Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-10-2011) 25-10-2011, n. 38678

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La difesa di R.P. propone ricorso in relazione all’ordinanza dell’11 aprile 2011 del Tribunale di Bari, sezione del riesame, con la quale, parzialmente accogliendo l’impugnazione, è stato confermato il titolo cautelare con riferimento ai reati di associazione transnazionale a fine di spaccio di sostanze stupefacenti, nonchè ad un singolo episodio di cessione della sostanza illecita.

Si lamenta con il primo motivo erronea applicazione dei criteri fissati per determinare la competenza territoriale e vizio logico di motivazione sul medesimo aspetto.

Richiamati i principi in tema di individuazione del giudice competente, si osserva che, dalla lettura del provvedimento custodiale, emerge la configurazione di due distinte associazioni finalizzate alla realizzazione di autonomi reati scopo, tanto che l’attività di indagine risulta ramificata in maniera parallela ed indipendente in relazione all’una ed l’altra associazione, e prevede una trattazione autonoma, anche dal punto di vista grafico, nei provvedimenti applicativi della misura.

Riguardo all’imputazione associativa ascritta a R., pur prevedendo nella contestazione che i fatti risultano accertati nella provincia di Bari e di Lecce, nella descrizione degli eventi si specifica che la costa salentina costituiva il punto di approdo cui giungeva lo stupefacente dall’estero e da cui ripartiva per la successiva commercializzazione. Si assume conseguentemente che l’associazione contestata, pacificamente reato più grave, nonchè la fattispecie più grave tra i singoli episodi di cui all’art. 73, contestati, risultavano tutti commessi nel medesimo territorio salentino.

Si prosegue osservando che anche il criterio di cui all’art. 9 cod. proc. pen., comma 1, non consentirebbe di individuare nel giudice di Bari quello competente, poichè la valutazione del compimento di parte dell’azione non ha riguardo all’associazione sub A), del tutto autonoma rispetto a quella sub L), ma per l’appunto quest’ultima, svolta complessivamente nell’ambito di competenza del giudice di Lecce; le modalità con le quali il Tribunale aveva ritenuto di agire hanno comportato esclusivamente l’applicazione dell’art. 9 cod. proc. pen., comma 3 bis, che deve intendersi invece quale criterio residuale.

Non può essere applicata la norma di cui all’art. 16 cod. proc. pen., non essendo ravvisabile alcuna delle ipotesi di connessione previste dall’art. 12 cod. proc. pen., in quanto diversi sono i soggetti indagati nelle due associazioni, diversi ruoli e le condotte costituenti i reati scopo dei gruppi. Solo P.A. risulterebbe inserito entrambe in entrambe le associazioni, ma con condotte ruoli completamente autonomi, mentre nei confronti di P., ritenuto l’organizzatore e promotore della seconda associazione, risulta contestato solo l’associazione sub L) e reati scopo diversi.

Si ritiene inoltre improprio il richiamo alla deroga di competenza stabilita dall’art. 51 cod. proc. pen., comma 3 bis, poichè il reato sub L) è reato associativo e pertanto comunque la competenza funzionale della DDA dovrebbe essere individuata in quella di Lecce.

Neppure si ritiene sussistente la connessione probatoria, proprio perchè la diversa ramificazione territoriale ha condotto a una contestazione di una autonoma associazione.

2. Con il secondo motivo si lamentano violazione di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) e c), in relazione all’applicazione delle norme di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74 e art. 273 cod. proc. pen..

Si rileva in particolare che al R. è attribuita la responsabilità per l’attività di cui al capo L) dell’imputazione da cui si desumerebbe la stabile collaborazione con P. nella zona di Lecce unitamente ad altri, ed a sostegno di tale tesi si allegano le indicazioni fornite nel corso delle conversazioni intercettate tra I.E. ed il P., che attribuirebbe all’interessato il recupero dello stupefacente sbarcato sulla costa italiana, la frequentazione con i sodali individuati, la circostanza che la qualità di intermediano presuppone un rapporto di fiducia.

Tali essendo le valutazioni del Tribunale, si osserva che da questi elementi non possa desumersi un organico inserimento dell’imputato nella compagine illecita, trattandosi di fatti parzialmente inesistenti e di valutazioni meramente logico presuntive. In particolare si sottopongono a critica le risultanze delle intercettazioni valorizzate dal Tribunale, che era caduto in contraddizione nella parte in cui, pur non ritenendo sufficienti gli indizi sul capo M), di fatto svalutando il portato delle intercettazioni con la I., aveva poi valorizzato lo svolgimento dell’attività descritta in tale capo, a sostegno della tesi della partecipazione all’associazione. La materiale attività svolta dal R. sarebbe solo quella indicata nel capo P), insufficiente a provare la responsabilità associativa.

Si contesta inoltre la presenza di elementi di conferma della stabile frequentazione di R. con altri componenti del gruppo, ed a tal fine si valorizza una conversazione dalla quale sembrerebbe desumersi che l’acquisizione dello stupefacente da parte di una persona collocata in territorio salentino non è attribuibile al R.. A supporto di tali argomentazioni il ricorrente allega tutte le intercettazioni collegate al capo P), ritenendo dimostrato solo il contatto con P., insufficiente a provare l’esistenza di un vincolo associativo.

Si lamenta la valutazione di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato fine di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, che si assume avvenuta in violazione di legge e comunque con motivazione insufficiente. A tal proposito, contestata la sussistenza di indizi del reato di cui al capo P), si ritiene che dalle intercettazioni esaminate nell’ordinanza possa desumersi al più un giudizio di probabilità che l’acquisto fosse andata a buon fine, come testualmente espresso nel provvedimento, risultante in contrasto con le comunicazioni di testo scambiate tra P. e la persona che si assume essere R., che riportano una ricerca vana del primo nei confronti del secondo.

3. Analoghi vizi vengono individuati con riferimento alla valutazione di presunzione legale di pericolosità sociale per la mancanza di attualità di tale condizione di pericolosità, in quanto sulla base della contestazione l’associazione di cui al capo L) l’avrebbe cessato l’attività nel dicembre 2006, nè risulta che nel periodo successivo R. si sia dedicato ad altre attività illecita.

Motivi della decisione

1. Il ricorso risulta fondato solo limitatamente al motivo relativo alle esigenze cautelari.

Quanto all’eccezione procedurale si rileva che la competenza territoriale va valutata sulla base della contestazione e nella specie, al di là dell’autonomia geografica rivendicata dal ricorrente in merito alla specifica attività a lui ascritta, l’impostazione accusatoria si fonda sull’accertamento dell’esistenza di due associazioni per delinquere di cui l’articolazione barese costituisce lo sbocco naturale per lo smercio della sostanza proveniente dall’Albania, del cui ingresso in Italia si occupa l’articolazione leccese.

La difficoltà derivante dalla corretta individuazione del luogo di prima consumazione del reato ove questo abbia natura permanente, non potendosi individuare con certezza il luogo ove l’accordo illecito è stato concluso che tale momento individua, non può essere superata con il richiamo alle circostanze di fatto singolarmente ascrivibili al diretto associato, che secondo l’accusa si sarebbe occupato del trasporto della droga giunta sul territorio salentino.

Infatti, se tale importazione interviene a seguito di un pregresso accordo per lo smercio sul territorio barese, così come è dato ricostruire dall’ipotesi d’accusa, l’individuazione dell’autorità territorialmente competente non risulta viziata da illegittimità.

La ricostruzione difensiva, che colloca l’inizio della consumazione con l’arrivo della droga sulla costa salentina non tiene conto della necessaria previa conclusione di un accordo stabile in tal senso, che, come accennato, costituisce il vero iniziale momento consumativo del reato. Peraltro nei reati plurisoggettivi, quali quelli in esame, le ordinarie norme di competenza subiscono una deroga per il caso di connessione, nella specie ravvisabile, per effetto della presenza della correlazione funzionale tra i due gruppi, confermata dall’individuazione dell’anello di congiunzione, costituito dalla presenza nelle due compagini di P.A. che risulta, in forza della contestazione, stabilmente inserito nei due gruppi come essenziale momento di raccordo dell’attività illecita di entrambi.

Tale condizione di fatto impone di far ricorso ai criteri di cui all’art. 16 cod. proc. pen. e nell’incertezza dell’identificazione dell’associazione costituita per prima e del luogo di sua formazione, che servirebbe a collocare la competenza del giudice ai sensi del primo comma della disposizione citata, stante la pari gravità tra le associazioni, di ritenere competente il giudice nel cui territorio è stato commesso il reato fine più grave, identificato dal Tribunale nel capo E).

La diversa determinazione operata dalla difesa, che condurrebbe ad individuare la collocazione territoriale nel leccese in ragione della valorizzazione tra i reati fine di quelli contestati agli imputati che agiscono in quel territorio, risulta operata nel presupposto fattuale indimostrato, e contrastante con la prospettazione accusatoria, dell’assoluta autonomia dell’associazione salentina rispetto a quella barese, superata alla luce delle richiamate considerazioni . 2. Gli ulteriori rilievi operati dalla difesa circa l’insufficienza di motivazione sugli indizi, in realtà si fondano su una parziale sottovalutazione degli elementi valorizzati a tal fine, in particolare della conversazione intercorsa tra P. e la sua fidanzata dell’epoca, che fa rifermento alla sua ripetuta e costante attività di importazione di grossi quantitativi di sostanza stupefacente, che gli garantivano un reddito rilevante e certo, nella quale viene coinvolto anche R., nonchè delle ulteriori conversazioni intercorse tra R. e P. e valorizzate nel provvedimento, che confermano tale assunto.

La natura dei reati contestati, e lo svolgimento corale dell’attività illecita, non può essere posta in contraddizione con la ritenuta mancanza di indizi a carico del R. per uno dei reati fine, in particolare quello contestato sub M), atteso che tale esclusione non svilisce la portata indiziante degli elementi citati sia sulla contestazione associativa, che sull’altro reato fine, rispetto ai quali, le ulteriori risultanze confermano, in maniera non contraddittoria, la sussistenza di elementi a carico del R., stante l’autonomia esecutiva dei singoli episodi.

In particolare in argomento la difesa contesta l’accertamento della conoscenza personale da parte di R. degli altri correi, circostanza che, da un canto non è essenziale alla configurazione del reato, la quale richiede la coscienza e volontà dell’agente di partecipare ad un programma criminoso concluso con almeno altre due persone, dall’altro è escluso in fatto dalle risultanze della conversazione richiamata dal Tribunale, dalla quale si desume che in una occasione R. ha avuto contatti diretti con i trasportatori della sostanza, non concludendo il ritiro della merce per la scarsa qualità della stessa, il che esclude proprio il riferimento unico del ricorrente a P., peraltro, come già evidenziato escluso dal richiamo operato dalla donna legata a questi, nel corso delle conversazioni intercettate.

Quanto a questi ultimi aspetti è oltremodo significativo che, a fronte della conversazione nella quale la donna richiama proprio la collaborazione di R., in ordine allo scarico della merce, si riscontrino contatti telefonici notturni proprio tra P. e R., attinenti ad un’attività da svolgere insieme; nè a privare di valenza di riscontro la citata conversazione può valorizzarsi la ritenuta carenza indiziaria rispetto alla materiale esecuzione di trasporto, avendo accertato il Tribunale, sulla base delle risultanze del servizio di osservazione predisposto, che pur essendo usato per questo un automezzo della stesso tipo di quello in uso a R., non era stato possibile identificare la persona materialmente alla guida del mezzo.

Analogamente insussistenti son le critiche mosse al provvedimento il relazione alla ritenuta sussistenza del reato fine sub P) che muovono dalla constatazione che, a tutto concedere, si potrebbe ravvisare un tentativo di acquisto, non andato a buon fine, in quanto la merce non viene valutata di buona qualità; la deduzione non considera, la contestazione concorsuale contenuta nel capo di imputazione, e l’ampiezza della stessa, che fa riferimento a tutte le operazioni prodromiche all’arrivo della sostanza che, in quanto oggetto di ordinazione, risultano far parte dell’attività illecita programmata dai correi, che, al di là della mancata conclusione dell’accordo, comunque permette di valutare presenti gli indizi attinenti alla loro partecipazione all’attività già compiuta, che costituisce anch’essa reato, in ragione dell’ampia configurazione normativa della disposizione contestata. In fatto poi non supera il dato, richiamato dal Tribunale, relativo all’intervenuto pagamento, desumibile dalle conversazioni registrate in immediata successione rispetto a tale contestazione, sulla base delle quali si è concluso che in realtà, la cessione doveva considerarsi perfezionata.

Sulla base degli accennati elementi di fatto la motivazione dell’ordinanza impugnata, contestata nel ricorso, appare congrua e non scardinata dalle difformi allegazioni difensive, basate sulla valutazione frammentaria e parziale degli elementi in essa contenuti, con la quale, più che colpire la coerenza del provvedimento, si sollecita di fatto una nuova valutazione di merito, inibita in questa fase.

3 L’esame della motivazione del provvedimento impugnato con riferimento alla valutazione di pericolosità dell’indagato, e di adeguatezza della sola misura carceraria, consente di apprezzare la presenza di un giudizio fondato prevalentemente sulla presunzione, parziale di pericolosità, ed assoluta di adeguatezza della misura massima, espunta dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 231 del 2011 citata, sopraggiunta al provvedimento impugnato, in quanto a fronte dell’oggettiva risalenza nel tempo dei fatti accertati, vengono valorizzati quali elementi indicatori della pericolosità precedenti penali relativi a reati di indole diversa, senza specifica individuazione dell’epoca di commissione di quei fatti, astrattamente idonei ad attestare la persistenza nell’illecito medio tempore, con difetto di valorizzazione di correlazione tra gli eventi considerati.

Ravvisato conseguentemente sul punto un difetto di motivazione si impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente alla parte argomentativa relativa alla valutazione di sussistenza delle esigenze cautelari, con rinvio al Tribunale di Bari per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata, limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia al Tribunale di Bari per nuovo esame sul punto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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