Cons. Stato Sez. VI, Sent., 23-11-2011, n. 6162 Beni di interesse storico, artistico e ambientale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La provincia di Ancona (ricorrente nell’ambito del ricorso per revocazione n. 4811/2009) e il Comune di Ancona (ricorrente nell’ambito del ricorso per revocazione n. 5135/2009) riferiscono che con decreto ministeriale 30 giugno 1993 fu stabilito che il gruppo scultoreo denominato "bronzi dorati di Cartoceto di Pergolà (rinvenuto nel corso del 1946 nel territorio comunale di Pergola) restassero "assegnati per esposizione museale permanente" presso il museo civico di quella città.

Il decreto in questione fu impugnato dal Comune di Ancona e dalla Provincia di Ancona dinanzi al T.A.R. delle Marche il quale, con sentenza n. 277 del 1994, dichiarò i ricorsi in parte inammissibili e in parte improcedibili.

La sentenza in questione fu confermata con decisione di questo Consiglio di Stato n. 559 del 1997.

2. All’indomani delle richiamate vicende giudiziarie, le Amministrazioni interessate alla conservazione e alla gestione dei bronzi (in primis: il Ministero per i beni e le attività culturali, quale proprietario, ma anche la locale Soprintendenza, nonché la Regione Marche, la Provincia e il Comune di Ancona, la Provincia di Pesaro Urbino e il Comune di Pergola) avviarono una serie di iniziative finalizzate all’individuazione della più adeguata collocazione del gruppo scultoreo in questione.

In particolare, con una prima convenzione in data 1° luglio 1999 le Amministrazioni concordarono in ordine ad alcune modalità volte a garantire "la fruizione, la promozione, la valorizzazione e la gestione integrata" del gruppo scultoreo per il periodo settembre 1999 – marzo 2001, rinviando al contempo ad un successivo atto convenzionale per quanto riguarda la definizione di ulteriori modalità relative alla sua tutela, valorizzazione e gestione.

A questo punto della vicenda, la provincia di Pesaro Urbino si rese promotrice di una ulteriore iniziativa convenzionale destinata ad esplicare i suoi effetti sino al 31 dicembre 2004.

In particolare, il testo della convenzione (in atti), recante la data del 27 luglio 2001, prevedeva:

– l’istituzione di un comitato consultivo di gestione (art. 3);

– la definizione del riparto delle spese relative al programma di valorizzazione culturale del bene (art. 5);

– che fino alla fine di settembre del 2001 il complesso sarebbe rimasto presso il Museo Archeologico di Ancona e che a partire dal mese di ottobre 2001 (e per almeno due anni a seguire) esso sarebbe stato collocato presso il museo di Pergola.

La convenzione stabiliva, inoltre, che per il periodo successivo, la collocazione del complesso statuario sarebbe stata decisa dal Comitato consultivo.

La convenzione in questione fu sottoscritta dai rappresentanti della Regione Marche, della Provincia e del Comune di Ancona, della Provincia di Pesaro Urbino e del Comune di Pergola.

Da una delle copie della convenzione (in atti), risulta che il documento fu sottoscritto in calce all’ultima pagina anche da un dirigente generale del Ministero e dal competente Soprintendente per la Regione Marche. La firma viene preceduta dalla seguente dicitura: "il Ministero per i Beni e le Attività Culturali farà fronte agli oneri di cui all’art. 5 nei limiti delle risorse disponibili".

A questo punto della vicenda, il Sottosegretario di Stato pro tempore per i beni e le attività culturali sottoscriveva una nota del 30 gennaio 2002, rivolta alle Autorità coinvolte nella questione, con la quale comunicava che "al fine di garantire la migliore tutela, ho ritenuto inammissibile la precedente decisione", cioè la soluzione prevista dalla convenzione del 27 luglio 2001, "che avrebbe causato il frequente spostamento di opere fragili e importanti, pertanto ho deciso di lasciare i bronzi nella sede di Pergola".

Con una successiva nota del 31 gennaio 2002, lo stesso Sottosegretario invitava il locale Soprintendente ad adottare provvedimenti puntuali idonei a garantire la permanenza a tempo indeterminato dei "bronzì nella sede di Pergola.

Quindi, con provvedimento in data 4 febbraio 2002, il Soprintendente per i Beni archeologici delle Marche comunicava alle amministrazioni pubbliche interessate dalla vicenda che "il deposito, già in essere, del gruppo scultoreo noto come "bronzi dorati di Cartoceto di Pergolà deve intendersi, fino a nuovo ordine, a tempo indeterminato".

3. Gli atti statali da ultimo richiamati venivano impugnati con due distinti ricorsi (nn. 315 e 331 del 2002) dal Comune di Ancona e dalla Provincia di Ancona dinanzi al T.A.R. delle Marche, il quale, previa riunione, li accoglieva, annullando gli atti oggetto di impugnativa (con la sentenza n. 1015 del 2003).

Con l’appello n. 3714 del 2004, tale pronuncia veniva gravata dal Comune di Pergola dinanzi a questo Consiglio di Stato, il quale, con la sentenza n. 3066 del 2008, oggetto del presente giudizio di revocazione, accoglieva l’appello e, per l’effetto, disponeva la reiezione dei ricorsi di primo grado, proposti dal Comune e dalla Provincia di Ancona.

4. Con i ricorsi in esame, la sentenza del Consiglio di Stato n. 3066 del 2008 è stata impugnata con il rimedio della revocazione ordinaria (art. 395, n. 4) c.p.c.) da parte della Provincia di Ancona (ricorso n. 4811/2009), nonché da parte del Comune di Ancona (ricorso n. 5135/2009).

Ad avviso delle Amministrazioni ricorrenti, la sentenza d’appello risulterebbe viziata da un errore di fatto revocatorio, di carattere determinante, per avere affermato (contrariamente alle risultanze in atti) che le autorità statali non si sarebbero comunque potute considerare vincolate dal contenuto della convenzione in data 27 luglio 2001, atteso che essa non risultava mai firmata da un organo statale.

Quanto alla sussistenza del richiamato errore di fatto, le Amministrazioni ricorrenti hanno richiamato la documentazione acquisita nel corso del secondo grado del giudizio, dalla quale emergerebbe per tabulas che (contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza n. 3066 del 2088) la convenzione in data 27 luglio 2001 sia stata effettivamente sottoscritta anche dai rappresentanti della competente direzione generale e della locale Soprintendenza.

Quanto al carattere determinante dell’errore di fatto in parola ai fini dell’adozione della pronuncia oggetto del ricorso per revocazione, le Amministrazioni ricorrenti affermano che esso emergerebbe con evidenza, se solo si consideri che:

a) la motivazione della sentenza d’appello ha ritenuto che gli organi ministeriali non sarebbero risultati neppure in astratto vincolati dal contenuto di una convenzione da essi non sottoscritta;

b) un ulteriore passaggio della sentenza, secondo cui gli atti ministeriali del gennaiofebbraio 2002 risultavano espressione non illegittima di un potere discrezionale, risulterebbe anch’esso fondato in modo determinante sulla ritenuta inesistenza di alcun accordo (del quale, pertanto, non poteva lamentarsi la violazione).

Ad avviso delle Amministrazioni ricorrenti per revocazione, laddove avesse correttamente rilevato la sussistenza di un accordo (ascrivibile al genus degli accordi di cui all’art. 15 della l. 7 agosto 1990, n. 241), questo Consiglio non avrebbe potuto affermare che i richiamati atti ministeriali del gennaio – febbraio 2002 costituissero mera espressione di un potere discrezionale (svincolato da alcun limite convenzionale), dovendo – piuttosto ritenere che detti atti costituissero "revoca implicità delle statuizioni precedentemente adottate in ordine alla gestione del gruppo scultoreo.

Il Comune di Ancona (ricorso n. 5135/2009), in particolare, ha lamentato che l’errore in questione sarebbe risultato determinante ai fini del decidere, in quanto, "qualora la apposizione della firma di cui si discute fosse stata correttamente individuata, si sarebbe giunti, inevitabilmente, ad un esito processuale diverso" (pag. 12 del ricorso introduttivo).

Si costituivano in giudizio il Comune di Pergola e la Provincia di Pesaro e Urbino, i quali concludevano nel senso della declaratoria di inammissibilità, ovvero per la reiezione dei ricorsi per revocazione.

Le parti hanno depositato molteplici memorie difensive, con cui hanno illustrato le questioni controverse ed hanno insistito nelle formulate conclusioni.

5. Alla pubblica udienza del giorno 28 ottobre 2011 i ricorsi in questione venivano trattenuti in decisione.

DIRITTO

1. Giungono alla decisione del Collegio due ricorsi per revocazione ordinaria (art. 395, n. 4), c.p.c., richiamato dal comma 1 dell’art. 106, c.p.a.), proposti dal Comune di Ancona e dalla Provincia di Ancona avverso la sentenza di questo Consiglio di Stato n. 3066 del 2008, con cui è stato accolto il ricorso in appello proposto dal Comune di Pergola e, per l’effetto, in riforma della sentenza del TAR per le Marche n. 1015 del 2003, è stata disposta la reiezione dei ricorsi nn. 315 e 331 del 2002, con cui erano stati impugnati gli atti del Ministero per i beni culturali ed ambientali, con i quali si era statuito il carattere definitivo della collocazione presso il museo di Pergola di un importante complesso scultoreo di età romana imperiale, denominato "bronzi dorati di Cartoceto di Pergola’.

2. In primo luogo, occorre disporre la riunione delle impugnazioni in epigrafe, in quanto rivolte avverso la medesima sentenza (art. 96, co. 1, c.p.a.).

3. Deve, quindi, essere esaminata l’eccezione sollevata dal Comune di Pergola, secondo cui il ricorso per revocazione risulterebbe inammissibile per carenza di un interesse concreto ed attuale alla sua proposizione, dal momento che l’accordo fra le amministrazioni di data 27 luglio 2001 (rispetto al quale è contestato tra le parti se vi sia stata anche la sottoscrizione di un organo del Ministero per i beni culturali ed ambientali e se tale circostanza sia rilevante nel giudizio), a tutto concedere, avrebbe esplicato i suoi effetti sino al 31 dicembre 2004, con la conseguenza per cui l’eventuale accoglimento dei presenti ricorsi non potrebbe arrecare al Comune e alla Provincia di Ancona alcun vantaggio neppure di carattere potenziale o strumentale.

3.1. L’eccezione è infondata.

Ed infatti, se per un verso è vero che l’articolo 13 della convenzione del 27 luglio 2001 stabiliva che essa avrebbe esplicato i suoi effetti fino al 31 dicembre 2004, per altro verso mette conto richiamare la previsione di cui all’articolo 6, per il quale, decorso un termine (almeno) biennale dall’ottobre 2001, le amministrazioni rappresentate in seno al comitato consultivo di gestione si sarebbero impegnate ad individuare congiuntamente una soluzione relativa alla successiva collocazione dei beni per cui è causa.

Ad avviso del Collegio, l’impegno in tal modo assunto esulava dai limitati ambiti temporali della convenzione e si traduceva nel permanente impegno ad impostare la risoluzione della complessa questione in base al principio della leale collaborazione istituzionale (attraverso il ricorso al modulo consensuale di cui all’art. 15, l. 241 del 1990, al quale era certamente riconducibile la "convenzionè in data 27 luglio 2001).

Conseguentemente, non può ritenersi che il decorso del termine del 31 dicembre 2004 abbia fatto venire meno l’interesse ad invocare il rispetto dell’impegno pattiziamente assunto ad individuare moduli consensuali volti a superare le criticità relative alla collocazione ed utilizzazione del gruppo scultoreo di cui in narrativa: i provvedimenti impugnati con gli originari ricori al TAR per le Marche hanno infatti previsto una collocazione stabile e permanente del complesso scultoreo, che dovrebbe essere posta nuovamente in discussione (in attuazione della convenzione del 27 luglio 2001), per il caso di accoglimento dei ricorsi per revocazione in esame.

4. Una volta chiarita la sussistenza di un interesse concreto ed attuale alla definizione dei giudizi per revocazione, il primo dato su cui si deve pronunciare il Collegio consiste l’esistenza in se dell’errore di fatto revocatorio posto a fondamento del ricorsi in esame (ovvero, circa la correttezza dell’affermazione contenuta nella sentenza d’appello, secondo cui "il Ministero dei beni culturali (non ha mai) sottoscritto l’accordo" in data 27 luglio 2001 – pag. 7 della sentenza in epigrafe).

Valutate le contrapposte e inconciliabili deduzioni delle parti, ritiene il Collegio che dall’esame dei documenti di causa emerge che, effettivamente, nel corso delle precedenti fasi del giudizio di cognizione fossero state versate in atti numerose copie dell’accordo in questione, alcune delle quali alla pagina 8 risultavano del tutto vuote nello spazio successivo al diciassettesimo rigo (quello recante la firma del Sindaco del Comune di Pergola), mentre altre recavano alla medesima pagina 8 altre dieci righe, contenenti:

a) la sottoscrizione da parte del competente dirigente generale del Ministero dei beni e delle attività culturali;

b) la sottoscrizione da parte del coordinatore della Soprintendenza archeologica per le Marche;

c) la seguente dicitura: "il Ministero per i Beni e le Attività Culturali farà fronte agli oneri di cui all’art. 5 nei limiti delle risorse disponibili".

Al riguardo, osserva il Collegio che l’esistenza di tali ulteriori copie dell’accordo (la cui genuinità non risulta contestata in alcuna sede, anche rispetto alla copia recante le sottoscrizioni degli organi statali) induce a ritenere che la sottoscrizione da parte dei medesimi organi ministeriali abbia avuto luogo nel corso di una fattispecie a formazione progressiva, nell’ambito della quale il testo dell’accordo, inizialmente predisposto dalla Provincia di Pesaro e Urbino, è stato sottoscritto in tempi diversi dalle Amministrazioni pubbliche locali coinvolte e, da ultimo, dai richiamati organi ministeriali.

Tuttavia, dal momento che l’espressione di volontà da parte di tali organi risultava decisiva ai fini del perfezionamento delle previsioni contenute nell’accordo (nel quale si adottavano determinazioni ricadenti in primis nell’ambito delle competenze del Ministero), la conseguenza è che il testo che doveva essere preso in considerazione – ai fini della definizione del giudizio conseguente ai ricorsi di primo grado n. 315 e 331 del 2002 – era proprio quello recante la sottoscrizione dei richiamati organi statali e le ulteriori precisazioni dinanzi richiamate.

Pertanto, ritiene il Collegio che la sentenza di secondo grado sia stata emessa prendendo erroneamente in considerazione una versione di un documento (cioè dell’accordo fra le Amministrazioni del 27 luglio 2001) diversa da quella sottoscritta dalle Autorità statali, e dunque un documento diverso da quello che – specificamente invocato sin dal primo grado del giudizio – si sarebbe dovuto esaminare ai fini della decisione.

Conseguentemente, emerge che la sentenza d’appello impugnata per revocazione ha supposto l’inesistenza di un fatto (l’avvenuta sottoscrizione dell’accordo anche da parte degli organi ministeriali e – in via mediata – la sua vincolatività per il medesimo Ministero), la cui verità risulta positivamente stabilita in base alle risultanze in atti (sussistendo così il presupposto previsto dall’art. 395, n. 4, del c.p.c., richiamato dal comma 1 dell’art. 106, c.p.a.).

Né può essere condiviso l’argomento profuso dal Comune di Pergola e dalla Provincia di Pesaro e Urbino, secondo i quali la versione – per così dire – "completà dell’accordo in questione (cioè quella recante anche la sottoscrizione degli organi ministeriali) non fosse stata versata agli atti nel corso delle precedenti fasi del giudizio.

Al contrario, tale versione dell’accordo era stata specificamente depositata già nel corso del primo grado dalla Provincia di Ancona, come documento allegato 3 nell’ambito del deposito effettuato in data 19 aprile 2002, ragione per cui è incontestabile che detto documento fosse conoscibile in sede di appello.

5. A questo punto, il Collegio deve verificare se l’errore di fatto in questione sia risultato essenziale e determinante ai fini della sentenza d’appello, impugnata per revocazione.

Ad avviso del Collegio, tale errore di fatto è stato essenziale e determinante.

5.1. In primo luogo, dalla motivazione della sentenza n. 3066 del 2008 emerge che il suo iter argomentativo risulta fondato in modo determinante sulla circostanza (in questa sede risultata insussistente) della mancata sottoscrizione dell’accordo del 27 luglio 2001 anche da parte del Ministero: la stessa sentenza – riscontrata la circostanza (qui risultata insussistente) – ha tratto l’immediata conseguenza logica per cui l’accordo non avrebbe mai avuto rilevanza giuridica per il Ministero, sì da far ritenere che il successivo provvedimento del Sottosegretario fosse configurabile quale "rifiuto di sottoscrizione" dell’accordo medesimo (pag. 7 della sentenza in epigrafe).

E’ dunque evidente anche l’insussistenza del presupposto di fatto della qualificazione di tale provvedimento come "rifiuto" di una sottoscrizione, in realtà già avvenuta.

Il seguito della sentenza di secondo grado (pagg. 810), inoltre, esamina la correttezza della determinazione assunta dal Sottosegretario prima e dal Soprintendente poi di non aderire al contenuto dell’accordo, ciò che ha condotto alle conseguenti determinazioni amministrative sulla sistemazione del complesso bronzeo.

In definitiva, anche la parte conclusiva della medesima sentenza rinviene il proprio determinante presupposto nella circostanza di fatto (risultata insussistente) della mancata sottoscrizione dell’accordo (circostanza conseguente al deposito di più versioni, ma che allo stesso tempo ha costituito il presupposto fattuale della decisione e ne ha sorretto in modo decisivo l’iter argomentativo).

Sotto tale aspetto, quindi, l’errore dinanzi richiamato è risultato determinante per ogni statuizione posta a base della sentenza di secondo grado.

5.2. Ancora in relazione al carattere determinante o meno dell’errore di fatto in cui è incorsa la sentenza n. 3066 del 2008, occorre esaminare l’eccezione sollevata dal Comune di Pergola e dalla Provincia di Pesaro e Urbino, secondo i quali, anche ad ammettere che a pag. 8 della più volte richiamata convenzione fossero state apposte le sottoscrizioni dei competenti dirigenti ministeriali, ciò non potrebbe indurre a ritenere che essi avessero inteso aderire per intero alle statuizioni ivi contenute.

Hanno dedotto le Amministrazioni ora resistenti che, al contrario, il tenore complessivo della formulazione aggiunta al testo indurrebbe – piuttosto – a ritenere che il Ministero avesse soltanto inteso assumere taluni (peraltro, limitati) impegni in relazione agli oneri di conservazione dell’opera.

L’eccezione non può essere condivisa.

Al riguardo, ritiene il Collegio che la sottoscrizione apposta dai rappresentanti ministeriali in calce all’accordo era evidentemente riferita alla totalità delle sue clausole, mentre la specificazione secondo cui il Ministero avrebbe fatto fronte agli oneri di funzionamento del Comitato consultivo di gestione "nei limiti delle risorse disponibili" non stava certamente a significare che lo stesso ritenesse vincolanti soltanto le disposizioni di cui all’articolo 5 dell’accordo (basti pensare al riguardo che la previsione di cui all’articolo 5 è inscindibilmente collegata alla previsione di cui al precedente articolo 3, istitutivo del Comitato consultivo e alle altre disposizioni che in modo diretto o indiretto disciplinano l’attività del Comitato).

Né può affermarsi che l’apposizione di una tale specificazione, modificando il contenuto stesso dell’accordo, si qualificasse piuttosto come nuova proposta di un accordo mai perfezionatosi.

Al contrario, la precisazione in parola costituiva semmai un mero (e pleonastico) richiamo al principio di stretta legalità che caratterizza l’impiego di risorse pubbliche anche nel settore dei beni culturali, in base al quale gli impegni di spesa devono necessariamente tener conto del carattere autorizzatorio del bilancio (l. 31 dicembre 2009, n. 196 e – in precedenza – l. 5 agosto 1978, n. 468).

In definitiva, la specificazione di cui sopra si limitava a dare atto dell’esistenza di norme di legge idonee a rendere operativo il contenuto dell’accordo anche per gli aspetti attinenti alle autorizzazioni di spesa, in coerenza con il principio desumibile dall’art. 1374, cod. civ.

6. In base a quanto sin qui esposto, il judicium rescindens deve trovare accoglimento, con conseguente annullamento della sentenza di secondo grado, dal momento che essa risulta fondata sulla ritenuta inesistenza di una circostanza (la mancata sottoscrizione dell’accordo del 27 luglio 2001 anche da parte del Ministero), la cui esistenza risulta incontestabilmente provata in atti, dal momento che l’errore in questione è risultato essenziale e determinante nella complessiva motivazione della sentenza.

7. Quanto al judicium rescissorium, nel passare nuovamente all’esame dell’appello proposto contro la sentenza del TAR per le Marche n. 1015 del 2003, ritiene la Sezione che esso vada respinto e che vada confermata la sentenza di primo grado.

7.1. Contrariamente a quanto è stato dedotto con le censure d’appello (e come è stato puntualmente dedotto dalle Amministrazioni allora appellate e ora ricorrenti per revocazione), la sentenza del TAR risulta in primo luogo meritevole di conferma per la parte in cui ha ravvisato la sussistenza della legittimazione ad agire in capo alla Provincia e al Comune di Ancona nell’ambito dei ricorsi al T.A.R. n. 315 e 331 del 2002.

Si tratta, invero, di un profilo puntualmente confermato anche nel’ambito della sentenza oggetto di revocazione (sulla base di considerazioni di buon senso, sulla lesività per le popolazioni locali – e dunque degli enti locali esponenziali – del provvedimento che non consente più la fruizione, sia pure periodica o temporanea, di opere d’arte), con statuizioni dalle quali non si rinvengono comunque ragioni onde discostarsi e in relazione alle quali il Comune di Pergola e la Provincia di Pesaro e Urbino non hanno ritenuto nella presente sede di sollevare ulteriori particolari questioni.

7.2. In secondo luogo, la sentenza di primo grado è meritevole di conferma anche per la parte in cui ha respinto le tesi difensive già articolate in prime cure dal Comune di Pergola, secondo il quale all’accordo in data 27 luglio 2001 dovesse essere negata "ogni giuridica entità e consistenza esistenziale", a causa della mancata sottoscrizione da parte degli organi ministeriali.

Sotto tale aspetto, al fine di confermare l’infondatezza in punto di fatto prima ancora che di diritto della tesi esposta dal Comune di Pergola, rileva quanto sopra esposto ai Par.Par. 4 e 5.

7.3. Anche nel merito, la sentenza del T.A.R. delle Marche è meritevole di integrale conferma, laddove ha rilevato che:

– le note del Sottosegretario in data 30 e 31 gennaio 2002 costituivano atti di indirizzo ai quali si è uniformato il competente Soprintendente nell’adottare il provvedimento in data 5 febbraio 2002;

– l’atto da ultimo richiamato, in attuazione di tali atti di impulso e di indirizzo, doveva essere riguardato quale forma di esercizio in concreto – sia pure non esplicitato – del potere di recesso dall’accordo in data 27 luglio 2001, ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 15, comma 2 e dell’articolo 11, comma 4 della legge n. 241 del 1990.

Sotto tale aspetto, ritiene il Collegio che, nonostante l’art. 15, comma 2, della legge n. 241 del 1990 non menzioni in modo espresso il comma 4 dell’articolo 11 (in tema di esercizio del potere di recesso da parte della P.A. dagli accordi) fra le disposizioni applicabili anche agli accordi fra amministrazioni pubbliche di cui al successivo art. 15, nondimeno è da ritenersi che la effettiva sussistenza di tale potere di recesso emerga quale corollario del principio di inesauribilità del potere pubblico, che caratterizza l’esercizio delle pubbliche funzioni.

Ovviamente, il provvedimento che sia espressione di un tale potere di recesso va adeguatamente motivato, tenendo conto delle circostanze avvenute e delle esigenze di spesa, e se del caso anche della illegittimità della originaria determinazione, ma comunque valutando gli interessi pubblici (e privati) sui quali si va ad incidere.

In altri termini, e con riferimento al caso in esame, il Ministero per i beni culturali ed ambientali era ed è titolare del potere di recesso dall’accordo del 27 luglio 2001, ma il relativo provvedimento può essere considerato legittimo solo ove siano rispettati i principi di congruità e di ragionevolezza, dando puntualmente atto in sede motivazionale delle ragioni di pubblico interesse le quali supportino l’adesione a una soluzione piuttosto che ad un’altra (nel caso di specie, la stabile permanenza del gruppo scultoreo in una sede museale).

Quanto al provvedimento emesso il 30 gennaio 2002 (di impulso delle ulteriori determinazioni del Ministero) ed al successivo atto del Soprintendente (che vi ha dato concreta attuazione), ritiene il Collegio che essi risultino illegittimi, poiché – senza valutare i diversi interessi coinvolti – hanno inciso unilateralmente su un assetto di interessi già consolidatosi, in base all’accordo fra le Amministrazioni, giuridicamente rilevante ai sensi dell’articolo 15 della legge n. 241 del 1990.

Sotto tale aspetto, vanno confermate le conclusioni cui è giunto il TAR, in relazione al carattere apodittico ed immotivato – rispetto al contenuto dell’accordo – della determinazione assunta dal Sottosegretario di Stato in data 30 e 31 gennaio 2002.

In tale occasione, l’organo di indirizzo politico ha affermato che "al fine di garantire la migliore tutela (del bene) ho ritenuto inammissibile la precedente decisione che avrebbe causato il frequente spostamento di opere fragili ed importanti. Pertanto, ho deciso di lasciare i bronzi a Pergola a tempo indeterminato, fermo restando il mio impegno a rafforzare le attività culturali di Ancona e del suo museo archeologico".

In tal modo, l’atto statale, nel non riconoscere alcun rilievo impegnativo al precedente accordo, non ha indicato le specifiche ragioni tali da giustificare l’esercizio del potere di recesso, perché non ha precisato le ragioni di interesse pubblico tali da indurre allo stabile collocamento dei bronzi a Pergola (rispetto all’opposta soluzione) e neppure ha indicato specifici elementi sulla incongruità o sulla irragionevolezza della precedente soluzione, rispetto alle preminenti esigenze di tutela dell’opera d’arte.

Al riguardo, va considerato che nessun elemento è emerso, né è stato dedotto, neppure nel corso del giudizio, per suffragare quanto affermato dal Sottosegretario, su un effettivo pericolo di conservazione dell’opera, conseguente agli spostamenti programmati con l’accordo del 27 luglio 2001.

A sua volta, col successivo suo provvedimento finale – affetto da illegittimità derivata – il Soprintendente si è limitato a disporre in modo parimenti immotivato la permanenza a tempo indeterminato del gruppo marmoreo a Pergola, "in ottemperanza a quanto disposto dal superiore Ministero".

In altri termini, i provvedimenti statali impugnati in primo grado risultano viziati da eccesso di potere, poiché non hanno precisato perché lo spostamento dell’opera d’arte potrebbe nuocere in concreto alla sua conservazione e non ha motivato il perché sia stata individuata una sede museale, piuttosto dell’altra, resasi più volte disponibile.

Il Collegio ritiene, quindi, che in sede di rivalutazione della questione (e fermo restando che ogni determinazione sul punto dovrà avere prioritariamente riguardo all’esigenza di preservare l’integrità del bene), nell’emanare gli ulteriori provvedimenti o in sede di ulteriori accordi, le Amministrazioni coinvolte dovranno lealmente collaborare, al fine di individuare una soluzione allocativa (entro il termine di quattro mesi, decorrente dal deposito della presente sentenza), in coerenza con quanto previsto nell’accordo del 27 luglio 2001.

8. In base a quanto sin qui esposto, previa loro riunione, i due ricorsi per revocazione vanno accolti per la fase rescindente, col conseguente annullamento della sentenza di questa Sezione n. 3066 del 2008, e, previa reiezione in sede rescissoria dell’appello n. 3714 del 2004, va confermata la sentenza di annullamento del TAR per le Marche n. 1015 del 2003.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese delle fasi del secondo grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), pronunciando sui ricorsi per revocazione come in epigrafe proposti, previa riunione, li accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnata decisione della Sezione n. 3066/2008 e, pronunciando sull’appello n. 3714 del 2004, lo respinge, con conferma della sentenza del TAR per le Marche n. 1015 del 2003.

Spese compensate delle fasi del secondo grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Fabio Taormina, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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