Corte Suprema di Cassazione – Penale Sezione V Sentenza n. 45643 del 2005 deposito del 16 dicembre 2005

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Motivi dalla decisione

Con sentenza emessa il 17 dicembre 2002 il Tribunale di Piacenza, in composizione monocratica. ha dichiarato F. M. G. (opponente a decreto penale di condanna per il reato che segue) responsabile della contravvenzione di cui all’art. 186, comma 2, C.d.S. per avere, il 16 maggio 1988 in San Nicolò di Rottofreno, guidato in stato di ebbrezza da ingestione di sostanze alcoliche l’autoveicolo targato APXXX; riconosciute le attenuanti generiche, l’ha condannata alla pena di 880 euro di ammenda, con ambo i benefici di legge.

Ha proposto ricorso per cassazione in data 7 marzo 2003 l’imputata, e mezzo dei difensore, deducendo come unico motivo di ricorso il mancato avviso di estinguibilità del reato mediante oblazione, a seguito della entrata In vigore dei nuovo trattamento sanzionatorio di cui all’art. 52 D. Lgs. n. 274/2000. Afferma la ricorrente che, ove tale avviso le fosse stato dato – come dovevasi, essendo la legge entrata in vigore successivamente alla data dei commesso reato nonché di quella di emissione del decreto penale di condanna da lei opposto – di certo !imputata avrebbe adito la procedura oblatoria così con economia di denaro in quanto la somma da lei dovuta per oblazione dei dine al reato ascrittole (pari a 700 euro) sarebbe stata minore di quella irrogata (di 804 euro), ed il reato sarebbe stato dichiarato estinto una volta avvenuto il pagamento di detta somma. La ricorrente ha chiesto, pertanto, la pronuncia della "illegittimità" della sentenza impugnata "e quindi, successivamente, dichiarare estinto il reato per intervenuta prescrizione", prossima a verifircarsi (il 16 aprile 2003).

Il motivo unico posto a base del ricorso é manifestamente infondato.

Invero il decreto di citazione a giudizio davanti al Tribunale fu emesso a seguito di opposizione proposta dalla F. M. G. avverso decreto penale di condanna, per il reato de quo, alla pena di lire 950.800 di ammenda (sostituita ex art. 53 L. 688181 la pena di 6 giorni di arresto allora prevista, congiuntamente e quella dell’ammenda, per li reato di cui all’art. 186, comma 2, C. d. S.), e, a norma dei comma terzo dell’art. 464, "nel giudizio conseguente all’opposizione, l’imputato non può chiedere il giudizio abbreviato o l’applicazione della pena su richiesta, nè presentare domanda di obiezione", sicchè il decreto di citazione non doveva contenere l’avviso della facoltà di presentare la suddetta domanda (avviso peraltro non previsto neppure dall’art. 480 c.p.p. che elenca i requisiti del decreto di condanna, che indica nella lettera E del suo primo comma soltanto l’avviso della facoltà di chiedere, mediante opposizione, il giudizio immediato, il giudizio abbreviato e l’applicazione della pena e norma dell’art. 444, e non della facoltà di presentare domanda di obiezione).

Va inoltre rilevato, per ragioni di completezza, quanto segue.

La oblazione per il reato contravvenzionale in oggetto è divenuta possibile a seguito della entrata in vigore, in data 2 gennaio 2002, dei D. Lgs. 28 agosto 2000 (Disposizioni sulla competenza penale dei giudice di pace), il cui art. 52, comma 2, lettera c) – correttamente applicato dal Tribunale, competente in redazione alla data del commesso reato ai sensi della norma transitoria dell’art. 64 del citato D. Lgs., in quanto disposizione sul trattamento sanzionatorio più favorevole rispetto a quella dell’art. 186 comma 2 C. d. S. – e costituita dalla pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda) – dispone che quando il reato è punito con la pena dell’arresto congiunta a quella dell’ammenda "si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da 774 euro a 2582 euro o la pena della permanenza domiciliare da venti giorni a quaranta giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da un mese a si mesi (e non già sempre e solo la pena dell’ammenda, come affermato dalla ricorrente).

Peraltro la norma sulla oblazione applicabile in relazione al reato ascritto non era affatto, diversamente da quanto si è sostenuto in ricorso, quella di cui all’art. 162 c. p. (che prevede la estinzione dei reato mediante pagamento di una somma pari ad un terzo del massimo della pena pecuniaria edittalmente previsto e delle spese del procedimento) bensì quella facoltativa di cui all’art. 182 bis dello stesso codice, ai sanai dei quale il reato è estinto ove il contravventore, una volta ammesso alla oblazione, paghi una somma corrispondente alla metà dei massimo dell’ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre alle spese dei procedimento.

Invero questa Corte ha costantemente affermato (Cass. Sez. IV 30-10-2002 n. 40121, P.M. in proc. C. C.; Cass. Sez. IV 23-1-2003 n. 16345, L. L.; Cass. Sez. IV 20-6-2003 n. 39196, P. M. in proc. C. C.; Cass. Sez. IV 29-10-2003 n. 46520, P. M. in proc. F. F.; Cass. Sez. IV 2411-2003 n. 16864, P. G. in proc. T. T.; Cass. Sez. IV 4-2-2004 n. 17610, P. M. in proc.S. S.) che nelle contravvenzioni attribuite alla competenza del giudice di pace sanzionate con l’ammenda ovvero, in via alternativa, con la permanenza domiciliare o con il lavoro di pubblica utilità é applicabile l’ oblazione speciale prevista dall’art. 162 bis c.p. e non l’oblazione di cui all’art. 162 stesso codice, In quanto, trattandosi di sanzioni che l’art. 58 comma primo del D. Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, parifica ad ogni effetto giuridico alle pene detentive, il reato stesso deve ritenersi punito con pena alternativa, detentiva o pecuniaria.

Di conseguenza l’imputata, ove ammessa alla oblazione, avrebbe dovuto pagare la somma di 1261 euro (oltre alle spese del procedimento) e non quella "più conveniente" di 700.000 lire indicata in ricorso nel lamentare la sua avvenuta condanna alla pena di 800 euro di ammenda, frutto del mancato (e non dovutole, per le ragioni già dette) avviso della facoltà di oblare.

Il Tribunale ha erroneamente sospeso ex art. 183 c.p. la pena suddetta, in quanto e norma dell’art. 63 dei D. Lgs., nei casi in cui i reati indicati nell’art. 4, commi 1 e 2, sono giudicati da un giudice diverso dal giudice dl pace, si osservano "le disposizioni del titolo il del presente decreto legislativo, nel novero delle quali è compresa quella dell’art. 80, ai sensi del quale le disposizioni di cui agli arti. 183 e seguenti dei codice penale, relative alla sospensione condizionale della pena, non si applicano alle pene irrogate dal giudice di pace" (vedasi Cass. Sez. IV 28-3-2003 n. 25201, P. G. in proc. C. C.). peraltro la mancanza di impugnazione sul punto preclude a questa Corte di annullare la relativa statuizione.

La rilevata manifesta infondatezza dei motivi posti a base dei ricorso preclude, costituendo causa "originarià di inammissibilità dei medesimo tale, quindi, da non aver consentito il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. e segnatamente la prescrizione dei reato maturata successivamente (con il decorso di 4 anni e 6 mesi ex artt. 157, comma 1, n. 5 e 160 comma ultimo c. p. dalla data del commesso reato) alla pronuncia della sentenza impugnata (Casa. Sez. IV 20-1-2004 n. 18641, T. T.; Cass. Sez. Un. 22-11-2000 n. 32, D. L.).

Per le sin qui esposte ragioni il ricorso va dichiarato inammissibile, a tale declaratoria conseguendo la condanna della ricorrente ai pagamento delle spese del procedimento nonché al versamento, ex art. 616 c.p.p., valutato il grado di colpa rinvenibile nella proposizione della impugnazione, di una somma, a favore della Cassa delle ammende, che va congruamente determinata in 1000 euro.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento doti e processuali e della somma di 1000 euro in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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