Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-10-2011) 25-10-2011, n. 38676

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La difesa di M.M. propone ricorso avverso l’ordinanza del 27 aprile 2011 del Tribunale di Napoli con la quale è stato respinto il riesame avverso la misura della custodia cautelare in carcere applicata dal gip del medesimo ufficio in riferimento all’imputazione di cui all’art. 416 bis cod. proc. pen..

Con il primo motivo si lamenta violazione di norma penale processuale e vizio di motivazione in relazione alla valutata sussistenza di elementi indiziari del reato contestato.

Richiamati gli approdi giurisprudenziali a riguardo, si osserva che solo due collaboratori hanno individuato il M. quale componente dell’associazione, dichiarando P.C. che questi era organico al clan perchè aveva il compito di eseguire estorsioni;

a C.G., dopo averlo indicato come addetto al medesimo ruolo, ha precisato di non conoscerlo direttamente e di essersi fatto sulla sua funzione nel gruppo un’idea personale. L’inattendibilità di tali dichiaranti risulta evidente alla luce della circostanza che, malgrado le indagini in corso, nessuno specifico episodio di estorsione era mai stato attribuito al ricorrente.

In riferimento alle dichiarazioni indicate è stata poi omessa la valutazione di attendibilità intrinseca, sicchè il Tribunale nel valutare la convergenza del molteplice, è incorso in un vizio giuridico.

Quale ulteriore elemento a carico risultano valorizzate delle telefonate compiute nell’arco di sole tre ore in singolo giorno per dimostrare la frequentazione di questo con soggetti pericolosi, elementi che da soli non si ritengono indicativi di indizi del reato contestato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile contestando la valutazione di merito che risultano correttamente svolta nel provvedimento impugnato, e pertanto si sottrae ai vizi in esso lamentati.

Nel provvedimento introduttivo infatti si sottopone a critica solo parte dell’ordinanza, ignorando non solo il compiuto richiamo in esso operato alla valutazione di credibilità oggettiva e soggettiva dei dichiaranti, ma anche la messe dei riscontri, desumibile dalle osservazioni di p.g. e dalle intercettazioni acquisite.

Alla luce di tale ricostruzione, che attesta la partecipazione di M. all’attività di raccolta informazioni sulle persone cui formulare richieste estorsive, del tutto irrilevante è la circostanza del suo mancato coinvolgimento in azioni intimidatorie, in ragione delle ordinarie norme sul concorso di persone reato, che consentono di attribuire il fatto antigiuridico ai partecipe ove consapevole dell’attività altrui, realizzi anche la parte dell’azione che, atomisticamente considerata, non assumerebbe le caratteristiche tipiche del reato.

Il quadro indiziario non può essere svalutato esclusivamente valorizzando la natura ravvicinata nel tempo delle conversazioni esaminate nell’ordinanza, costituendo le stesse soltanto uno degli elementi di riscontro, ad ulteriore conforto dei quali intervenne, qualche mese dopo, l’arresto dell’interessato in compagnia degli altri componenti l’associazione illecita, sorpresi nella fragranza del possesso di armi, elemento particolarmente significativo che, saldato all’indizio derivante dalle intercettazioni, fornisce solido riscontro alle chiamate di correità, escludendone la genericità.

Anche la pretesa aspecificità della dichiarazione resa da C., ed apparentemente dovuta a sue sensazioni, sfornite di riscontro, non risulta fondata, posto che l’esame del provvedimento ha consentito di accertare che l’interessato, ha collocato M. nell’ambito di svolgimento dell’attività estorsiva, sapendo che questa era l’attività cui era dedicato il gruppo a cui faceva riferimento, e soprattutto sapendo che dagli stessi egli veniva stabilmente retribuito, con corresponsione di compenso mensile, il evidenzia che l’indicazione fornita, e correttamente valutata rilevante dal Collegio, aveva le caratteristiche di concretezza idonee a farle acquisire la valenza di indizio.

Gli elementi esposti denotano la manifesta infondatezza del ricorso proposto cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, e della somma, valutata equa nella misura indicate nel dispositivo, in favore della cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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