Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-10-2011) 25-10-2011, n. 38675

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

l. La difesa di F.G. propone ricorso avverso l’ordinanza con la quale il 16 maggio 2011 il Tribunale di Napoli, ha respinto l’impugnativa del provvedimento del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con il quale non è stata accolta la richiesta di scarcerazione per decorrenza termini.

Si eccepisce con il primo motivo violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., comma 3 e art. 416 bis cod. pen., in riferimento all’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) ed e).

Si rileva in fatto che un decreto di fermo emesso il 3 giugno 2005, convalidato dal gip, fu inizialmente trasfuso in ordinanza cautelare, caducata per motivi formali, relativi all’utilizzabilità delle intercettazioni; a seguito di successivi interventi di legittimità tali operazioni venivano ritenute valide, con la conseguente dichiarazione di utilizzabilità delle fonte di prova.

Pertanto il 7 aprile 2008 veniva emessa nuova ordinanza cautelare che, pur formalmente contestando la condotta associativa come perdurante a tutto 2005, faceva riferimento alla stessa condotta di reato già richiamata nel provvedimento di fermo, sulla base del quale si ricava che il reato risulta tutto commesso in epoca antecedente alla data del fermo.

Il riferimento contenuto nel provvedimento ad un’attività perdurante al dicembre del 2005 non ha alcuna correlazione con la commissione del delitto permanente, il cui accertamento, al fine di individuare la pena edittale alla quale parametrare la durata massima della custodia cautelare, deve fare riferimento all’inizio della condotta perdurante, non alla sua cessazione.

2. Si lamenta con ulteriore motivo violazione dell’art. 303 cod. proc. pen., comma 1, lett. b), numero 3 bis, art. 304 cod. proc. pen., comma 6, interpretati in necessario riferimento ai principi fissati dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 292 del 1998, in quanto il Tribunale ha ritenuto di leggere l’art. 304 cod. proc. pen. comma 6, nel senso di permettere di aggiungere al termine massimo di fase le sospensioni previste dall’art. 303 cod. proc. pen., comma 1, lett. b), n. 3 bis, laddove in realtà la norma tale estensione esclude.

Si sollecita pertanto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza, e la conseguente scarcerazione.

Motivi della decisione

1. L’infondatezza del ricorso risulta evidente dall’esame della concreta situazione processuale.

Si deve preliminarmente rilevare che la contestazione attiene episodi compiuti durante tutto l’arco dell’anno 2005, circostanza che rende applicabile, al fine del computo del termine massimo di custodia di fase, la pena massima prevista secondo la disposizione normativa entrata in vigore nel dicembre di quell’anno, costituendo principio del tutto pacifico che i termini di fase vadano computati in forza del titolo di reato per cui si procede (Sez. 5, Sentenza n. 46835 del 04/12/2007, dep. 17/12/2007, imp. Di Lauro, Rv. 238890), con esclusione di ogni valutazione di merito, rimessa al giudice procedente.

Ciò conseguentemente consente di ritenere corretta la determinazione del termine di custodia relativo alla fase in tre anni complessivi, che andranno a scadenza nel febbraio 2012, come correttamente indicato dal giudice di merito.

2. Sulla base di tale ricostruzione il secondo motivo di ricorso, che fa riferimento ad una non corretta applicazione del disposto di cui all’art. 304 cod. proc. pen., comma 6, astrattamente fondato, non assume rilievo nella specie per la preliminare assorbente considerazione appena espressa.

Il richiamo alla disposizione citata è stato operato dal Tribunale, sia pure con ricostruzione normativa non condivisibile, in via meramente astratta ed ipotetica nel presupposto, la cui fondatezza era stata già negata sulla base della individuazione cronologica contenuta nel capo d’imputazione, che potesse ritenersi applicabile quale indicatore della pena edittale funzionale all’individuazione della base di calcolo, la disciplina sanzionatoria antecedente alla riforma del 2005.

Solo condividendo tale insussistente presupposto avrebbe potuto assumere rilievo, nella specie, il computo dei sei mesi prevista nell’art. 303 cod. proc. pen., lett. b), n. 3 bis) oltre il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 304 cod. proc. pen., comma 6, interpretazione che non può essere condivisa.

E’ bene ricordare che dopo le prime oscillazioni giurisprudenziali questa Corte si è reiterata mente espressa (per tutte Sez. 6, Sentenza n. 15879 del 24/02/2004, dep. 02/04/2004, imp. Setola, Rv.

228816) nel senso di superare l’ambigua espressione letterale contenuta nell’art. 304 cod. proc. pen. ,comma 6, con il riferimento testuale "senza tenere conto", escludendo l’incidenza degli eventi richiamati dall’art. 303 cod. proc. pen., lett. b), n. 3 bis, sul termine massimo, ponendo in evidenza, in forza della ricostruzione sistematica, la valenza elastica di tale termine, che consente di utilizzare l’arco temporale non decorso nelle fasi precedenti, durate meno del termine massimo di custodia per esse previsto o di anticipare la fruizione del termine previsto per la fase successiva, la cui finalità evidente, svelata dalla particolarità dell’applicazione, è quella di contenere, in ogni caso, il termine complessivo consentito. Tale elasticità ha un effetto del tutto estraneo alla funzione del termine massimo, poichè in quel contesto non potrebbe assumere l’efficacia perequatrice che gli è propria, di suddivisione dei tempi massimi di fase, adeguandoli alle specifiche esigenze del processo.

Tuttavia, poichè sulla base del provvedimento impugnato risulta evidente, che il computo dei termini di massimi di fase sia stato operato in forza di diverse determinazioni, che non comportano l’applicazione di tale disposizione di legge, e che, per quanto detto l’individuazione della disciplina sanzionatoria da identificare per il calcolo risulta corretta, non può che giungersi al rigetto dell’istanza proposta, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *