Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-10-2011) 25-10-2011, n. 38553

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 29/4/2011, il Gup del Tribunale di Brescia applicava, ex art. 444 c.p.p., a E.A.M. la pena di anni due e mesi due di reclusione ed Euro 400,00 di multa, per il reato di rapina aggravata e resistenza, riconosciuta l’attenuante del danno patrimoniale di lieve entità equivalente rispetto alla recidiva.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato personalmente, deducendo violazione di legge in relazione all’applicazione dell’art. 444 c.p.p. per violazione del diritto di difesa. Rappresenta che il difensore di fiducia, munito di procura speciale aveva formulato proposta di applicazione della pena finale di anni due, mesi due di reclusione ed Euro 400,00 di multa, senza applicazione di alcuna attenuante ed escludendo l’applicazione della recidiva. In sede di udienza, assente il difensore di fiducia, veniva nominato un sostituto processuale e si addiveniva ad una riformulazione della richiesta, che mantenendo ferma la pena finale, prevedeva la concessione dell’attenuante del danno patrimoniale di lieve entità con giudizio di equivalenza rispetto alla recidiva. Tanto premesso, si duole che tale variazione appare pregiudizievole in quanto l’interessato non potrà usufruire del beneficio della sospensione della pena in sede di esecuzione, ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 5, ed eccepisce che il consenso prestato dall’imputato non può essere considerato valido ed efficace. Eccepisce, inoltre, l’illegittimità delle determinazione della pena, assumendo che la pena pecuniaria non poteva essere aumentata a titolo di continuazione, non essendo prevista la pena pecuniaria dal reato ritenuto in continuazione ( l’art. 337 c.p.).

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Le parti, una volta intervenuto l’accordo e la ratifica del giudice non possono più recedere dal patteggiamento e non possono proporre eccezioni o censure in ordine al merito delle valutazioni sottese al prestato consenso, o ad eventuali nullità verificatesi nella fase procedimentale, alla sussistenza ed alla soggettiva attribuzione del fatto, all’applicazione e comparazione delle circostanze, all’entità e modalità di applicazione della pena (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6898/1997 e n. 6545/1998).

L’applicazione concordata della pena presuppone la rinuncia a fare valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento ed al consenso ad essa prestato (Cass. 5, 1.4.99 n. 7262). Le parti che sono pervenute all’applicazione della pena su loro richiesta non possono proporre in sede di legittimità questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento formulata per il fatto contestato e per la qualificazione giuridica risultante dalla contestazione; l’accusa, come giuridicamente qualificata, non può essere rimessa in discussione (Cass. 6, 2.3.99 n. 2815, ud. 21.1.99, rv. 213471).

Nel caso di specie l’imputato ricorrente riconosce di essere stato presente all’udienza e – pertanto – ha necessariamente conosciuto ed accettato la nuova formulazione della richiesta di "patteggiamento".

Nè è configurabile un vizio nella difesa tecnica dal momento che l’imputato è stato comunque assistito dal sostituto processuale del difensore di fiducia.

Occorre, poi, rilevare che l’obbligo di motivazione da parte del giudice è assolto con la semplice affermazione dell’effettuata verifica e positiva valutazione dei termini dell’accordo intervenuto tra le parti (Cass. 28.2.00, P.M. in proc. Cricchi) e quindi dell’effettuato controllo degli elementi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. conformemente ai criteri di legge. Inoltre è pacifico che: "in tema di patteggiamento, qualora sia concordata la misura finale di una pena, oggetto del controllo affidato al giudice è la pena finale così concordata, in quanto esprimente la sostanziale volontà delle parti, indipendentemente da eventuali errori nei calcoli intermedi." (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5054 del 21/10/1999 Cc. (dep. 11/11/1999) Rv. 216373; Sez. 6, Sentenza n. 1705 del 06/05/1999 Cc. (dep. 16/06/1999) Rv. 214742).

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.500,00 (millecinquecento/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento alla Cassa delle ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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