Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-09-2011) 25-10-2011, n. 38545 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il GIP presso il Tribunale di Foggia, con ordinanza del 08.10.2010, applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di:

A.G. perchè indagato per il delitto di associazione per delinquere (capo 38) finalizzato alla ricettazione e riciclaggio nonchè per numerosi reati-fine di ricettazione di pezzi di ricambio di origine delittuosa (capi 4-35-37);

Il Tribunale per il riesame di Bari, con ordinanza del 12.11.2010, respingeva il reclamo proposto dall’indagato e confermava il provvedimento impugnato.

Avverso tale decisione, ricorre per cassazione il difensore di A.G., deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Il ricorrente censura la decisione impugnata per:

1)-manifesta illogicità della motivazione e lamenta che il Tribunale si sarebbe limitato ad indicare gli elementi indiziari sui singoli episodi di ricettazione facendone discendere automaticamente ed illogicamente anche la prova della partecipazione dell’ A. al sodalizio criminale;

mancherebbe la prova in ordine al ruolo svolto dall’ A. e in ordine all’effettivo e stabile contributo che il medesimo avrebbe svolto all’interno dell’associazione;

-in realtà la ditta gestita dal coimputato C., e con la quale l’ A. collaborava, aveva contatti e svolgeva affari anche con soggetti diversi da quelli indicati come partecipi all’associazione criminosa, e lo stesso A. non era nemmeno ben conosciuto da D.D., indicato come presunto capo, sicchè le condotte ascritte al ricorrente andavano ricondotte, al più, nell’ambito di singole attività di ricettazione del tutto svincolate dal sodalizio contestato;

2)-l’ordinanza impugnata sarebbe priva di motivazione riguardo alle esigenze cautelari, per le quali non si era preso in alcuna considerazione lo stato di incensuratezza del ricorrente; CHIEDE pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono totalmente infondati.

Le doglianze mosse dal ricorrente non tengono conto del fatto che il provvedimento impugnato contiene una serie di valutazioni ancorate a precisi dati fattuali ed appaiono immuni da vizi logici o giuridici.

In proposito va ricordato che, in tema di misure cautelari personali, il controllo di legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (vedi Cassaz. Pen., sez. 4, 06.07.2007 n. 37878).

Invero, quanto al primo motivo, il Tribunale, ha congruamente e logicamente motivato in ordine alle ragioni, in punto di fatto, per le quali ha ritenuto raggiunti i gravi indizi di colpevolezza, sia in ordine ai reati-fine di ricettazione e sia in ordine al delitto di associazione per delinquere, evidenziando gli elementi che, secondo una ricostruzione del tutto priva di illogicità, riconducono l’imputato all’attività di ricezione e custodia dei beni oggetto di furto.

Il Tribunale sottolinea una serie di passaggi, rinvenienti dalla intercettazioni telefoniche nonchè dai servizi di appostamento e pedinamento, da cui emerge non solo la partecipazione dell’ A. ai numerosi episodi di ricettazione contestati ai capi -4) -35) -37) ma anche il ruolo attivo assunto dal predetto all’interno dell’associazione capeggiata da D.D.;

-significativi sono i riferimenti:

a)-all’episodio del 14.11.09 ove l’ A. veniva notato quale conducente del furgone Iveco che prelevava dalla ditta di autodemolizioni del coimputato D.A. pezzi di ricambio provenienti da delitto (pag.7);

b)-all’episodio del 23.11.09 relativo al trasporto di altri pezzi di ricambio, provenienti da furto, nel cui ambito l’ A. collaborava coi i coimputati D.A. e C.S. (pag.9);

c)-agli episodi dell’8 e del 9.03.2010 nei quali emerge il ruolo dell’ A. che viene chiamato al telefono dal coimputato D. A. per seguire direttamente l’attività di occultamento presso il deposito del coimputato C.A. di alcuni pezzi di ricambio di illecita provenienza (pag. 12);

Il Tribunale compie così una valutazione di puro fatto, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, sia dei reati-fine che di quello di partecipazione ad associazione per delinquere che appare congruamente motivata, con richiami a specifici rilievi fattuali, priva di illogicità evidenti.

Per contro le censure mosse dal ricorrente si risolvono in valutazioni, in fatto ed alternative, quindi inammissibili in questa sede, ove in materia di misure cautelari personali, il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati e apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p. (Cassazione penale, sez. 4, 04/03/2008, n. 15198).

Risultano cosi destituite di fondamento le censure riguardo alla mancata dimostrazione del ruolo del ricorrente all’interno dell’associazione nonchè dell’elemento soggettivo della consapevolezza di partecipare al sodalizio criminoso, posto che il Tribunale sottolinea come dagli episodi sopra ricordati emerge la prova della stabilità dei rapporti intercorrenti tra l’ A. e gli altri correi, al punto da costituire per costoro e, in particolare per i D., un elemento di sicuro riferimento, – sia per la ricezione sistematica dei pezzi di ricambio provenienti da reato e, – sia per l’eventuale occultamento di pezzi di ricambio subito dopo l’irruzione del 02.03.2010 effettuata dalla PG nel capannone di Borgo Cervaro (pagg. 16-18).

In tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto giudice.

(Cassazione penale, sez. 4, 06/07/2007 n. 37878).

Tali principi inducono a ritenere inammissibili anche i motivi relativi alla ricorrenza delle esigenze cautelari, atteso che sul punto il Tribunale ha sottolineato, per un verso, "la gravità delle condotte e delle modalità delle stesse" e per altro verso, come l’attività lavorativa svolta dall’ A. nell’azienda del padre non risultava idonea ad "impedire contatti con terzi" e dunque la reiterazione delle condotte contestate, così che unica misura congrua risulta essere quella per altro attenuante degli arresti domiciliari.

Anche a tale riguardo il Tribunale ha compiuto una valutazione di puro fatto, in ordine al pericolo di recidiva, che appare congruamente motivata, con richiami a specifici rilievi fattuali, priva di illogicità evidenti.

Consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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