Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-10-2011) 25-10-2011, n. 38682

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. B.M. propone ricorso avverso il provvedimento dell’8 giugno 2011 con il quale il Tribunale di Milano ha respinto l’appello proposto nei confronti del provvedimento di rigetto dell’istanza di revoca o modifica dell’ordinanza di custodia cautelare, pronunciato dal gip di quella città.

Si valorizza a fondamento dell’impugnazione la modifica dell’interpretazione dei fatti che inizialmente avevano condotto il gip ad emettere l’ordinanza restrittiva, conducendo successivamente il P.m. a concludere che il denaro oggetto dell’estorsione contestata al ricorrente non fosse di pertinenza di un soggetto terzo, la procedura fallimentare, contrariamente a quanto inizialmente ritenuto, ma dell’odierno appellante, modifica che doveva incidere sulla qualificazione dei fatti come esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

A fronte di tali allegazioni, il Tribunale si è limitato a confermare la qualificazione giuridica più grave, dichiaratamente prescindendo dalla dedotta legittimità del credito vantato, mentre si osserva, in senso contrario, che proprio tale elemento di fatto realizza invece il discrimine tra le due ipotesi delittuose.

Si lamenta inoltre che, dallo sviluppo motivazionale dell’ordinanza, si desume l’intervenuta valorizzazione di elementi di fatto, quale la presenza di un mandato conferito da esso ricorrente ad un terzo al fine di riscuotere il credito, totalmente superati dagli accertamenti successivi; si rileva inoltre che nell’impugnazione erano stati posti in dubbio i rapporti pregressi tra B. e F., mentre il Tribunale ha ribadito tale circostanza di fatto fondandola esclusivamente sulle dichiarazioni di P., di cui non è stata valutata neppure l’attendibilità, malgrado risultasse che lo stesso dichiarante aveva contatti illeciti con F. indipendenti da B., circostanza che esigeva una motivazione più stringente;

inoltre lo stesso P. aveva dichiarato che le pressioni operate dal gruppo a suo carico erano dirette ad ottenere altro, non le utilità in favore di B., ed anche rispetto a tale aspetto non è stata sviluppata alcuna motivazione di segno contrario.

Peraltro sul punto, malgrado nell’impugnazione proposta si fosse indicato il diverso senso da attribuire alle dichiarazioni del coindagato P., il Tribunale non ha argomentato alcunchè a riguardo.

2. In ricorso si contesta inoltre la sussistenza della pericoiosità di esso ricorrente, posto che i fatti risalgono a molti anni prima, e non risultano rapporti di sorta tra il gruppo illecito ed il B., nè la consumazione da parte di questi di alcuna attività illecita, mentre si ritiene che il provvedimento non abbia motivato in maniera compiuta sull’attualità del pericolo, reiterando sostanzialmente le argomentazioni già sviluppate in sede di riesame, malgrado la sopraggiunta modifica del quadro di fatto in cui si colloca l’imputazione.

Ritenendo pertanto l’ordinanza affetta da nullità, per difetto di motivazione, si sollecita l’annullamento del provvedimento impugnato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso risulta inammissibile, riproponendo censure in fatto che non possono costituire oggetto della presente fase processuale.

Deve premettersi che, vertendo l’impugnazione su appello proposto avverso il rigetto dell’istanza di revoca o sostituzione della misura, devono considerarsi rilevanti al fine di decidere esclusivamente i fatti nuovi sopraggiunti alla conclusione della fase cautelare con la proposizione del riesame o con la perenzione del termine per proporlo. In relazione a tale scansione temporale l’unico dato nuovo sarebbe quindi l’intervenuto accertamento di una ragione di credito personale da parte di B., che comporterebbe la qualificazione del fatto secondo la meno grave fattispecie dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

In realtà sul punto il Tribunale ha, sia pur sinteticamente, osservato in maniera corretta che questo solo elemento non è sufficiente a giustificare la diversa qualificazione del fatto, per cui è richiesta razionabilità del credito dinanzi al giudice, situazione difficilmente prospettabile nella specie, ove si fa chiaro riferimento a somme che riguardavano la parte del prezzo della cessione che non risultava dichiarato.

Esclusa la rilevanza dell’elemento di novità dedotto, gli ulteriori motivi sulla base dei quali è stata avanzata la richiesta di revoca della misura, non costituiscono che la riposizione di valutazioni di fatto su circostanze preesistenti, già oggetto della fase cautelare, quale la scarsa credibilità di P., che si ritiene dimostrata con richiamo alle intercettazioni ambientali preesistenti all’imposizione della misura, ed a generiche dichiarazioni rese da terzi, e contrastati con il portato della parte lesa, che non sono in alcun modo indicate o allegate, con conseguente violazione del principio di autosufficienza del ricorso (Sez. 6, Sentenza n. 29263 del 08/07/2010, dep. 26/07/2010, imp. Cavanna Rv. 248192).

Nè può costituire oggetto del presente giudizio la contestata assenza di coerenza interna delle dichiarazioni di P., sulla base delle quali sarebbe stata dichiarata l’autonomia delle pretese economiche della compagine illecita rispetto alle rivendicazioni dell’odierno ricorrente, in quanto, non risulta neppure dedotto che tali affermazioni siano il portato di nuovi elementi forniti dal denunciante dopo l’imposizione della misura, sicchè non risulta dimostrato che tale ricostruzione costituisca il novum richiesto per superare il ed giudicato cautelare (Sez. U, Sentenza n. 26 del 12/11/1993, dep. 27/01/1994, imp. Galluccio Rv. 195806, nonchè successivamente da ultimo Sez. 6, Sentenza n. 7375 del 03/12/2009, dep. 24/02/2010, imp. Bidognetti Rv. 246026).

Anche la diversa chiave di lettura attribuita nell’atto introduttivo alle dichiarazioni del coimputato P. realizza mera prospettazione alternativa della ricostruzione in fatto, per di più inammissibile per il richiamato giudicato.

Analoghe osservazioni devono essere svolte riguardo la confermata valutazione di pericolosità, e la conseguente sussistenza delle esigenze cautelari, fondandosi tale assunto sulla richiamata dimostrazione successiva della insussistenza dei fatti, per quanto detto non ravvisabile, e quanto alle ulteriori argomentazioni, sulla prospettazione dei medesimi rilievi già proposti in sede di riesame.

Conseguentemente, dichiarare l’inammissibilità del gravame, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del grado, nonchè di un importo, ritenuto equo nella misura indicata dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *