Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-10-2011) 25-10-2011, n. 38526

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Teramo, con sentenza in data 20/2/2008, dichiarava M.C. responsabile dei reati di ricettazione di capi di abbigliamento con segni contraffatti e falso e, con la continuazione, lo condannava alla pena di anni tre, mesi cinque di reclusione e Euro 1450 di multa.

La Corte di appello di L’Aquila, con sentenza in data 17.2.2010,in parziale riforma della sentenza del Tribunale, appellata dell’imputato, applicava anche la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, confermando nel resto l’impugnata sentenza. Proponeva ricorso per cassazione l’imputato eccependo:

a) la nullità della sentenza per vizio di motivazione, non avendo la Corte di merito rilevato che il ricorrente si trovava occasionalmente alla guida dell’automezzo di proprietà della moglie, all’interno del quale è stata rinvenuta la merce contraffatta;

b) eccessività della pena inflitta e modifica peggiorativa della sanzione accessoria.

Motivi della decisione

1) Il ricorso è inammissibile perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4A sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2Asent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955). La Corte di Appello di L’Aquila, invero, con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria, evidenzia come ben 335 capi di abbigliamento contraffatti sono stati trasportati all’interno del furgone condotto dal ricorrente, già noto quale commerciante ambulante dedito alla vendita di prodotti con marchi contraffatti presso i mercati settimanali della zona.

L’imputato, inoltre, non ha fornito alcuna plausibile giustificazione del possesso della merce, di cui non aveva alcuna documentazione a conferma della illecita provenienza.

L’imputato non ha, quindi, fornito una spiegazione plausibile in ordine all’acquisto, al possesso o alla detenzione della marce di illecita provenienza. A tal proposito questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile ò indicazione della provenienza dei beni ricevuti, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (si vedano: Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 27/02/1997 Ud. – dep. 13/03/1997 – Rv. 207313; Sez. 2, Sentenza n. 16949 del 27/02/2003 Ud. – dep. 10/04/2003 – Rv. 224634).

Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.

2) la Corte territoriale ha implicitamente ritenuto valida la motivazione del giudice di primo grado in relazione alla determinazione della pena. Invero la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen..

La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque risulta correttamente applicata dalla Corte territoriale, anche in mancanza di appello del P.M., ai sensi dell’art. 29 c.p., trattandosi di condanna ad una pena non inferiore a tre anni.

L’art. 597 c.p.p., comma 3, non contempla, tra i provvedimenti peggiorativi inibiti al giudice d’appello nell’ipotesi di impugnazione proposta dal solo imputato, quelli concernenti le pene accessorie – le quali, secondo il disposto dell’art. 20 cod. pen., conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa.

Al giudice di secondo grado è, quindi, consentito applicare d’ufficio le pene predette qualora non vi abbia provveduto quello di primo grado, e ciò ancorchè la cognizione della specifica questione non gli sia stata devoluta con il gravame del pubblico ministero (Sez. U, Sentenza n. 8411 del 27/05/1998 Ud. (dep. 17/07/1998) Rv.

210979; Sez. 5, Sentenza n. 8280 del 22/01/2008 Ud. (dep. 22/02/2008) Rv. 239474.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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