Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-10-2011) 25-10-2011, n. 38681

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. La difesa di C.F. propone ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale di Palermo del 7 giugno 2011 con la quale, parzialmente accogliendo la richiesta di riesame, è stata annullata l’ordinanza del gip di quel Tribunale, limitatamente al reato di cui al capo M), riqualificato ai sensi dell’art. 318 cod. pen., confermando per il resto la misura degli arresti domiciliari applicata, in relazione all’ulteriore reato di corruzione propria.

Si lamenta col primo motivo violazione di norma processuale per avere il giudice valutato l’esigenza cautelare invertendo il principio della presunzione d’innocenza e valorizzando la negativa personalità dell’indagato sulla base di un grave carico pendente, cui è stata attribuita valenza dimostrativa della pervicacia attuale.

2. Con il secondo motivo si lamenta difetto di motivazione in ordine alla valutazione di sussistenza delle esigenze cautelari, eseguita con riferimento al momento della consumazione del reato, sottovalutando la circostanza che le telefonate che vedevano coinvolto il ricorrente risalgono all’estate 2007, mentre il suo intervento risulta escluso da tutta l’attività di intercettazione seguente, svoltasi fino all’intero anno 2010.

Nel corso di tale periodo il ricorrente ha subito la misura di prevenzione del sequestro e della confisca della sala bingo Las Vegas, nell’ambito della cui gestione erano maturate le condotte per le quali è stata disposta la misura degli arresti domiciliari;

sottratto tale bene non poteva individuarsi alcun collegamento tra l’attività illecita e la condotta dell’imputato, il che esclude le esigenze cautelari del pericolo di reiterazione dei reati e dell’inquinamento delle prove.

Si ritiene quindi che il Tribunale sia incorso in palese contraddizione e manifesta carenza di motivazione, svolgendo valutazioni astratte prive di addentellati con la fattispecie concreta, senza attribuire corretta valutazione al decorso del tempo e al differente contesto verificatosi successivamente alla consumazione dei fatti ascritti al prevenuto.

Del tutto sganciata dalla realtà risulta poi la valutazione operata in ordine al concreto pericolo di reiterazione, omettendo di considerare l’attuale stato di disoccupazione di estraneità del ricorrente ad ogni azione sottoposto ad accertamento successiva al 2007.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

I motivi di ricorso proposti prescindono del tutto dalla motivazione contenuta nel provvedimento impugnato, sulla base della quale è stata giustificata l’emissione della misura degli arresti domiciliari, fondata, contrariamente a quanto allegato dal ricorrente, sull’attività di inquinamento delle prove realizzate dell’imputato, che ha condotto a valutare la concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione, unitamente alla valorizzazione del carico pendente, che ulteriormente dimostrando una condotta difficilmente contenibile nelle regole, faceva propendere per l’alta probabilità di reiterazione.

La valutazione operata risulta corretta e non contraddittoria fondandosi, sul reato di falso contestato contestualmente all’ipotesi corruttiva, sulla tendenza già dimostrata ad alterare la realtà al fine di trame profitto, rispetto alla quale risulta ulteriore indicatore la presenza del procedimento suo carico per il reato di intestazione fittizia di beni.

Del resto risulta già in precedenza costantemente affermata da questa Corte (da ultimo Sez. 6, Sentenza n. 33873 del 15/07/2008, dep. 25/08/2008, imp. Magnante, Rv. 240761) la valenza dei giudizi pendenti in punto di valutazone prognostica di reiterazione dell’illecito, quando, come nella specie, attengano a tipologie di reato della stessa indole, senza che questo smentisca la presunzione di innocenza, trattandosi di un accertamento non definitivo, che deve tenere conto delle condizioni di vita dell’interessato al momento in cui si valuta la possibilità di applicazione della misura.

Il giudizio svolto, nell’indicare concreti elementi di fatto idonei a tratteggiare la personalità dell’imputato, non viola il principio di non colpevolezza costituendo, anche il carico pendente, per espressa dizione normativa, di cui all’art. 133 cod. pen., comma 2, n. 2, uno degli elementi idonei a definire la personalità del reo, ed a fortiori valorizzatale nell’esecuzione di una valutazione prognostica, quale quella richiesta nella specie.

2. Il profilo di fatto, relativo alla condotta successiva al reato e volta ad inquinare le prove, supera la valorizzazione dell’inidoneità della condizione lavorativa successiva alla consumazione del reato, al fine di sollecitare una diversa valutazione sulla pericolosità e permette, contrariamente a quanto allegato in ricorso, di ritenere la coerenza motivazionale e la completezza del provvedimento, e conseguentemente di valutare l’inammissibilità dell’impugnazione proposta.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, nonchè al versamento della somma che finalità valutare può determinare come dispositivo, in favore della cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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