Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 12-04-2012, n. 5768 Procedimento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione promosse l’azione disciplinare nei confronti della Dott.ssa G. C., magistrato con funzioni di giudice presso il Tribunale di Reggio Calabria incolpandola, in due distinti procedimenti:

(nel proc. N. 64/2009) degli illeciti disciplinari di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. a) e g), segnatamente consistiti:

A) nell’avere omesso di depositare, nel termine di novanta giorni, le sentenze pronunciate nei confronti di imputati in stato di custodia cautelare: F.G. e G.M., condannati con sentenza del 30 gennaio 2007 – depositata con circa otto mesi di ritardo – alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione e di Euro 1.600,00 di multa per il delitto di cui agli artt. 99 e 110 c.p., art. 628 c.p., commi 2 e 3 (violazione grave, dell’art. 544 c.p.p., comma 3, per le conseguenze che ne sono derivate, determinata da negligenza inescusabile che non aveva consentito di osservare il termine di un anno per la pronuncia della sentenza d’appello ex art. 303 c.p.p., comma 1, lett. c, n. 2);

e:

B) nei confronti di D.A. e L.D., condannati con sentenza del 6 novembre 2006 – depositata con un ritardo di un anno e tre mesi – alla pena di dodici anni e quattro mesi di reclusione per i delitti di omicidio, ricettazione, porto e detenzione illegali di arma (violazione grave, dell’art. 544 c.p.p., comma 3, per le conseguenze che ne sono derivate, determinata da negligenza inescusabile che non aveva consentito di osservare il termine di un anno e nove mesi per la pronuncia della sentenza d’appello ex art. 303 c.p.p., comma 1, lett. c, n. 3 e art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c);.

(nel proc. N. 127/2009);

A) degli illeciti disciplinari di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. a) e g), consistiti nell’avere omesso di depositare, nel termine di novanta giorni, le sentenze pronunciate nei confronti degli imputati C.R., V.F., I.N. e V.V., condannati, unitamente ad altri imputati, con sentenza del 21 novembre 2006 – depositata con un ritardo di un anno e dieci mesi circa – a pene varie per i delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione ed altri, all’esito di altrettanti giudizi abbreviati, con conseguente cessazione della misura coercitiva (violazione grave, dell’art. 544 c.p.p., comma 3, per le conseguenze che ne sono derivate, determinata da negligenza inescusabile che non aveva consentito di osservare il termine di un anno e nove mesi per la pronuncia della sentenza d’appello ex art. 303 c.p.p., comma 1, lett. c, n. 3 e art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c);

e degli illeciti disciplinari di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. q), segnatamente consistiti:

B) nell’avere ritardato, in modo reiterato, grave ed ingiustificato il deposito, nei procedimenti n. 3023/04 a carico di T.C. + 8, e n. 4632/04 a carico di G.D.S. + 1, di ulteriori due provvedimenti giurisdizionali adottati nei confronti di imputati detenuti (rispettivamente il 15 aprile 2008 e il 15 maggio 2008), omettendo di depositare le relative sentenze nonostante il superamento, alla data del 24 marzo 2009, dei triplo dei termini previsti dalla legge, così rendendo concretamente ipotizzabile il rischio di una possibile scarcerazione di detti imputati;

C) nell’avere, pur dopo numerosi solleciti, ispezioni ministeriali e procedimenti disciplinari, ritardato in modo reiterato, grave ed ingiustificato il deposito di provvedimenti giurisdizionali decisi nel corso delle sue funzioni di giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria, in particolare non tenendo fede all’impegno assunto il 13 ottobre 2008 circa il "programma di lavoro di rientro dalle pendenze" esistente al momento di lasciare le predette funzioni per assumere quelle di componente della Corte di assise e del Tribunale misure di prevenzione di Reggio Calabria.

2. Con sentenza n. 67/2010 de 20 aprile 2010, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura assolse la Dott.ssa G. dalle incolpazioni contestatele, per essere risultati esclusi gli addebiti. Motivando questa decisione il giudice disciplinare osservò che l’incolpata:

– per molti anni era stata impegnata con continuità nella trattazione, sovente non programmabile, sia di richieste cautelari sia di processi molto impegnativi, comportanti anche adempimenti e sforzi organizzativi che non trovano riscontro nelle statistiche, in un ufficio notoriamente caratterizzato da gravi disfunzioni e costretto a far fronte, con un organico inadeguato, all’elevata (per quantità e per qualità) mole di lavoro proveniente dalla locale Procura della Repubblica di Reggio Calabria;

– ciò nonostante, aveva costantemente dato prova di scrupolo e di disponibilità, ad esempio tenendo nell’agosto 2008, in prossimità del passaggio ad altro incarico, un processo le cui particolari difficoltà – del tutto verosimilmente fonte anche di particolare stress – emergono chiaramente dalla deposizione del collega Dott. Gr.;

– in tale contesto, aveva comprensibilmente accumulato una condizione di temporaneo affaticamento che, coincidendo con il periodo in cui doveva essere attuato il programma di recupero, ha anche finito con l’incidere sui ritardi che ne erano oggetto.

3. Accogliendo il ricorso del Ministro della giustizia, questa Corte, con sentenza 14 aprile 2011 n. 8488 cassò la sentenza disciplinare affermando i seguenti principi:

a) il ritardo nel deposito delle sentenze e degli altri provvedimenti giurisdizionali integra l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. q), qualora sia – indipendentemente da ogni altro criterio di valutazione – oltre che reiterato e grave, anche ingiustificato, come tale intendendosi – in ogni caso – il ritardo che leda il diritto delle parti alla durata ragionevole del processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, e art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;

b) diversamente da quanto avveniva nella vigenza del R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 18, perchè tale illecito sia integrato, non rilevano – quali condizioni per la sua stessa configurabilità – nè la compromissione del prestigio dell’Ordine giudiziario o il venir meno della fiducia e della considerazione di cui il magistrato deve godere, nè la sussistenza di scarsa laboriosità o di negligenza dello stesso magistrato, nè la valutazione della complessiva organizzazione dell’ufficio di appartenenza e di tutte le funzioni svolte dal magistrato oltre quelle interessate da detto ritardo, in quanto nessuno di tali elementi è previsto dalla fattispecie tipica del nuovo illecito disciplinare;

c) tali circostanze di fatto – laboriosità o no del magistrato incolpato, suo carico di lavoro, organizzazione dell’ufficio giudiziario di appartenenza, funzioni giurisdizionali concretamente svolte – ed altre ancora, possono rilevare, se adeguatamente dimostrate, quali indici di "giustificazione" del ritardo, vale a dire quali situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo che determinino la concreta "inesigibilità" del rispetto dei termini stabiliti per il deposito dei provvedimenti giurisdizionali;

d) in ogni caso, la soglia di giustificazione deve ritenersi sempre superata in concreto, qualora il ritardo leda il su richiamato diritto delle parti alla durata ragionevole del processo;

e) quando, per quantità di casi ed entità del ritardo, risulti superata in concreto tale soglia di giustificazione, il comportamento del magistrato è di per sè espressione di colpa, quantomeno in relazione all’incapacità di organizzare in modo idoneo il proprio lavoro (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 16557 del 2009, 7000, 14697 e 19704 del 2010).

La forte annullò quindi la sentenza, con rinvio alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della magistratura perchè, nel riesaminare il caso, si uniformasse ai principi di diritto enunciati, aggiungendo che avrebbe potuto anche utilizzare dei criteri comparativi, mettendo a confronto il numero dei provvedimenti depositati dall’incolpata con quelli depositati da altri magistrati dello stesso ufficio che abbiano operato in condizioni comparabili, beninteso con il rispetto del limite di giustificazione costituito dal carattere ragionevole del ritardo.

4. All’esito del giudizio di rinvio, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con sentenza 16 novembre 2011, ha ritenuto che a reiterazione e la gravità dei ritardi contestati siano indiscusse, e che in particolare la gravità sia dimostrata dal fatto che essi avevano anche raggiunto i due anni, e avevano per di più talora cagionato la scarcerazione di imputati in custodia cautelare. Ha inoltre considerato che a giustificazione erano state addotte situazioni prive di specifica idoneità a causare i ritardi; che l’incolpata si era presentata come magistrato impegnato e laborioso nel contesto di un ufficio in difficoltà, ma non aveva allegato quelle circostanze eccezionali e transitorie idonee a giustificare ritardi superiori a un anno e scarcerazioni di imputati detenuti; che l’imputata non aveva avuto una produzione significativamente superiore a quella degli altri colleghi del medesimo ufficio; e che non aveva rispettato il piano di smaltimento dell’arretrato che aveva concordato con il capo dell’ufficio, adducendo a giustificazione solo generici problemi di salute.

All’incolpata è stata pertanto irrogata la sanzione della censura.

5. Per la cassazione della sentenza ricorre la difesa con cinque motivi.

Motivi della decisione

6. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 649 c.p.p. in relazione ai fatti contestati per violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a e g. L’impugnazione da parte del ministero della precedente sentenza assolutoria si era concentrato sulla "giustificatezza" del ritardo, elemento riferibile esclusivamente agli illeciti per violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. q, di cui ai capi B e C come sopra riportati, per i quali soltanto aveva prodotto effetto l’impugnazione proposta dal Ministero.

7. Il motivo è inammissibile. Nella sentenza impugnata si afferma espressamente che la precedente decisione della stessa sezione disciplinare era stata cassata esclusivamente con riferimento agli addebiti di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. q), cui si erano riferiti i motivi d’impugnazione proposti dal Ministero della giustizia, sicchè solo essi erano ancora in discussione, sebbene in epigrafe fossero riprodotti anche gli altri capi d’incolpazione.

8. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 627 c.p.p., comma 3, e la mancanza di motivazione relativamente alla rilevazione dei fattori giustificativi, e precisamente delle carenze organizzative e di personale dell’ufficio, l’eccezionale carico di lavoro, le funzioni giurisdizionali svolte e le precarie condizioni di salute.

Con il successivo motivo si denuncia la mancanza di motivazione relativamente al giudizio di ragionevolezza del ritardo ed esigibilità della condotta doverosa, a tanto non essendo sufficiente l’affermazione che non erano state allegate circostanze eccezionali e transitorie idonee a giustificare i ritardi superiori ad un anno e scarcerazioni di imputati detenuti.

Con il quarto motivo si denuncia la mancanza di motivazione relativamente al ricorso al criterio comparativo.

Con il quinto motivo si lamenta un difetto di motivazione relativamente al giudizio di ingiustificatezza del ritardo rispetto alle enunciate caratteristiche di laboriosità dell’incolpata.

Con l’ultimo motivo si denuncia il vizio di motivazione relativamente al mancato rispetto del piano di rientro.

9. Le censure sono tutte riferibili alla motivazione sull’inesistenza di cause di giustificazione, e possono essere esaminate insieme. Esse sono infondate.

Come è ricordato nello stesso ricorso, il vizio d’insufficienza della motivazione delle pronunce della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, denunciabile con il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è rilevabile solo nell’ipotesi di obiettiva deficienza del criterio logico che ha indotto il giudice disciplinare alla formulazione del proprio convincimento ovvero di mancanza di criteri idonei a sorreggere e ad individuare con chiarezza la "ratio decidendi" (Cass. Sez. un. 21 dicembre 2009 n. 26825). Nella fattispecie, la motivazione dell’impugnata sentenza in punto di mancanza di giustificazioni valide per i ritardi contestati tiene doverosamente conto dei principi enunciati da questa Corte in occasione della cassazione della precedente sentenza pronunciata dal CSM nello stesso procedimento. L’affermazione che non erano state addotte circostanze eccezionali e transitorie idonee a giustificare i ritardi contestati è tale da dar pienamente conto delle ragioni della decisione, e sfugge alla censura in esame, gravando semmai sulla difesa l’onere di esporre – negli stretti limiti compatibili con il giudizio di legittimità – quali sarebbero le circostanze eccezionali e transitorie che avrebbero giustificato in concreto i singoli ritardi contestati, e che, pur essendo state sottoposte al giudice disciplinare, sarebbero state da questi ignorate.

Tali circostanze non emergono in realtà dalla precedente sentenza di questa Corte, nella quale si riferisce che l’assoluzione era stata giustificata sulla base di elementi (qui riportati al punto 2. dello svolgimento del processo) nei quali o è del tutto assente il puntuale riferimento cronologico ai periodi rilevanti ai fini dei fatti contestati, o sono valorizzate qualità personali dell’incolpata in contrasto con i principi regolatori della materia dell’illecito disciplinare da ritardo dei provvedimenti, o è valorizzato un temporaneo affaticamento che, al di là del suo riferimento esclusivo all’ultimo capo d’incolpazione, era del tutto generico.

Ma siffatte circostanze eccezionali e transitorie non emergono neppure dalla sintesi contenuta nel ricorso, che si espone alla medesima censura di genericità, e di inadeguatezza ai principi di diritto applicabili nella fattispecie, che ha portato alla cassazione della precedente sentenza del CSM, perchè non tiene conto della necessità di un’indagine sul rapporto di causalità specifica tra le cause di difficoltà e i ritardi (cfr. Cass. Sez. un. 17 gennaio 2012 n. 528).

Infondato è poi l’assunto che la laboriosità sarebbe stata indicata da queste Sezioni unite tra gli indici di giustificazione dei ritardi. Al contrario, le qualità personali sono state esplicitamente ritenute irrilevanti nell’accertamento della consumazione dell’illecito in questione (conf. Cass. Sez. un. 30 marzo 2011 n. 7193). Il riferimento al criterio comparativo non contraddice al principio enunciato, perchè non mira ad accertare una mera qualità personale del magistrato, ma a ricercare degli indici (in questo caso, attraverso il confronto con il lavoro mediamente svolto dai colleghi) dell’esigibilità dal magistrato di un maggiore sforzo di puntualità nel deposito dei provvedimenti, nel contesto particolare in cui si trovava ad operare.

Infine, quanto alla motivazione sull’ultimo capo d’incolpazione, dalla precedente sentenza di questa corte, n. 8488/2011, risulta che il mancato rispetto del piano di rientro era state giustificato non già, come si assume nel ricorso, con "l’eccessiva impegnatività" del piano, bensì con il "temporaneo affaticamento". L’affermazione che il piano di recupero sarebbe stato "ictu oculi troppo impegnativo in quanto comportante la definizione di tutto l’arretrato in poco tempo", pure contenuta in quella sentenza, è troppo generica a fronte della successiva, condivisibile, osservazione che il magistrato addetto al settore penale ha "il dovere di recuperare i ritardi secondo uno schema predisposto, finalizzato ad evitare, per quanto possibile, il verificarsi di particolari conseguenze", perchè potesse essere utilmente riproposta nella decisione in sede di rinvio.

9. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione, il 13 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2012

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