T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 23-11-2011, n. 9176

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, deducendo censure di violazione di legge e di eccesso di potere sotto diversi profili, ed evidenziando quanto segue esposto.

Con delibera del 19 gennaio 2010 veniva disposta la revoca del programma speciale di protezione adottato nei confronti di D.G., quale fratello del collaboratore di giustizia D.B., titolare del citato programma. Nella parte motiva del provvedimento impugnato si legge "Considerato che il Servizio Centrale di Protezione ha segnalato numerose violazioni comportamentali poste in atto dai seguenti congiunti del collaboratore, con note che di seguito vengono richiamate ed alle quali si rinvia per completezza dei fatti esposti: D.G., fratello: numerose sono le segnalazioni a carico, relative a reiterate condotte non collaborative con il personale preposto alla sua tutela, si rinvia alle note del Servizio Centrale di Protezione del 2 ottobre 2007, 11 gennaio, 12, 19 e 22 febbraio, 17 e 31 marzo 2008, 26 agosto e 21 ottobre 2009, dalle quali si evince il sistematico rifiuto del D.G. di accettare le regole del sistema, circostanza che ha determinato diversi trasferimenti in altra località protetta per motivi di sicurezza".

In considerazione di ciò, la condotta tenuta dal ricorrente e stata ritenuta "indicativa del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione, e denota l’assoluta inidoneità alle regole del sistema tutorio, configgendo con le esigenze fondamentali di sicurezza sottese al sistema e vanificando la caratterizzazione funzionale e le finalità specifiche del programma di protezione" senza che la restante parte motiva della delibera consentisse effettivamente di comprendere in che modo, concretamente, le condotte contestate al D. si siano poste in contrasto con le esigenze e le finalità tipiche del programma di protezione.

Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dall’Amministrazione, il D. ha proposto ricorso dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe.

Il ricorrente ha avanzato anche una istanza istruttoria finalizzata all’acquisizione dell’atto impugnato e di tutti gli atti ad esso presupposti, preparatori. connessi e conseguenti.

Con ordinanza istruttoria 23 giugno 2011 n. 6411 il Collegio ha chiesto all’Amministrazione di depositare in giudizio documenti chiarimenti e gli atti relativi alla vicenda.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto ed in data 9 settembre 2011 ha eseguito la citata ordinanza n. 6411/2011 depositato note e documenti.

Con successive memorie le parti hanno argomentato ulteriormente le rispettive difese.

All’udienza del 13 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

1. La parte ricorrente ha proposto un unico articolato motivo di ricorso avverso il provvedimento impugnato, deducendo i vizi di eccesso di potere; violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 13 quater della l.n. 82/91; difetto di istruttoria contraddittorietà; erronea ed insufficiente motivazione.

In particolare, il ricorrente ha evidenziato che nel caso di specie, la Commissione si è limitata a richiamare, con il tipico sistema del "rinvio in bianco", alcune circostanze che sarebbero state oggetto di note del Servizio Centrale di Protezione presunte quali indici di condotte "confliggenti con le esigenze fondamentali di sicurezza sottese al sistema". Nessuna delle riferite condotte ha trovato, tuttavia, esplicitazione nel provvedimento impugnato; infatti, non si rintraccia, all’interno del provvedimento contestato alcun elemento utile a rivelare l’iter logicoargomentativo seguito dalla Commissione Centrale nell’adozione della determinazione impugnata. Contrariamente a quanto stabilito dalla normativa applicabile alla fattispecie, la motivazione del provvedimento di revoca non da atto della gravità e della rilevanza dei fatti contestati, al fine di ritenerli oggettivamente idonei a creare un contrasto con le esigenze tipiche del programma di protezione, nonché delle ragioni per le quali tali fatti implichino necessariamente la revoca che, invece, deve essere considerata una estrema ratio, in quanto deve trovare applicazione nei soli casi in cui le problematiche connesse alle condotte contestate non possano trovare altra e più idonea soluzione.

Peraltro, il provvedimento impugnato esplica i propri effetti nei soli confronti di D.G., e non ha riguardato in alcun modo i soggetti appartenenti al nucleo familiare di quest’ultimo. Ciò si traduce nell’imposizione di un illegittimo obbligo di separazione personale in capo al ricorrente ed alla coniuge.

2. L’Amministrazione resistente si è difesa in giudizio contestando le censure avanzate dalla parte ricorrente, affermando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

3. E’ opportuno, prima di valutare le censure avanzate dalla parte ricorrente, esaminare il quadro normativo dettato in materia di protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia.

La materia trova la sua disciplina primaria nel D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 (recante Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 gennaio 1991, n. 12 e convertito in legge, con modificazioni, con L. 15 marzo 1991, n. 82 (in G.U. 16 marzo 1991, n. 64), come modificato dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45.

La disciplina dettata in materia, è completata dalla normativa di rango secondario contenuta nel D.M. 23 aprile 2004, n. 161 (recante il Regolamento ministeriale concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni, ai sensi dell’articolo 17bis del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall’articolo 19 della L. 13 febbraio 2001, n. 45), emanato dal Ministero dell’Interno (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 giugno 2004, n. 147).

Per quanto concerne la protezione dei Collaboratori di giustizia e dei loro familiari, il Capo II, del D.L. n. 8/1991, all’articolo 9 (Condizioni di applicabilità delle speciali misure di protezione) stabilisce che alle persone che tengono le condotte o che si trovano nelle condizioni previste dai commi 2 e 5 del medesimo articolo 9, possono essere applicate speciali misure di protezione idonee ad assicurarne l’incolumità provvedendo, ove necessario, anche alla loro assistenza.

Le speciali misure di protezione sono applicate: 1) quando risulta la inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza; 2) se si tratta di persone detenute o internate, dal Ministero della giustizia – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e risulta altresì che le persone nei cui confronti esse sono proposte versano in grave e attuale pericolo per effetto di talune delle condotte di collaborazione aventi le caratteristiche indicate nel comma 3 del medesimo articolo 9 e tenute relativamente a delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di cui all’articolo 51, comma 3bis, del codice di procedura penale e agli articoli 600bis, 600ter, 600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600quater.1, e 600quinquies del codice penale.

Ai fini dell’applicazione delle speciali misure di protezione, il terzo comma dell’articolo 9 precisa che assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale, le quali devono avere carattere di intrinseca attendibilità; devono, altresì, avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristicoeversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si tiene conto, oltre che dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il gruppo è localmente in grado di valersi (art. 9, comma 6).

I contenuti delle speciali misure di protezione sono stabiliti dall’articolo 13 del D.L. n. 8/1991 e dall’art. 7 del D.M. n. 161/2004, mentre l’articolo 9, comma 4 del medesimo decreto legge prevede che se le speciali misure di protezione indicate nell’articolo 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravità ed attualità del pericolo, esse possono essere applicate anche mediante la definizione di uno speciale programma di protezione i cui contenuti sono indicati nell’articolo 13, comma 5 del medesimo decreto legge e nell’art. 8 del D.M. n. 161/2004, comprendendo, tra le altre, misure di assistenza personale ed economica (cfr. art. 13, commi 6 e ss., D.L. n. 8/1991).

Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 dell’articolo 9 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 del citato articolo 13 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.

L’ammissione alle speciali misure di protezione, oltre che i contenuti e la durata di esse, sono deliberati dalla Commissione centrale di cui all’articolo 10, comma 2, del D.L. n. 8/1991, su proposta formulata dalla competente Autorità giudiziaria inquirente o dal Capo della PoliziaDirettore Generale della Pubblica Sicurezza (cfr. artt. 2 e ss., D.M. n. 161/2004), ai sensi dell’articolo 11 del citato decreto legge, il quale prevede i casi in cui è possibile chiedere un parere, rispettivamente, al Procuratore Nazionale Antimafia ed ai Procuratori Generali presso le Corti di Appello interessati, o al competente Procuratore della Repubblica.

L’ammissione alle speciali misure di protezione avviene all’esito dell’istruttoria del caso concreto e previa assunzione da parte delle persone protette degli impegni di cui all’art. 12 del D.L. n. 8/1991, specificati nell’art. 9, del D.M. n. 161/2004.

Le speciali misure di protezione, oltre ad essere a termine, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 8/1991, possono essere revocate o modificate, ai sensi dell’art. 13 quater del medesimo decreto legge, in relazione ai seguenti fatti o circostanze: – attualità del pericolo; – gravità del pericolo e idoneità delle misure adottate; – condotta delle persone interessate; – osservanza degli impegni assunti a norma di legge.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8/1991, prevede ipotesi di revoca vincolata e ipotesi di revoca facoltativa.

In particolare, costituiscono fatti che comportano la revoca delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli impegni assunti a norma dell’articolo 12, comma 2, lettere b) ed e); 2) la commissione di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale.

Costituiscono, invece, fatti valutabili ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell’articolo 12; 2) la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione; 3) la rinuncia espressa alle misure; 4) il rifiuto di accettare l’offerta di adeguate opportunità di lavoro o di impresa; 5) il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti; 6) ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell’identità assunta, del luogo di residenza e delle altre misure applicate.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8/1991, prevede che nella valutazione da eseguire ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione, specie quando non applicate mediante la definizione di uno speciale programma, si deve tenere particolare conto del tempo trascorso dall’inizio della collaborazione oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese e delle situazioni di pericolo di cui al comma 6 dell’articolo 9 del medesimo decreto legge.

Riguardo alla cessazione delle misure di protezione, l’articolo 11 del D.M. n. 161 del 2004, precisa che le speciali misure di protezione, anche se di tipo urgente o provvisorio ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della legge 15 marzo 1991, n. 82, sono revocate o non sono prorogate nei casi espressamente previsti dalla legge ovvero quando vengono meno l’attualità e la gravità del pericolo o appaiono idonee altre misure adottate. Le misure speciali di protezione possono altresì essere revocate o non prorogate in caso di inosservanza degli impegni assunti da parte dei soggetti ad esse sottoposti in relazione a quanto disposto all’articolo 13quater, commi 1 e 2, della legge 15 marzo 1991, n. 82 e negli altri casi in cui la legge non prevede espressamente l’obbligatorietà della revoca.

A tal fine, il Prefetto e il Servizio centrale di protezione informano la Commissione centrale, l’Autorità proponente e il Procuratore nazionale antimafia o il Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di ogni comportamento o circostanza che possono integrare i presupposti per la revoca delle misure speciali di protezione.

La Commissione centrale, una volta ricevuta dal Servizio centrale di protezione o dal Prefetto la nota informativa di cui al comma 2 del citato articolo 11 del Regolamento, chiede all’Autorità proponente, al Procuratore nazionale antimafia o al Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di esprimere un parere in ordine alla modifica o alla revoca delle speciali misure di protezione, in conseguenza dei fatti segnalati. Qualora le predette Autorità non abbiano emesso il parere entro trenta giorni dalla richiesta della Commissione centrale, quest’ultima decide nel merito, ove non ritenga di prorogare ulteriormente il termine. In ogni caso, il comma 4 del medesimo articolo 11 precisa che il parere reso dall’Autorità proponente non è vincolante.

Con motivata richiesta l’Autorità proponente può indurre la Commissione a verificare la permanenza delle condizioni che hanno determinato l’applicazione delle speciali misure di protezione, provvedendo, se necessario, alla modifica o alla revoca delle medesime (cfr. art. 11, comma 5, D.M. n. 161/2004).

La revoca, come la modifica, delle speciali misure di protezione e dello speciale programma di protezione disposti dalla Commissione Centrale e sottoscritti dall’interessato (art. 12 l. n. 82/1991 e succ. mod.) – e dunque costituenti oggetto di un vero e proprio contratto di natura pubblica, fonte di reciproci diritti ed obblighi – possono essere disposte o per la cessazione, o per la modifica, del presupposto essenziale delle misure, ossia del pericolo cui è esposto il collaboratore di giustizia in conseguenza dei suoi apporti alle indagini, oppure per i comportamenti inadempienti dello stesso collaboratore (Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 1955 del 07042010, che conferma la sentenza del Tar Lazio – Roma, sez. I ter, n. 8197/2004).

4. Ciò posto, le censure avanzate dalla parte ricorrente vanno considerate infondate per le ragioni di seguito indicate.

Nel caso di specie, dall’esito dell’istruttoria – per come emerge e risulta dal tenore del provvedimento impugnato, dallo stralcio del verbale della riunione della Commissione centrale e dalle richiamate note del Servizio Centrale di Protezione (che recano l’indicazione di atti, fatti e circostanze relativi alla fattispecie concreta) – risulta che il D.G. si reso responsabile di una serie di comportamenti contrari alle regole ed agli obblighi imposti con il programma speciale di protezione, come emerge, in particolare, dalla segnalazioni a suo carico, relative a reiterate condotte non collaborative con il personale preposto alla sua tutela (cfr. note del Servizio Centrale di Protezione del 2 ottobre 2007, 11 gennaio 2008, 12 febbraio 2008, 19 febbraio 2008l 22 febbraio 2008, 17 marzo 2008, 31 marzo 2008, 26 agosto 2009 e 21 ottobre 2009 (All.ti 19 dell’Amministrazione resistente), puntualmente richiamate dalla Commissione Centrale. Da tali atti si evince il reiterato rifiuto del D. di accettare e rispettare le regole del sistema di protezione, e la conseguente necessità di procedere a ripetuti trasferimenti in altra località protetta per motivi di sicurezza.

Alla luce di tali circostanze, la Direzione Nazionale Antimafia, con nota del 19 novembre 2009 (All. 10 dell’Amministrazione resistente) ha espresso parere per la revoca dello speciale programma di protezione nei confronti di D.G. (oltre che di altri familiari).

Non risulta aver espresso il parere di propria competenza la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ma alla luce della disciplina sopra richiamata, ciò non assume particolare rilevanza, poiché, ai sensi dell’art. 11, comma 3, del DM n. 161/2004, qualora le Autorità competenti non abbiano emesso il parere entro trenta giorni dalla richiesta della Commissione, la stessa può decidere nel merito ove non ritenga di prorogare ulteriormente il termine.

D.G., sottoscrivendo il programma speciale di protezione, ha assunto espressamente l’obbligo di tenere una condotta conforme alle prescrizioni previste per le persone protette. A fronte di tale impegno, egli risulta aver reiteratamente violato i propri doveri, rendendo incompatibili i propri comportamenti con le finalità del programma di protezione, oltre che con l’esigenza della sua sicurezza personale.

Ciò senza contare che – come correttamente evidenziato dall’Amministrazione resistente – le violazioni al codice di comportamento poste in essere dal D. hanno comportato l’aggravamento dei costi del sistema, rendendo necessario disporre il trasferimento in altra località protetta per motivi di sicurezza, oltre ad esporre inutilmente a rischio il personale preposto alla tutela.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto, poiché la Commissione risulta aver correttamente valutato le condotte tenute da D.G. in contrasto con gli impegni derivanti dal programma speciale di protezione, e aderendo al conforme parere della Direzione Nazionale Antimafia, ha ritenuto sussistenti i presupposti per l’adozione di un provvedimento di revoca del programma speciale di protezione, ai sensi dell’art. 13quater, della l.n. 82/1991.

6. Sussistono validi motivi – legati alla particolarità delle vicenda e delle questioni trattate – per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo respinge il ricorso;

– dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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