Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-09-2011) 25-10-2011, n. 38547 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nell’ambito del procedimento penale a carico di:

D.A.:

-il GIP presso il Tribunale di Foggia, in data 07.10.2010, emetteva il decreto di sequestro preventivo sui beni del ricorrente, finalizzato anche alla confisca per equivalente L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies, in quanto indagato per i delitti di cui agli artt. 648 e 648 bis c.p.;

-l’indagato proponeva impugnazione ma il Tribunale per il riesame di Foggia respingeva il ricorso;

-successivamente lo stesso D.A. proponeva istanza di revoca del sequestro preventivo relativamente ad un’autovettura BMW M6 targata (OMISSIS), allegando nuova documentazione, istanza che però veniva respinta dal PM;

-anche il Tribunale di Foggia, in sede di appello, respingeva il gravame con ordinanza del 25.05.2011, fondata sull’osservazione che la nuova documentazione non era idonea a scalfire il compendio già analizzato in sede di reclamo;

-ricorre per cassazione il D. a mezzo del Difensore di fiducia, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).

-Il ricorrente censura l’ordinanza per violazione della L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies avendo omesso di considerare che nella specie mancava la prova della sproporzione tra il patrimonio dell’indagato ed il suo reddito, avendo avuto modo il D. di dimostrare:

-che nell’anno 2009 la sua ditta di commercio di veicoli nuovi ed usati aveva avuto un volume di affari pari ad Euro 73.335, come verificato dalla Guardia di Finanza;

-che l’acquisto dell’auto BMW, avvenuto per un prezzo di Euro 60.000, era derivato dalla permuta di un vettura Porche per l’importo di Euro 50.000, sicchè il prezzo residuo effettivamente pagato dal D. era compatibile con i suoi redditi;

-che, per altro, anche l’acquisto della predetta Porche era stato in precedenza effettuato usufruendo di un prestito ottenuto dalla madre;

-che l’istanza di revoca del sequestro dell’autovettura BMW era fondata su elementi nuovi, costituiti dalla prova che nel 2007 la madre del ricorrente, S.I., aveva ottenuto un finanziamento di Euro 50.000 dalla società Ducato Zappy, finalizzato all’acquisto della medesima autovettura, e che tale circostanza era confermata dalla documentazione prodotta e consistente in un’intimazione al pagamento delle rate che la società Ducato Zappy aveva rivolto alla S.I.;

-che da tali elementi emergeva, sia la legittima provenienza del bene e sia l’infondatezza della tesi accusatoria secondo la quale il D. aveva a disposizione somme ingenti ricavate dai proventi di attività delittuose risultando, al contrario, una situazione di difficoltà finanziaria dell’indagato e della di lui madre;

-CHIEDE l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Motivi della decisione

Va premesso che il sequestro in esame è stato emesso nell’ambito della disciplina prevista dall’art. 321 c.p.p. e L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, atteso che il GIP ha motivato in ordine al "fumus" del reato di cui agli artt. 648 e 648 bis c.p., richiamando i dati fattuali su cui si fondava l’imputazione e la necessità di assicurare la futura eventuale confisca.

Del tutto correttamente il Tribunale per il riesame ha ritenuto legittimo il rigetto del PM di revoca del sequestro, richiamando all’uopo la motivazione già adotta in sede di reclamo avverso la misura cautelare reale, nonchè la motivazione posta a base del parere del PM, ricordando come la verifica del Tribunale del riesame sulle condizioni di legittimità della misura cautelare non deve tradursi in un’anticipata decisione della questione di merito riguardante la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravita degli stessi.

(Cassazione penale, sez. 4, 06 novembre 2008, n. 47032).

II ricorrente, in effetti, ripropone i motivi già esposti in sede di reclamo avverso la misura reale cautelare, osservando che la nuova documentazione prodotta sarebbe idonea a dimostrare sia la legittima provenienza del bene e sia l’infondatezza della tesi accusatoria secondo la quale il D. aveva a disposizione somme ingenti ricavate dai proventi di attività delittuose.

In sostanza il ricorrente lamenta che sarebbe venuta meno la prova della sproporzione tra il patrimonio ed il reddito percepito, ma la censura trascura di considerare tutti gli elementi valorizzati dal Tribunale che, ai fini della prova della sproporzione tra il reddito ed il patrimonio, ha sottolineato:

-come il D. non si sia limitato ad acquistare nel 2010 l’autovettura BMW di cui al ricorso ma abbia proceduto all’acquisto – dopo poco più di un mese – anche di un’auto Mercedes;

-come tali acquisti non siano compatibili con i redditi dell’anno e di quelli precedenti (il ricorrente ha indicato, per l’anno 2009, il valore del volume di affari, cosa diversa dal reddito);

-come l’ipotesi dell’acquisto della BMW con il ricavato dalla vendita di altra autovettura sia restato priva di prova;

-come, in tale ambito, anche il finanziamento ottenuto dalla madre del D. per l’acquisto del veicolo risulti irrilevante, sia perchè la madre dell’imputato risultava essere un mero prestanome, sia perchè anche l’importo del finanziamento risulta sproporzionato ai redditi dell’intero nucleo familiare.

Si tratta di una motivazione completa, congrua ed immune da censure atteso che le condizioni necessarie e sufficienti per disporre il sequestro preventivo di beni confiscabili a norma del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, conv. in L. 7 agosto 1992, n. 356, consistono, quanto al "fumus commissi delicti", nell’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato e in relazione alle concrete circostanze indicate dal p.m., di una delle ipotesi criminose previste dalle norme citate e, quanto al "periculum in mora", coincidendo quest’ultimo con la confiscabilità del bene, nella presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi, (Cassazione penale, sez. 2, 16 gennaio 2009, n. 17877) senza che si possibile parcellizzare il criterio della sproporzione bene per bene, dovendosi avere riguardo al patrimonio nella sua interezza;

per contro i motivi proposti dal ricorrente si risolvono nella prospettazione di una valutazione alternativa degli stessi elementi indiziari già valutati dal Tribunale, inammissibile in questa sede, ove è sufficiente l’individuazione di seri elementi indiziari e non può non riconoscersi che il Tribunale ha motivato riguardo alla individuazione degli indizi sulla sproporzione facendo ricorso ad argomenti congrui ed esenti da illogicità evidenti, non censurabili in questa sede.

La Giurisprudenza è consolidata nel ritenere che le questioni relative al merito della fondatezza dell’accusa ovvero della sussistenza dei criteri costitutivi degli istituti, quali la proporzionalità tra il valore dei beni in sequestro ed il reddito degli indagati, non possono formare oggetto di ricorso per cassazione, "non essendo possibile surrettiziamente introdurre in sede di legittimità un controllo che investa, sia pure in via incidentale, il merito dell’imputazione" (Cass. Pen. Sez. 5, 07.07.1993) atteso che l’art. 325 c.p.p. consente il ricorso per cassazione solo per violazione di legge, restando precluse le censure al merito della motivazione.

I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo soluzioni e valutazioni alternative, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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