Cons. Stato Sez. VI, Sent., 23-11-2011, n. 6166 Opere idrauliche e di bonifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con la sentenza di cui si chiede la revocazione, questa Sezione, con decisione n. 8710 del 24 dicembre 2009 in sede di riforma della sentenza di primo grado del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Napoli, V, n. 408 del 27 gennaio 2009, respingeva il ricorso proposto dalla Società Selenia (ora P.) operante nel settore della produzione dei lubrificanti con quattro stabilimenti, uno dei quali incluso nel sito di interesse nazionale di Napoli orientale.

1.1 Il ricorso in primo grado risultava avanzato avverso il verbale della Conferenza dei servizi del 30 gennaio 2008, il decreto ministeriale in pari data e l’accordo di programma del 15 novembre 2007, relativi al procedimento di bonifica dell’area in oggetto.

Nel luglio 2003 la Società aveva avviato il procedimento per la bonifica e la messa in sicurezza dell’area campana di cui sopra, predisponendo il relativo piano di caratterizzazione, che veniva approvato dalla Conferenza dei servizi del 1° ottobre 2004. I lavori venivano condotti nel periodo dicembre 2004febbraio 2005 ed i relativi risultati erano trasmessi alle amministrazioni competenti nel novembre 2006, senza aver peraltro ottenuto la validazione dell’ARPAC.

In data 15 novembre 2007 il Ministero dell’ambiente e le altre amministrazioni interessate sottoscrivevano un accordo di programma per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e la bonifica delle aree comprese nel sito di Napoli Orientale, in particolare dei suoli e delle falde delle aree private in sostituzione e in danno dei soggetti privati.

La relazione finale con i risultati del piano di caratterizzazione della società Selenia (ora P.) veniva discussa nella Conferenza di servizi del 30 gennaio 2008, nella quale venivano richiamate le conclusioni della Conferenza di servizi istruttoria del 12 settembre 2007, che aveva evidenziato profili di criticità dei lavori eseguiti dalla società stessa, e aveva ad essa rivolto osservazioni e prescrizioni al fine di attivare gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza, in particolare il confinamento fisico dell’area inquinata.

In data 30 gennaio 2008 la Conferenza decisoria chiedeva alla Selenia la trasmissione dei risultati della caratterizzazione integrativa, prospettandole due opzioni alternative, contenenti obblighi diversificati sulla messa in sicurezza d’emergenza in caso di sottoscrizione o meno dell’accordo transattivo, alla luce delle risultanze dell’intesa del 15 novembre 2007, di cui sopra.

2. Avverso tale verbale e avverso l’accordo di programma del 15 novembre 2007 e gli altri provvedimenti indicati, la società proponeva, come sopra ricordato, ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, lamentando l’imposizione di adempimenti non dovuti, in aggravamento del procedimento di bonifica avviato ai sensi del d.lgs. 30 aprile 2006, n. 152, con particolare riferimento al confinamento fisico.

2.1 Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania accoglieva il ricorso, ritenendo illegittima la richiesta dell’Amministrazione di presentare entro 30 giorni il progetto di bonifica della falda acquifera senza considerare la necessità dello svolgimento delle specifiche analisi di rischio, nonché per l’omessa considerazione della circostanza relativa al proprietario di terreni che volontariamente intraprenda la bonifica.

3. Il Comune di Napoli impugnava tale sentenza presso il Consiglio di Stato.

L’Amministrazione appellante sosteneva che il Tribunale amministrativo regionale avesse erroneamente attribuito all’accordo di programma una forza vincolante anche nei confronti dei soggetti che avessero già intrapreso un procedimento di bonifica. Dallo stesso verbale della Conferenza del 30 gennaio 2008 appariva invece incontrovertibile l’alternatività dei due procedimenti prospettati, quello iniziato dal privato ai sensi del codice dell’ambiente e quello regolato ai sensi dell’accordo di programma, in ordine ai quali la società era libera di esercitare o meno la propria opzione. Non esisteva quindi alcun obbligo di adesione all’accordo, né alcuna sanzione in caso di omessa adesione: la misura di conterminazione dell’area di proprietà mediante interventi di confinamento/marginamento risultava peraltro già imposta alla Selenia nella Conferenza del 12 settembre 2007, e non derivava pertanto dalla mancata adesione della società all’accordo di programma.

Erronea, secondo l’Amministrazione appellante, era la sentenza anche nella parte in cui presupponeva che l’accordo costituisse un ingiustificato aggravio del procedimento: in realtà, l’accordo proponeva una specifica ipotesi di transazione con i soggetti privati che, aderendo, avrebbero potuto usufruire di particolari benefici posti a carico dei soggetti pubblici, liberandosi nel contempo di oneri che, diversamente, sarebbero restati loro imputati. La legittimità del procedimento introdotto dall’accordo veniva ulteriormente dimostrata dal fatto che l’art. 2 della legge 27 febbraio 2009, n. 13 ne aveva recepito integralmente il contenuto.

Infine, secondo l’amministrazione ricorrente, non corrispondeva a verità che la Conferenza di servizi avesse imposto, come ritenuto dal Tribunale amministrativo regionale, la presentazione di un progetto di bonifica della falda senza aver preventivamente valutato la presenza di agenti inquinanti: il problema dell’inquinamento della falda acquifere era già stato evidenziato in sede di conferenza istruttoria del 12 settembre 2007, nella quale l’Amministrazione aveva richiesto alla società l’immediata attivazione di interventi di messa in sicurezza d’emergenza, e la trasmissione del progetto di bonifica entro 60 giorni. La successiva imposizione del piano di bonifica dell’acqua di falda entro 30 giorni dalla notificazione del verbale della conferenza del 30 gennaio 2008 non costituiva quindi misura immotivata o irragionevole, ma rinnovazione di un ordine già impartito.

4. Il Consiglio di Stato, con la decisione n. 8710 del 20 ottobre 2009, oggi appellata per revocazione, supportava la riforma della sentenza di primo grado con un percorso motivazionale di cui si propongono i passaggi salienti.

Veniva in primo luogo ricordato come l’accoglimento del ricorso da parte del Tribunale amministrativo regionale fosse stato determinato dalla rilevata carenza di istruttoria e dalla ritenuta illogicità del termine di 30 giorni assegnato alla società ricorrente per presentare un progetto di bonifica.

A tale proposito il Collegio riteneva di dover sottolineare la natura facoltativa dell’adesione all’accordo di programma sopra riportato da parte dei proprietari o dei responsabili dell’inquinamento. Prescindendo dall’eventuale carenza di interesse a censurare il contenuto di un accordo al quale si era liberi di non aderire, veniva evidenziato come il meccanismo delineato dall’accordo stesso corrispondesse ai canoni di logicità ed adeguatezza dell’azione amministrativa e al principio di responsabilità, secondo i quali al responsabile deve essere addebitato il costo della bonifica e della messa in sicurezza dell’area in cui questi svolge attività inquinante. Tale responsabilità doveva essere senz’altro riconosciuta nel caso di specie alla società ricorrente in primo grado, in base alla oggettiva considerazione che la stessa società esercitava uno stabilimento di produzione di oli lubrificanti nel sito contaminato.

Sotto un profilo formale, la Sezione riteneva poi che fin dalla conclusione della Conferenza dei servizi del 12 settembre 2007, espressamente richiamata dalla Conferenza decisoria del 30 gennaio 2008, alla società Selenia fosse stata richiesta l’attivazione di interventi di messa in sicurezza d’emergenza, tra i quali la realizzazione di un sistema di confinamento fisico delle acque inquinate. Ciò non risultava quindi conseguenza della mancata adesione all’accordo sopra richiamato, bensì obbligo prescritto fin dal 2007.

Venivano poi espressamente ricordate, e confutate, talune censure relative a dati di fatto. La prima legata alla prospettata circostanza secondo la quale il superamento dei valori di riferimento si produrrebbe a monte dell’impianto di proprietà Selenia; l’altra connessa alla pretesa estraneità della stessa società alla situazione dell’inquinamento del sito.

Nel primo caso il Collegio riteneva che la prescrizione di realizzare interventi atti a diminuire la compromissione fosse del tutto coerente con le risultanze fattuali emerse in causa. Nell’altro caso la pretesa estraneità della società risultava smentita dalle indagini effettuate, secondo le quali i parametri superati erano relativi a sostanze compatibili con quelle utilizzate dalla medesima società per lo svolgimento dell’attività produttiva.

5. Con il ricorso per revocazione oggi in esame, la società P. contesta alla decisione gravata di aver pronunciato senza tener conto della situazione sottostante e, quindi, prospettando un ragionamento incongruente in punto di fatto rispetto al caso in esame e, come tale, censurabile ai sensi dell’articolo 395, n. 4 del codice di procedura civile.

Sostiene la società P. nel proprio ricorso i seguenti, asseriti, punti di fatto:

1.1 le prescrizioni rivolte alla società non risalgono alla Conferenza dei servizi del 2007, ma risultano imposte solo con il verbale del 30 gennaio 2008;

1.2 la validazione dell’ARPAC non è stata effettuata a causa dell’inerzia della stessa, e non perché dalle analisi risultasse una contaminazione;

1.3 è stata l’assenza di tale validazione ad impedire alla società la presentazione delle prescritte analisi di rischio e il successivo progetto di bonifica;

1.4 sussiste di fatto contaminazione da idrocarburi nei suoli, ma non nella falda;

1.5 la contaminazione, in base ai dati prodotti, sussisterebbe già a monte dell’impianto P.;

1.6 la semplice custodia dei luoghi e l’esercizio di attività pericolosa non rende di per sé la società responsabile dell’evento;

1.7 la erronea percezione dei suddetti presupposti di fatto ha influenzato l’esito complessivo del giudizio.

Viene poi eccepita la mancata pronuncia su alcuni motivi di ricorso e su talune eccezioni introdotte nel dibattito.

6. La causa veniva assunta in decisione presso questa Sezione del Consiglio di Stato nella pubblica udienza del 25 ottobre 2011.

6.1 Il Collegio ritiene in premessa di dover ricordare alcuni dei principi che disciplinano l’eccezionale strumento della revocazione (art. 106 Cod. proc. amm.; art. 395 ss. Cod. proc. civ.).

Come ritenuto da diversi precedenti (es. Cons. Stato, V, 18 settembre 2008, n. 4465; VI, 27 febbraio 2008 n. 692), ai sensi dell’articolo 395, comma 4, Cod. proc. civ., l’errore di fatto che può dar luogo alla revocazione consiste in via generale in una falsa percezione, da parte del giudice, della realtà risultante dagli atti di causa: una svista materiale che abbia indotto ad affermare l’esistenza di un fatto che obiettivamente non esiste, oppure a considerare inesistente un fatto che, viceversa, risulti positivamente accertato.

L’errore di fatto revocatorio deve quindi presupporre contestualmente il travisamento da parte del giudice dell’incontestabile contenuto materiale degli atti processuali; un nesso di causalità tra l’errore e la decisione; l’immediata rilevabilità della svista. Ancora, può considerarsi rilevante solo l’errore che sia stato anche decisivo (Cons. Stato, V, n. 2726 del 2009).

6.2 Fermo restando quanto il Collegio stesso intenderà conclusivamente stabilire sull’applicabilità dei principi ora ricordati al caso in esame, si ritiene comunque necessaria una valutazione ed una risposta puntuale ai ritenuti errori di fatto come sopra riportati.

Per quanto riguarda il punto 1.1, non viene qui contestato il fatto che le prescrizioni fossero già state valutate nell’ambito di una precedente Conferenza dei servizi istruttoria. Il verbale della Conferenza dei servizi del 30 gennaio 2008 afferma peraltro che "la Conferenza dei Servizi istruttoria, alla luce dei risultati della caratterizzazione delle acque di falda ha chiesto l’immediata attivazione di interventi di messa in sicurezza d’emergenza nonché la trasmissione del progetto di bonifica dei suoli e delle acque di falda entro sessanta giorni dalla data della Conferenza dei Servizi medesima, unitamente ai risultati della caratterizzazione integrativa".

Relativamente al punto 1.2 non viene contestato il dato di fatto che l’ARPAC non abbia proceduto alla validazione dei dati. Sulle ragioni di tale mancata validazione, si sottolinea che dalle analisi allegate emergevano, nonostante l’esecuzione dei lavori, contaminazioni sia del suolo (con oli minerali e idrocarburi pesanti) sia della falda acquifera. Ciò, e non una presunta inerzia, avrebbe determinato la mancata validazione da parte dell’ARPAC.

Il punto 1.3 conferma poi implicitamente che la società già conosceva la prescrizione di presentare l’analisi di rischio e il successivo progetto di bonifica. Non risulta peraltro che essa abbia tempestivamente eccepito l’impossibilità di presentarla, stante la ritenuta inerzia dell’ARPAC. E ciò in presenza di una situazione di emergenza nella quale si trovava l’area della società, che avrebbe invece reso necessario un intervento immediato.

Sul punto 1.4, va considerato che viene in ogni caso confermato il fatto della contaminazione da idrocarburi nell’area, come evidenziato dal piano di caratterizzazione allegato al procedimento di bonifica.

Per il punto 1.5 non viene contestato il dato di fatto della compromissione della falda. E, come ricordato dalla sentenza di primo grado, è la stessa appellata a riferire che i monitoraggi eseguiti avevano evidenziato la compromissione dello stato qualitativo delle acque in falda (e del resto proprio tale situazione aveva indotto la ricorrente ad avviare volontariamente un progetto di bonifica).

In merito al punto 1.6 va osservato che non viene contestato il dato di fatto che la società eserciti nell’area di interesse attività pericolosa sotto il profilo ambientale, e cioè uno stabilimento di produzione di oli lubrificanti e che la concentrazione di idrocarburi riscontrata nella falda sotterranea sottostante allo stesso stabilimento fosse risultata ampiamente superiore al limite di legge.

Quanto poi al punto 1.7, relativo alla mancata pronuncia su alcuni motivi di ricorso che si assume non essere stati trattati, ritiene il Collegio che l’esame della sentenza di cui si chiede la revocazione evidenzi come i profili richiamati siano stati oggetto di conoscenza e valutazione da parte del giudice di secondo grado.

Ciò in particolare per quanto attiene la pretesa irragionevolezza del termine di trenta giorni concesso alla società per presentare i progetti di bonifica. A tale proposito si ricorda come la sentenza gravata evidenzi come la normativa in vigore consenta, in via di urgenza, l’imposizione di misure atte a contenere la diffusione delle sorgenti di contaminazione e ad impedirne il contatto con altre presenti nel sito e, quindi, a rimuoverle.

Per quanto riguarda poi le doglianze relative a supposti errori di fatto per mancata pronuncia su eccezioni e motivi introdotti nel dibattito (taluni dei quali non trattati nella sentenza di primo grado, in quanto assorbiti) ritiene il Collegio che il percorso motivazionale seguito nella sentenza di cui si chiede la revocazione, renda anche qui evidente, nella consequenzialità logica delle argomentazioni prospettate, l’assorbimento e la non necessarietà dei motivi e delle ulteriori eccezioni avanzate, come reclamato nel ricorso.

6.3 Da quanto sopra dettagliatamente riportato il Collegio non può non osservare come il preteso profilo di erroneità denunciato non afferisca all’assunzione di errori di fatto, come prescrivono la normativa e le diverse pronunce giurisdizionali sopra ricordate. Afferisce invece alla valutazione di elementi di fatto già noti, operata dalla Sezione, sì da costituire un sindacato sul merito della pronuncia, in relazione a diversi punti della res litigiosa, che, come tale,non può essere ammesso.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Sussistono sufficienti ragioni per compensare le spese della presente fase di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *