Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-10-2011) 25-10-2011, n.Competenza per territorio 38677

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. La difesa di B.S. propone ricorso in relazione all’ordinanza dell’11 aprile 2011 del Tribunale di Bari, sezione del riesame, con la quale è stato confermato il titolo cautelare emesso dal gip di quella città con riferimento ai reati di associazione a fine di spaccio di sostanze stupefacenti di carattere transnazionale, nonchè per singoli episodi di cessione della sostanza illecita.

Si lamenta con il primo motivo erronea applicazione dei criteri fissati per determinare la competenza territoriale e vizio logico di motivazione sul medesimo aspetto. Richiamati i principi in tema di individuazione del giudice competente, si rileva che dalla lettura del provvedimento custodiale emerge la configurazione di due distinte associazioni finalizzate alla realizzazione di autonomi reati scopo, tanto che l’attività di indagine risulta ramificata in maniera parallela ed indipendente in relazione all’una ed l’altra compagine, tanto da condurre il giudice che ha emesso la misura a svolgere una trattazione autonoma, anche dal punto di vista grafico, nei provvedimenti applicativi.

Riguardo all’imputazione associativa ascritta a B., pur prevedendo nella contestazione che i fatti risultavano accertati nella provincia di Bari e di Lecce, nella descrizione dell’episodio si specifica che la costa salentina costituiva il punto di approdo cui giungeva lo stupefacente dall’estero e da cui la merce ripartiva per la successiva commercializzazione; si assume conseguentemente che l’associazione contestata, pacificamente reato più grave, nonchè la fattispecie più grave tra i singoli episodi di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, art. 73, n. 309, contestati, risultano tutti commessi nel medesimo territorio salentino.

Si prosegue osservando che anche il criterio di cui all’art. 9 cod. proc. pen., comma 1, non consentirebbe di individuare nel giudice di Bari quello competente, poichè la valutazione del compimento di parte dell’azione non doveva riferirsi all’associazione sub A), del tutto autonoma rispetto a quella sub L), ma per l’appunto a quest’ultima, svolta complessivamente nell’ambito di competenza del giudice di Lecce; le modalità con le quali il Tribunale aveva ritenuto di agire avevano in realtà comportato l’applicazione dell’art. 9 cod. proc. pen., comma 3 bis, che indica invece un criterio residuale.

Non si ritiene applicabile la norma di cui all’art. 16 cod. proc. pen., non essendo ravvisabile alcuna delle ipotesi di connessione previste dall’art. 12 cod. proc. pen., in quanto diverse sono le persone indagate nelle due associazioni, diversi ruoli e le condotte, diversi ed autonomi relativi reati scopo dei gruppi. Solo P. A. risulterebbe inserito in entrambe le associazioni, ma con condotte e ruoli completamente autonomi, mentre nei confronti di P., ritenuto l’organizzatore e promotore della seconda associazione con il quale B. aveva contatti, risultano contestati solo l’associazione sub L) e reati fine diversi.

Si ritiene inoltre improprio il richiamo alla deroga di competenza stabilita dall’art. 51 cod. proc. pen., comma 3 bis, poichè il reato sub L) è reato associativo e pertanto comunque la competenza funzionale della DDA dovrebbe essere individuata in quella di Lecce.

Neppure si ritiene sussistente la connessione probatoria, proprio perchè la diversa ramificazione territoriale ha condotto ad una contestazione di una autonoma associazione.

2. Con il secondo motivo si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) ed e) in relazione al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74 e art. 273 cod. proc. pen..

Si rileva in particolare che al B. è attribuita la responsabilità per l’attività di cui al capo L) dell’imputazione da cui si desumerebbe la stabile collaborazione con P. nella zona di Lecce unitamente ad altri, ed a sostegno di tale tesi si allegano le indicazioni fornite nel corso delle conversazioni intercettate tra I.E. ed il P. che attribuirebbe all’interessato il recupero dello stupefacente sbarcato sulla costa italiana, la frequentazione con i sodali individuati, l’utilizzazione di un mezzo di trasporto per i trasferimenti utili allo svolgimento dell’attività, la circostanza che la qualità di intermediario presuppone un rapporto di fiducia.

Tali essendo le valutazioni del Tribunale, si ritiene che da tali elementi non possa desumersi un organico inserimento dell’imputato nella compagine illecita, trattandosi di circostanze parzialmente inesistenti e di valutazioni meramente logico-presuntive, sottoponendosi a critica le risultanze delle intercettazioni valorizzate dal Tribunale, che si ritiene si sia contraddetto nella parte in cui ha valorizzato a carico di B. la realizzazione di reati fine allo stesso non contestati.

Analizzate le conversazioni intercettate, si sottolinea che da alcune di esse emergerebbe la mancata condiscendenza prestata dall’interessato al trasporto richiestogli, o, in altri casi, ove era anche dubbia la sua identificazione, la mancata conoscenza del luogo ove era custodito lo stupefacente, l’impossibilità di ricostruire come effettivamente avvenuta l’azione richiesta, o di identificare il suo oggetto nello stupefacente.

Si allegano i testi delle telefonate contestate.

Si contesta che dagli elementi valorizzati si possa trarre un’effettiva frequentazione di B. con gli altri componenti del gruppo, tale da permettere la verifica nel concreto dell’esistenza dell’associazione e del dolo specifico richiesto. Le risultanze investigative dimostrerebbero, a tutto concedere un rapporto esclusivo dell’interessato con P., che non consentirebbe di concludere sulla sussistenza di elementi sufficienti a suffragare l’ipotesi associativa.

3. Si lamenta erronea valutazione di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato fine di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, art. 73. 309, che si assume avvenuta in violazione di legge e comunque con motivazione insufficiente.

4. Analoghi vizi vengono individuati con riferimento alla valutazione di presunzione legale di pericolosità sociale per la mancanza di attualità della pericolosità in quanto sulla base della contestazione l’associazione di cui al capo L) avrebbe cessato l’attività nel dicembre 2006, nè risulta che nel periodo successivo il ricorrente si sia dedicato ad altra attività illecita, circostanza che in ogni caso esclude l’attualità della pericolosità.

Motivi della decisione

1. Il ricorso risulta infondato.

Quanto all’eccezione procedurale si rileva che la competenza territoriale va valutata sulla base della contestazione e nella specie, al di là dell’autonomia geografica rivendicata dal ricorrente in merito alla specifica attività a lui ascritta, l’impostazione accusatola si fonda sull’accertamento dell’esistenza di due associazioni per delinquere, di cui l’articolazione barese costituisce lo sbocco naturale per lo smercio della sostanza proveniente dall’Albania, del cui ingresso in Italia si occupa l’articolazione leccese.

La difficoltà derivante dalla corretta individuazione del luogo di prima consumazione del reato ove questo abbia natura permanente, non potendosi individuare con certezza il luogo ove l’accordo illecito è stato concluso che tale momento individua, non può essere superata con il richiamo alle circostanze di fatto singolarmente ascrivibili al diretto associato, che secondo l’accusa si sarebbe occupato del trasporto della droga giunta sul territorio salentino.

Infatti, se tale importazione interviene a seguito di un pregresso accordo per lo smercio sul territorio barese, così come è dato ricostruire dall’ipotesi d’accusa, l’individuazione dell’autorità territorialmente competente non risulta viziata da illegittimità.

La ricostruzione difensiva, che colloca l’inizio della consumazione con l’arrivo della droga sulla costa salentina non tiene conto della necessaria previa conclusione di un accordo stabile in tal senso, che, come accennato, costituisce il vero iniziale momento consumativo del reato. Peraltro nei reati plurisoggettivi, quali quelli in esame, le ordinarie norme di competenza subiscono una deroga per il caso di connessione, nella specie ravvisabile, per effetto della presenza della correlazione funzionale tra i due gruppi, confermata dall’individuazione dell’anello di congiunzione, costituito dalla presenza nelle due compagini di P.A. che risulta, in forza della contestazione, stabilmente inserito nei due gruppi come essenziale momento di raccordo dell’attività illecita di entrambi.

Tale condizione di fatto impone di far ricorso ai criteri di cui all’art. 16 cod. proc. pen., e nell’incertezza dell’identificazione dell’associazione costituita per prima e del luogo di sua formazione, che servirebbe a collocare la competenza del giudice ai sensi del primo comma della disposizione citata, stante la pari gravità tra le associazioni, di ritenere competente il giudice nel cui territorio è stato commesso il reato fine più grave, identificato dal Tribunale nel capo E).

La diversa determinazione operata dalla difesa, che condurrebbe ad individuare la collocazione territoriale nel leccese in ragione della valorizzazione tra i reati fine di quelli contestati agli imputati che agiscono in quel territorio, risulta operata nel presupposto fattuale indimostrato, e contrastante con la prospettazione accusatoria, dell’assoluta autonomia dell’associazione salentina rispetto a quella barese, superata alla luce delle richiamate considerazioni . 2. Nel merito delle contestazioni operate con gli ulteriori motivi di ricorso le pretese contraddizioni del provvedimento costituiscono, in realtà, elementi argomentativi non idonei a superare la valenza degli indizi valorizzati dal primo giudice, in particolare desumibili dalle conversazioni tra P. e la donna alla quale era legato, che fanno chiaro riferimento ad una costante attività illecita compiuta di concerto, tra gli altri, proprio con l’odierno ricorrente, sulla cui identificazione in forza dei dati forniti della conversazione, nessun dubbio viene avanzato neppure dalla difesa.

Dalle diverse conversazioni esibite non è dato ricavare alcuna contraddizione tra tale accusa e quanto verificatosi nel concreto, vertendo le telefonate intercettate su singoli accordi attuativi, che non richiedevano l’esplicitazione di eccessivi particolari, e rimandavano quindi ad un accordo pregresso di cui finiscono per costituire conferma. Peraltro, le contestazioni contenute in ricorso, ed attinenti l’effettivo coinvolgimento di B. nelle operazioni illecite, che si assume non riscontrato in forza della concatenazione logica delle conversazioni, ignora il dato di fatto chiaramente indicato nell’ordinanza impugnata, in forza del quale sono state ritenute valida conferma della partecipazione all’illecito la captazione di conversazioni tra P. ed il suo referente albanese, nelle quali si fa riferimento a B., e questi partecipa alla conversazione, tanto che gli operanti ne hanno riconosciuto la voce, circostanza di fatto non contestata nella sua effettività nel ricorso che, sottolineando elementi di segno contrario, sollecita a questa Corte una valutazione di merito, che esula dal vaglio di coerenza e logicità delle motivazione del provvedimento oggetto di impugnazione rimessole in forza dell’art. 606 cod. proc. pen., lett. e).

Anche l’asserita collaborazione del ricorrente con il solo referente albanese stride con le emergenze desumibili dalla conversazione citata, che individua una collaborazione corale tra più individui espressamente identificati; anche sotto tale profilo quindi non sussistono elementi di contraddizione della motivazione con i dati processuali, difformemente da quanto dedotto in ricorso.

3. Corretta risulta altresì la valutazione di sussistenza delle esigenze cautelari, alla luce degli elementi di fatto richiamati e costituiti dalla presenza di precedenti specifici a carico di B. che da sola consente di valutare l’elevato ed attuale pencolo di reiterazione, non risultando neppure allegati mutamenti radicali nella condotta di vita, tali da far ritenere ormai ascrivibili al passato le scelte illecite, nonchè l’adeguatezza della misura alla luce dell’inserimento dell’interessato in un’azione illecita più di soggetti che agisce a livello transnazionale, come correttamente posto in luce dal giudice di merito che, focalizzando tali evidenti indicatori di elevata pericolosità, ha di fatto escluso la valenza della presunzione relativa di pericolosità, ed assoluta di adeguatezza, della misura, secondo il dettato normativo applicabile in epoca antecedente alla pronuncia della Corte Costituzionale che ha sancito il contrasto di tale previsione con la Carta fondamentale, operando in senso contrario una valutazione del merito, completa e coerente saldamente ancorata alla situazione di fatto.

4. Ne consegue che debba giungersi al rigetto del ricorso proposto, e conseguentemente alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

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