Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-09-2011) 25-10-2011, n. 38541 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il GIP presso il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 13.01.2010, rigettava la richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di:

A.C. e S.L.R. nel provvedimento il Gip motivava il rigetto per carenza della gravità del quadro indiziario in ordine ai reati contestati di rapina aggravata (capo a) lesioni personali (capo b) detenzione e porto illegale di arma (capi e – d);

il Tribunale per il riesame di Napoli, con ordinanza del 19.10.2010, ritenuta – al contrario – la gravità degli indizi raccolti in ordine a tutti i reati ascritti, in accoglimento dell’appello proposto dal PM, annullava l’ordinanza di rigetto e applicava nei confronti degli imputati A. e S. la misura cautelare della custodia in carcere;

Avverso tale decisione, ricorre per cassazione il difensore degli indagati, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).

Il ricorrente censura la decisione impugnata per:

1)-violazione del paradigma normativo di cui all’art. 273 c.p.p., avendo ritenuto la sussistenza di un quadro indiziario grave sulla scorta dell’intercettazione ambientale del 16.02.2009, nel corso della quale S.M. aveva riferito al detenuto S. M. di avere saputo che " W. e C." (nomi considerati attribuibili agli odierni ricorrenti) avrebbero preso parte alla rapina in oggetto;

-il ricorrente lamenta che quelle dichiarazioni non potevano essere valorizzate perchè provenienti da persona non presente alla rapina;

inoltre le dichiarazioni intercettate non potevano integrare i gravi indizi richiesti dall’art. 273 c.p.p. perchè contraddette dalle circostanze:

-che le armi usate per la rapina non erano state rinvenute nonostante le immediate perquisizioni;

-che sulla vettura sottratta durante la rapina non erano state rinvenute le impronte digitali degli indagati;

-che i medesimi non erano stati oggetto di individuazioni fotografiche e personali;

-che la chiamata in correità formulata dalla Santoro in quella conversazione doveva essere corroborata da riscontri ex art. 192 c.p.p.;

CHIEDE pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono totalmente infondati.

Le doglianze mosse dal ricorrente non tengono conto del fatto che il provvedimento impugnato contiene una serie di valutazioni ancorate a precisi dati fattuali ed appaiono immuni da vizi logici o giuridici.

In proposito va ricordato che, in tema di misure cautelari personali, il controllo di legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (vedi Cassaz. Pen., sez. 4, 06.07.2007 n. 37878).

Invero il Tribunale, ha congruamente e logicamente motivato in ordine alle ragioni, in punto di fatto, per le quali ha ritenuto raggiunti i gravi indizi di colpevolezza, osservando:

-che le dichiarazioni rese dalla Santoro nella conversazione intercettata apparivano intrinsecamente credibili perchè del tutto spontanee;

-che le medesime dichiarazioni si riferivano alla rapina in oggetto perchè i fatti narrati dalla donna erano pienamente coincidenti con il reale sviluppo della rapina (numero e qualità delle persone, uso di armi, importo sottratto);

-che tali indizi dovevano ritenersi individualizzanti nei confronti degli imputati, stante la piena coincidenza temporale tra il narrato e la data della rapina (avvenuta solo pochi giorni prima);

-che, sebbene la donna non avesse partecipato alla rapina, ne era comunque ben informata, atteso che si era prestata ad occultare le armi che certamente provenivano dalla stessa rapina, tanto che successivamente all’intercettazione la S. era stata indagata per il reato di favoreggiamento e di detenzione di armi.

Il Tribunale compie così una valutazione in fatto, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, che appare congruamente motivata, con richiami a specifici rilievi fattuali, priva di illogicità evidenti;

per contro, i motivi proposti si risolvono in censure in fatto, mentre in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza oppure inattualità e assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate e valorizzate dal giudice di merito.

(Cassazione penale, sez. 6 20/10/2010. n, 39376).

Anche la censura sulla violazione dell’art. 192 c.p.p. è infondata atteso che il contenuto di un’intercettazione, anche quando si risolva in una precisa accusa in danno di terza persona, indicata come concorrente in un reato alla cui consumazione anche uno degli interlocutori dichiari di aver partecipato, non è equiparabile alla chiamata in correità e pertanto, se anch’esso deve essere attentamente interpretato sul piano logico e valutato su quello probatorio, non è però soggetto, in tale valutazione, ai canoni di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3, (Cass. Pen. Sez. 5, 26.03.2010 n. 21878).

Consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Si provveda a norma dell’art. 28 reg. es. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Si provveda a norma dell’art. 28 reg. es. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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