Cass. civ. Sez. III, Sent., 13-04-2012, n. 5895 Assegnazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 30 maggio 2006 la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. (di seguito brevemente B.N.L.) conveniva R. C. innanzi alla Corte di appello di Milano, proponendo appello avverso l’ordinanza in data 29 marzo 2006, in tesi avente natura di sentenza, con la quale, nell’ambito della procedura di esecuzione presso terzi promossa ai suoi danni dal C. innanzi al Tribunale di Milano, sez. distaccata di Cassano d’Adda, il G.E aveva disposto l’assegnazione in favore del suddetto creditore procedente della somma di Euro 18.684,29.

Resisteva il C., che deduceva l’inesistenza della procura generale alle liti in base alla quale agiva la banca, l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza dell’appello.

Con sentenza in data 21 maggio 2010 la Corte di appello dichiarava inammissibile l’appello, condannando la B.N.L. al pagamento delle spese processuali.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la B.N.L., svolgendo due motivi, illustrati anche da memoria.

Ha resistito C.R., depositando controricorso e svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale condizionato, affidato a tre motivi, illustrati anche da memoria.

La B.N.L, ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione

1. Per la comprensione dei motivi di ricorso e delle ragioni della decisione pare utile premettere che l’ordinanza di assegnazione della somma di Euro 18.684,29 emessa in data 29.03.2006 dal G.E. ai sensi dell’art. 553 cod. proc. civ. (in tesi avente natura di sentenza) è stata la pronunciata – come risulta dalla trascrizione del provvedimento a pagg. 16 e 17 del ricorso – sulla base delle seguenti premesse argomentative: A) la dichiarazione del terzo era stata positiva e non contestata; B) non risultava pronunciato provvedimento di sospensione nel giudizio di opposizione proposto dalla Banca; C) la questione dell’efficacia estintiva dell’accettazione, sia pure condizionata, dell’offerta reale eseguita dalla Banca in data 06.02.2006 (della quale si era, comunque, tenuto conto nel conteggio allegato dal creditore) non costituiva evidentemente oggetto della precedente opposizione, ma non poteva neppure essere esaminata in sede di assegnazione al fine di ottenere la declaratoria di improcedibilità dell’esecuzione, occorrendo a tal fine la proposizione di apposita opposizione.

1.1. Orbene la Corte territoriale, escludendo il carattere decisorio di siffatta ordinanza e, conseguentemente, dichiarando l’inammissibilità dell’appello, ha rilevato che – sebbene una qualsiasi determinazione del G.E., che si assume erronea per eccesso o per difetto del credito terminale del soggetto procedente, venga per definizione ad incidere sui corrispondenti diritti ad una attribuzione pecuniaria corretta – non per questo la relativa questione è sufficiente a tramutare l’ordinanza di assegnazione in un provvedimento avente contenuto propriamente decisorio, vale a dire esorbitante dalla (delimitata) funzione, deputata a quell’atto conclusivo, di assicurare il soddisfacimento di un accertato diritto di credito, rispetto al quale è previsto il particolare rimedio dell’opposizione agli atti; ha, quindi, evidenziato, con specifico riguardo alla contestazione sull’efficacia estintiva dell’offerta reale in ordine all’obbligazione per cui agiva il C., che – avuto riguardo, da un lato, alla riserva che aveva accompagnato l’offerta della B.N.L., dichiaratasi "pronta ad integrare quanto (…) offerto per il caso di errore materiale o di interpretazione" e, dall’altro, alla corrispondente riserva del C. che aveva accettato l’offerta con "salvezza di ogni suo diritto, già sub iudice e non" – non era derivata da quel pagamento nessuna preclusione definitiva, di modo che il relativo dibattito avrebbe dovuto svolgersi davanti al G.E., raffrontandosi le diverse posizioni nell’udienza conclusiva fissata per i rispettivi riepiloghi contabili, fermo restando, in ogni caso, impregiudicata avverso l’ordinanza di assegnazione l’esperibilità dell’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ., quale rimedio che concerne non solo i vizi di formazione dell’atto, ma anche quelli attinenti a norme che ne disciplinano il contenuto, secondo le evidenze acquisite e in relazione ai poteri del giudice.

2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione agli artt. 530, 615, 131, 132 e 324 cod. proc. civ. per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa i fatti controversi decisivi per il giudizio. Secondo parte ricorrente gli argomenti svolti nell’impugnata sentenza per escludere il carattere decisorio dell’ordinanza appellata, non sarebbero pertinenti dal momento che, nella specie, non vi sarebbe stata una mera contestazione sulla quantificazione del credito terminale, posto che, "in forza delle opposizioni in precedenza proposte" non solo non sussisteva l’asserito diritto di credito, ma, al contrario, ricorreva la necessità, non riconosciuta dal G.E. (in tesi "il giudice del primo grado"), di dichiarare l’improcedibilità dell’esecuzione, per effetto dell’estinzione del debito conseguente all’offerta reale, dichiarata legittima con sentenza prima ancora che il terzo rendesse la dichiarazione. La controversia insorta tra le parti non era, infatti, riferita alla quantità delle somme da assegnare a soddisfacimento del credito, ma all’esistenza o meno del credito, per cui le parti, a tutto concedere, avrebbero dovuto essere messe in condizione di ulteriormente contraddire o essere invitate a precisare le conclusioni.

3. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 530, 615, 131, 132, 112, 113 e 324 cod. proc. civ. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto Anche con questo motivo si deduce che la Corte di appello ha erroneamente ridotto la questione sorta in sede di assegnazione a un mero contrasto quantitativo sul credito azionato; la ricorrente ribadisce, quindi, che il provvedimento del G.E. apparteneva al novero dei provvedimenti decisori e ciò in quanto ha statuito nel merito della controversia insorta tra le parti, avendo deciso non solo la controversia sottoposta al suo esame e insorta in udienza sulla sussistenza dei presupposti dell’azione, ma anche "quella che avrebbe dovuto esserla (ma che non è stata) per violazione delle norme processuali" (così a pag. 40 del ricorso).

4. I due motivi vanno esaminati congiuntamente perchè esprimono un’unica censura, limitandosi, in buona sostanza, a replicare deduzioni già svolte in appello in ordine all’incidenza dell’ordinanza appellata sulle posizioni di diritto soggettivo delle parti e sul conseguente carattere decisorio dello stesso provvedimento, più che evidenziare carenze argomentative o specifiche violazioni di legge della decisione impugnata.

4.1. La soluzione della questione postula evidentemente il concetto di sentenza in senso sostanziale, nel quale rientrano – secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – tutti i provvedimenti pronunciati dagli organi giurisdizionali, che, sebbene non qualificati dalla legge come sentenze, hanno natura di decisione, perchè giudicano in ordine a situazioni di diritto sostanziale delle parti e perciò presentano attitudine alla formazione del giudicato.

Invero, al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, e sia, quindi, soggetto ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, occorre aver riguardo non già alla sua forma esteriore e alla qualificazione attribuitagli dal giudice che lo ha emesso, ma agli effetti giuridici che è destinato a produrre. Sotto tale profilo il provvedimento non ha il carattere della decisorietà e della definitività quando la pronuncia spieghi i suoi effetti solo sul piano processuale, producendo la sua efficacia soltanto all’interno del processo, con la conseguenza che, in tali casi, non è suscettibile di impugnazione innanzi al giudice di grado superiore (cfr. Cass. 3 agosto 2001, n. 10731).

Merita puntualizzare che – come affermato da questa Corte con specifico riferimento ai limiti dell’accesso al ricorso straordinario per Cassazione – l’attribuzione della natura sostanziale di sentenza a un provvedimento del giudice civile, che non sia qualificato come tale, suppone che il potere del giudice sul procedimento che ha portato all’emanazione del provvedimento, sia strutturato normativamente in modo tale che quel giudice, all’interno di esso, si veda riconosciuta la possibilità di emanare sull’azione esercitata una decisione che possa assumere la natura della sentenza (così in motivazione Cass. ord. 24 ottobre 2011, n. 22033). In altri termini perchè un provvedimento possa avere attitudine al giudicato ex art. 2929 cod. civ. e ex art. 324 cod. proc. civ., occorre che esso provenga da un giudice, che – avuto riguardo alla fase processuale in cui il provvedimento stesso venne emanato – abbia la potestas di decidere in via definitiva sui diritti (o status) in contestazione, sicchè il relativo provvedimento, ancorchè non adottato secondo le forme previste, abbia, comunque, quell’attitudine.

4.2. Ciò posto in via di principio e rammentato, altresì, che in tema di esecuzione forzata, vige il principio per cui i provvedimenti del giudice dell’esecuzione e le decisioni rese sulle opposizioni avverso tali provvedimenti debbono essere impugnati, individuando il mezzo di impugnazione in base al potere che nel provvedimento si è dichiarato di esercitare (cfr. Cass. 7 ottobre 2005, n. 19652), osserva il Collegio che l’ordinanza di assegnazione emessa ai sensi dell’art. 553 cod. proc. civ., ancorchè presupponga la necessaria verifica da parte del giudice dell’esecuzione dell’esistenza del titolo esecutivo e della correttezza della quantificazione del credito operata dal creditore in precetto, non ha alcuna attitudine ad acquisire valore di cosa giudicata, in quanto il giudice dell’esecuzione non risolve una controversia nei modi della cognizione con una decisione che fa stato tra le parti, ma esaurisce il suo accertamento nell’ambito della procedura esecutiva, ai soli fini della pronuncia di un provvedimento che opera all’interno e nel contesto di detta procedura. E poichè siffatto provvedimento costituisce l’atto conclusivo dell’esecuzione forzata per espropriazione di crediti, configurandosi esso stesso come atto esecutivo, il sistema di controllo di eventuali vizi è garantito – come per tutti i provvedimenti del giudice dell’esecuzione – attraverso il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cod. proc. civ., che può riguardare non solo le irregolarità formali, ma anche i vizi sostanziali, attinenti alla stessa ordinanza oppure ai singoli atti esecutivi che l’hanno preceduta (cfr. ex multis cfr. Cass. 28 novembre 2003 n. 18226; Cass. 7 agosto 2001, n. 10897; Cass. 28 giugno 2000 n. 8813).

4.3. Il principio appena affermato non contraddice l’orientamento giurisprudenziale invocato da parte ricorrente che riconosce l’impugnabilità con lo strumento dell’appello dell’ordinanza di assegnazione, qualora essa abbia assunto carattere decisorio, per aver inciso su posizioni sostanziali di diritto soggettivo del creditore o del debitore. Invero il rimedio dell’appello, in luogo del mezzo tipico di controllo degli atti del giudice dell’esecuzione, qual è l’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ., è stato ritenuto ammissibile dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 9 marzo 2011, n. 5529; Cass. 23 aprile 2003 n. 6432) solo in ipotesi eccezionali, in cui il contenuto dell’ordinanza di assegnazione fuoriesca da quello ad essa proprio e assuma carattere sostanziale di una sentenza, in quanto decida su questioni che integrano l’oggetto tipico di un procedimento di cognizione, come per esempio quello dell’opposizione all’esecuzione. Al di fuori di tali ipotesi, l’ordinanza di assegnazione – scontato che, proprio perchè comporta il trasferimento del credito dal debitore-esecutato al creditore procedente, coinvolga situazioni di diritto soggettivo – non statuisce su di esse (ergo, non decide, con attitudine al giudicato), risultando, di conseguenza, priva di un requisito imprescindibile per il riconoscimento della sua appellabilità. 4.4. Ai fini dell’economia della presente decisione non occorre indagare se siffatte situazioni eccezionali, che postulano una deviazione dalla funzione propria del provvedimento di assegnazione, siano configurabili nel regime delle opposizioni esecutive conseguito alle riforme susseguitesi negli anni 2006-2009, che riserva al giudice del processo di esecuzione una potestas di tipo cautelare (di sospensione dell’esecuzione o, in genere, in caso di opposizione ex art. 617 cod. proc. civ., di pronuncia dei provvedimenti indilazionabili) nell’ambito di una fase di cognizione meramente sommaria, condizionando l’evoluzione della controversia verso la cognizione piena alla preventiva notificazione di un atto di citazione (di "introduzione del giudizio di merito" ex art. 616 o 618 cod. proc. civ.) ovvero anche (nel caso di opposizione all’esecuzione) di riassunzione dinanzi al giudice competente.

Ciò che è certo, perchè emerge chiaro proprio dai contenuti dell’ordinanza riportati in ricorso è che, nel caso all’esame, il giudice dell’esecuzione non ha affatto condotto e deciso un giudizio di cognizione, ma si è limitato a chiudere il procedimento esecutivo, assegnando al creditore procedente il credito della Banca esecutata verso il terzo pignorato, sul presupposto della pacifica esistenza di detto credito e in considerazione vuoi dell’assenza di un provvedimento sospensivo conseguente all’opposizione pendente innanzi ad altro giudice, vuoi anche della mancata proposizione di un nuovo incidente cognitivo.

4.5. La Corte di appello ha, dunque, fatto corretta applicazione dei principi rilevanti nella fattispecie all’esame e ha fornito congrua e adeguata motivazione delle proprie valutazioni, allorchè ha riconosciuto al provvedimento oggetto di appello il contenuto proprio dell’ordinanza di assegnazione, segnatamente evidenziando come il dibattito svolto innanzi al G.E. in ordine all’efficacia estintiva dell’offerta reale non risultasse neppure sufficientemente argomentato, di tal che appariva incerta anche l’eventuale specifica erroneità della maggiore pretesa del C. (id est, non era stata proposta opposizione all’esecuzione).

E che questa sia la corretta interpretazione del provvedimento in contestazione è confermato proprio dalle vicende processuali riferite da parte ricorrente, in ragione delle quali emerge – al di là della assertiva deduzione del carattere decisorio del provvedimento in ordine alla controversia insorta tra le parti sull’efficacia estintiva dell’offerta reale – che nessuna opposizione venne formalizzata all’udienza fissata per la verifica dei conteggi e che neppure venne richiesto un termine per la sua formalizzazione.

4.6. Le censure di parte ricorrente – esposte in forma farraginosa e, sovente, sovrapponendo e confondendo le vicende che precedettero l’ordinanza in contestazione (e, in specie, quelle riguardanti l’offerta convalidata con sentenza del Tribunale n. 134/2005, cui è cenno nella parte espositiva della sentenza per cui vi è ricorso e quella del 06.02.2006, cui si fa riferimento nel provvedimento di assegnazione) – risultano inidonee a scalfire le corrette affermazioni del giudice di appello in ordine al contenuto non decisorio dell’ordinanza impugnata. In particolare il principale argomento su cui si incentra la difesa di parte ricorrente – e cioè che nella specie non fosse in contestazione la quantificazione del credito, ma la stessa procedibilità dell’azione esecutiva per asserita estinzione dell’obbligazione -non coglie la ratio decidendi, incentrata sul rilievo che l’unica attività svolta dal giudice dell’esecuzione era stata quella di determinare la somma da assegnare e questo rientrava nei compiti propri dello stesso giudice, senza che il relativo provvedimento di assegnazione si traducesse in una pronuncia idonea al giudicato in ordine ai rapporti di dare/avere tra le parti.

Invero il giudice dell’esecuzione si è limitato a valutare la circostanza dell’offerta reale addotta dall’odierna ricorrente, esclusivamente ai fini della procedura esecutiva, rilevando che le relative somme, accettate con riserva, erano state poste a deconto dal creditore procedente e concludendo (qui non rileva se esattamente o meno, posto che eventuali inesattezze, al pari di eventuali violazioni procedimentali, dovevano e potevano essere dedotte con l’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ.) che residuava da assegnare la somma di Euro 18.684,29 per spese e interessi. Ed è chiaro che un provvedimento di tal fatta non ha alcuna attitudine al giudicato, ma esaurisce la sua efficacia nell’ambito del processo esecutivo, risultando esclusivamente funzionale all’emissione di un atto esecutivo, qual è l’ordinanza di assegnazione.

In conclusione il ricorso va rigettato, risultando di conseguenza assorbito quello incidentale condizionato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale condizionato e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.890,00 (di cui Euro 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *