Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-10-2011) 25-10-2011, n. 38680

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La difesa di M.S. propone ricorso avverso l’ ordinanza del 7 giugno 2011 con la quale il Tribunale di Palermo ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip in relazione ai reati di cui capi b) ed m) ed ha sostituito la misura coercitiva della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, ritenendo la sussistenza degli indizi per le ulteriori imputazioni, respingendo le ulteriori richieste.

M. è stato raggiunto dall’ordinanza coercitiva in quanto sospettato di plurimi episodi corruttivi realizzati nella sua qualità di vice direttore della direzione regionale per la Sicilia dell’amministrazione autonoma Monopoli di Stato, unitamente al direttore ed a un funzionario del medesimo ufficio.

Con il primo motivo nel ricorso si lamenta violazione di norme penali e difetto di motivazione con riferimento all’art. 273 cod. proc. pen. e art. 319 cod. pen., osservando che il Tribunale ha parzialmente accolto la richiesta di riqualificazione dei fatti sensi dell’art. 318 cod. pen., ma ha poi ignorato le doglianze mosse avverso i residui capi d’imputazione, con le quali si evidenziava l’insussistenza dei profili di illegittimità nelle ulteriori condotte contestate.

Richiamata la giurisprudenza che tratteggia la differenza tra le ipotesi di cui agli artt. 319 e 318 cod. pen., si rileva che, con la memoria depositata in sede di riesame, si era argomentato che la condotta attribuita l’imputato, funzionario di monopolio, identificata nell’aver fornito a tale S. le cartelle per il bingo al di fuori dai normali orari di lavoro, non poteva inquadrarsi nella fattispecie contestata, posto che le cartelle risultavano pagate, e quindi nei suoi confronti era stato compiuto un atto conforme agli interessi della P.A. In particolare, si contesta l’interpretazione fornita dal Tribunale ad una intercettazione, posto che la medesima conversazione valorizza la circostanza che l’interessato rivendicava il proprio regolare pagamento delle cartelle.

L’ipotesi delittuosa presuppone una costanza di rapporti tra M. e il privato favorito che non ha riscontro in atti.

Analoghi rilievi vengono mossi con riferimento al capo n) d’imputazione, che prevede una contestazione di attività illecita commessa in concorso con altre persone. In argomento si osserva che il Tribunale ha individuato il comportamento illecito tenuto da uno solo dei presunti partecipi, non valorizzando la consapevolezza di tale attività da parte di M.. E’ stata individuata la presenza di un corrispettivo riconosciuto l’odierno ricorrente nell’assunzione di una persona da questi raccomandata, ma non si è evidenziato la connessione causale tra tale condotta e l’atto illegittimo commesso dal concorrente, desumendo da tale correlazione l’illiceità del vantaggio riconosciuto al privato, ed omettendo invece di argomentare sulla valenza delle intercettazioni segnalate della difesa, che consentono una diversa lettura degli atti.

Con riferimento al capo r1) della rubrica si ritiene accertato che l’interessamento del M., unitamente ad altri, ha condotto il privato ad ottenere una licenza attesa per quattro anni, versando una somma inferiore a quella giusta, ed a corrispettivo di tale attività M. avrebbe ricevuto una lavatrice. Su tale profilo con la memoria in sede di riesame si è evidenziato che dal contesto di una conversazione tra il privato ed un coimputato si ricava che era stato quest’ultimo a suggerire al primo la dichiarazione di disponibilità dei locali fino al 2013, che gli permetteva di ottenere una licenza triennale con risparmio sulla cauzione; in ogni caso il trattamento di cui privato avrebbe goduto realizza una prassi lecita e non un indebito vantaggio di questi, ai danni dell’amministrazione.

Analoghe considerazioni vengono espresse con riferimento al capo c) della rubrica, attinente a rivelazione di notizie coperte da segreto;

si rileva in proposito che in base all’ordinanza impugnata si ricava che tale rivelazione sarebbe riconducibile a persone diverse rispetto al M., tanto che quest’ultimo si ritiene coinvolto con valutazione meramente probabilistica, per la partecipazione ad una cena insieme agli altri indagati offerta dalla persona che aveva fruito delle informazioni.

Il Tribunale avrebbe quindi desunto l’illiceità delle condotte dalle pretese utilità ricevute, peraltro di minima entità ed individuabili in un pranzo e nella ricezione di una lavatrice;

poichè la modesta entità dei donativi esclude anche il delitto di corruzione impropria di cui all’art. 318 cod. pen., inquadrando la condotta realizzata dal privato in atto di cortesia lecito ed inidoneo ad incidere sull’imparzialità, si valuta assente la gravità indiziaria idonea sostenere la legittimità di provvedimento impugnato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

Contrariamente all’assunto difensivo in relazione alle ulteriori imputazioni, per le quali il Tribunale dei riesame ha confermato la qualificazione giuridica ai sensi dell’art. 319 cod. pen. sussistono plurimi elementi identificativi delle illiceità delle condotte compiute in favore del privato, espressamente indicati nel provvedimento impugnato e di fatto ignorati nel ricorso, ove si valorizzano singole attività astrattamente non ascrivibili a quello schema. In via esemplificativa si rileva che, l’esame del provvedimento impugnato, la condotta di recupero delle cartelle fuori dell’orario di servizio, realizzata in favore dello S. non costituisce che uno dei trattamenti favorevoli riconosciuti al privato, risultando dal tenore dei dialoghi intercettati, specificamente indicati nel provvedimento impugnato, un asservimento complessivo di M., che viene indicato dalle persone che conversano dei favori cui aspirano quale "uno dei nostri", sicchè la relativa doglianza esposta dalla difesa in proposito contiene in realtà una sollecitazione alla rivalutazione del merito non ammissibile in questa sede.

Analogamente per gli altri capi d’imputazione la contestazione contenuta nel ricorso volutamele ignora le risultanze degli accertamenti desumibili dalle intercezioni, dalle qua, è dato ricavare la costante assicurazione da parte di M. del suo intervento, conversazioni testualmente citate nell’ordinanza e di trema e di estrema chiarezza quanto a, rapporto sinaliagmatico che lega le rassicurazioni relative sull’intervento del ricorrente in favore del privato.

Anche le ulteriori di doglianze quindi, non individuando il punto che si assume contrastante con la logica espresso nella motivazione, devono riconduci ad una inammissibile sollecitazione ad una diversa valutazione.

La manifesta insussistenza dei vizi lamentati impone la dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione e la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, e della somma, equitativamente indicate in dispositivo, in favore della cassa delle ammende in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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