da una pretesa ripetitività delle condotte, non rapportabile invece al contesto dei contatti valorizzati nel provvedimento impositivo, e da contatti costanti con la persona ritenuta a capo dell’organizzazione di spaccio, che risultano registrati in unica occasione, e dimostrano l’assoluta eccezionalità dello stesso.

Inoltre, in violazione di quanto sancito dai costanti canoni interpretativi, non è stato valorizzato il decorso del tempo quale elemento idoneo a ridurre la pericolosità.

Motivi della decisione

1. Il ricorso risulta inammissibile, riproponendo in assenza di elementi nuovi, questioni relative alla qualificazione dei fatti che risultano superate dalla cristallizzazione della gravità indiziaria desumibile dal decorso del termine per proporre riesame. Costituisce infatti principio consolidato (sentenze S.U. n. X4535 del 19.12.2006, Librato; n. 18339 del 31.3.2004, Donelli; n. 8 del 25.6.1997, Gibilras; n. 11 del 8.7.1994,, Buffa; n. 20 del 12.10.1993, Durante;

nonchè Sez. 6, Sentenza n. 5374 del 25.10.2002, Riccieri; n. 26 del 12.11.1993, Galluccio) che rispetto alle ordinanze in materia cautelare, all’esito del procedimento di impugnazione o allo scadere dei termini per impugnare, si forma una preclusione processuale, che sia pure di portata più modesta rispetto a quella relativa alla cosa giudicata, in quanto limitata allo stato degli atti, copre solo le questioni dedotte o deducibili in quanto preesistenti.

Nella specie, come si ricava dalla lettura degli atti, l’istanza proposta in questa sede non è supportata da alcun elemento nuovo, neppure relativo al preteso uso il gruppo, il cui effetto scriminante, è bene rimarcare, non è collegato esclusivamente alla consumazione unitamente ad altre persone della sostanza stupefacente, come sembrerebbe potersi trarre dall’allegazione difensiva, ma richiede per la sua astratta configurabilità, anche sotto il vigore della legge attuale, l’accordo sull’acquisto e la contestualità di consumazione dell’intero quantitativo che ne costituisce l’oggetto, non potendosi ipotizzare la legittimità di un mandato ad acquistare anche una singola dose maggiore di quella occorrente nell’immediato.

In relazione a tali circostanze quindi, ed al di là del limite procedurale costituito dall’ampiezza del gravame proposto, la stessa prospettazione in diritto risulta del tutto generica e sfornita del minimo supporto giustificativo.

2. Analogamente deve concludersi con riferimento alla ritenuta insussistenza delle esigenze cautelari, rispetto alla cui individuazione la difesa perviene a una sollecitazione di nuova valutazione di elementi preesistenti, omettendo del tutto di allegare ipotetici fatti sopravvenuti idonei a giustificare la richiesta, come già sottolineato dal Gip nel respingere la richiesta.

3. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, nonchè dell’importo, valutato equo, indicato nel dispositivo in favore della cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

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