Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-10-2011) 25-10-2011, n. 38535

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 25/5/2010, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Rimini, in data 19/12/2005, dichiarava non doversi procedere nei confronti di S.N. per essere il reato di appropriazione indebita estinto per prescrizione, confermando le statuizioni civili (la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile G.Q., con la rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la liquidazione del danno).

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di ufficio, impugnando i capi della sentenza che hanno confermato le statuizioni civili di primo grado.

Con il primo motivo deduce violazione di norme stabilite a pena di nullità e vizio della motivazione in relazione all’art. 578 c.p.p..

In particolare si duole che la Corte territoriale ha motivato esclusivamente sull’assenza di prove evidenti dell’innocenza dell’imputato, ex art. 129 c.p.p., omettendo di affrontare compiutamente i motivi dell’impugnazione introdotti con l’atto d’appello.

Con il secondo motivo deduce l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione rispetto a specifici atti del processo puntualmente indicati dal ricorrente. Al riguardo eccepisce che il thema decidendum riguardava esclusivamente l’appropriazione dei documenti inerenti ai brevetti, essendo il brevetto un bene immateriale insuscettibile di appropriazione, pertanto la condotta di commercializzazione non autorizzata dei brevetti non poteva essere presa in considerazione, trattandosi di un mero illecito civile.

Procede quindi a riepilogare la genesi e lo sviluppo dei rapporti fra S. e G. per concludere che non vi è alcuna prova che si sia verificata l’interversione del possesso, non avendo il S. mai negato la paternità progettuale del G., tanto dei brevetti che dei modelli derivati.

Infine contesta la sussistenza del dolo specifico in testa all’agente.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato, quanto al primo motivo.

La giurisprudenza di questa Corte è infatti assolutamente prevalente nel ritenere che in tema di declaratoria di estinzione del reato, l’art. 578 c.p.p. prevede che il giudice di appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale in primo grado è intervenuta condanna, sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili; al fine di tale decisione i motivi di impugnazione proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno, dalla mancanza di prova dell’innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall’art. 129 c.p.p., comma 2 (v. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 6742 del 09/04/1999 Ud. (dep. 28/05/1999) Rv. 213803; Sez. 2, Sentenza n. 9245 del 14/11/2003 Ud. (dep. 01/03/2004) Rv. 228380;

Sez. 6, Sentenza n. 21102 del 09/03/2004 Ud. (dep. 05/05/2004) Rv.

229023).

Nel caso in esame, al contrario la Corte d’appello, partendo dal presupposto che il reato si è estinto per prescrizione, ha perimetrato l’ambito del suo intervento all’interno dei confini delineati dall’operatività dell’art. 129 c.p.p., comma 2. Ha quindi omesso di procedere ad una compiuta valutazione e confutazione dei motivi d’impugnazione proposti dall’imputato ed ha confermato le statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado, motivandola con: "la evidente congruità della liquidazione dei danni operata dal giudice di prime cure", sebbene il Tribunale non avesse operato la liquidazione dei danni, rimessa al giudice civile.

L’assenza di una compiuta valutazione dei motivi di gravame, inficia inevitabilmente la declaratoria in ordine alla conferma delle statuizioni civili, conseguente alla sentenza d’appello, che, alla luce del suesposto principio di diritto, deve essere, pertanto, annullata sul punto, con rinvio degli atti al giudice civile competente in grado d’appello.

Per quanto riguarda l’invocata applicazione dell’art. 129 c.p.p. in punto di responsabilità penale, il ragionamento della Corte d’appello appare esente da censure logico – giuridiche, ed immune quindi da vizi di legittimità. Lo svolgimento dei fatti e l’analisi degli stessi appare sorretto da un percorso argomentativo coerente nelle premesse e nelle conclusioni, al fine di escludere la sussistenza dell’innocenza evidente dell’imputato. Nè le questioni sollevate dal ricorrente scalfiscono la solidità della motivazione sul punto, risolvendosi in una serie di censure in fatto.

Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alle sostituzioni civili, con rinvio al giudice competente per valore in grado d’appello (ex art. 622 c.p.p.) per nuovo giudizio in proposito. Rigetto nel resto.

P.Q.M.

Annulla l’impugnata sentenza limitatamente alle statuizioni civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello per nuovo giudizio.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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