T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 23-11-2011, n. 9208

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 5 agosto 2010 e depositato il successivo 20 agosto, i ricorrenti, Ufficiali della Croce Rossa Italiana, impugnano gli atti specificati in epigrafe, con cui si è proceduto, previo reinquadramento economico dei medesimi, al recupero di somme agli stessi conferite.

Deducono la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, avendo l’Amministrazione omesso di comunicare l’avvio del procedimento. Infatti, la prima comunicazione inviata ai ricorrenti riporta la data del 20 aprile 2010 ed ha per oggetto la rielaborazione della scheda di servizio di ciascuno di essi.

Aggiungono che i provvedimenti in autotutela sono stati adottati oltre un termine ragionevole, poiché sono trascorsi ben otto anni dall’emissione della delibera n. 0032 del 2002 con la quale la Giunta Esecutiva Nazionale della Croce Rossa Italiana ha dato attuazione all’Ordinanza commissariale n. 6413 del 9 aprile 1998 che ha esteso il trattamento economico di cui al decreto legislativo n. 490 del 1997 anche al personale della CRI.

Con un secondo motivo gli atti impugnati vengono censurati sotto il profilo dell’eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti e presupposti, illogicità.

Invero, tutti e tre i dipendenti erano stati nominati Sottotenenti della CRI prima di svolgere il servizio di leva.

Il servizio di leva è stato svolto negli anni 1984/1985 per il ricorrente F.B.; 1985/1986 per il ricorrente Andrea Pettini e 1979/1980 per il ricorrente G.S. e, ancorché tale servizio sia stato reso quale soldato semplice, essi erano già stati nominati Sottotenenti Commissari della CRI in periodo antecedente al servizio militare di leva ed il grado di ufficiale è stato formalmente conservato anche nel periodo in cui hanno svolto il servizio di leva. D’altro canto, è unanimamente riconosciuto che il servizio di leva non può pregiudicare la "posizione di lavoro" del cittadino, la cui durata deve essere considerata utile.

La Croce Rossa Italiana, costituitasi in giudizio, conclude per il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 4277 del 2010 è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dei provvedimenti impugnati in ragione della ravvisata necessità di rateizzazione del recupero delle somme indebitamente percepite dai ricorrenti.

All’Udienza del 26 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso non merita accoglimento.

Giova premettere che la legge 3 luglio 2001. n. 250 (art. 2, p. 3 bis) ha inteso attribuire agli ufficiali che abbiano prestato servizio senza demerito per 13 anni e 23 anni nel grado di sottotenente o dalla qualifica di aspirante lo stipendio spettante rispettivamente al Colonnello e al Brigadiere Generale e gradi equiparati, a decorrere dal 1° aprile 2001.

I ricorrenti hanno beneficiato della disposizione testé riportata, avendo avuto computato tutto il periodo di servizio, compreso quello reso nella qualità di militare di leva.

L’Amministrazione ha ritenuto, tuttavia, che il periodo dagli stessi svolto quali soldati di leva non fosse computabile, posto che il beneficio della c.d. "omogeneizzazione" va riconosciuto soltanto al personale che ha prestato servizio come Ufficiale, con esclusione, quindi, del periodo in cui è stato prestato servizio non come Ufficiale.

Ha priorità logica nell’ordine di trattazione la censura relativa alla violazione dell’art. 7 della legge 7.8.990, n. 241 per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.

Invero, l’obbligo sancito dalla cita disposizione sussiste anche in relazione a procedimenti attivati al fine dell’adozione di provvedimenti in autotutela in ragione della discrezionalità delle relative determinazioni e della conseguente utilità dell’apporto partecipativo della parte interessata.

La censura, tuttavia, è infondata, poiché l’Amministrazione con le note 23 aprile 2010 ha provveduto ad informare gli interessati circa la necessità di procedere "al controllo delle pratiche degli Ufficiali, con il ricalcolo dell’anzianità di servizio militare effettivamente ed esclusivamente prestato in qualità di Ufficiale (FF.AA. – C.R.I.), escludendo quindi ogni altro periodo di servizio prestato (…)".

Del pari infondato è il motivo con cui gli interessati censurano gli atti impugnati per eccesso di potere sotto il profilo della erronea valutazione dei fatti e dei presupposti.

I ricorrenti, si precisa, sono stati nominati Sottotenenti Commissari della C.R.I. ed iscritti nel ruolo speciale e solo successivamente a tale nomina hanno prestato il servizio militare di leva, all’epoca obbligatorio, e posti in congedo.

Orbene, è noto che, nel pubblico impiego, il servizio militare è periodo valido a tutti gli effetti e, quindi, non può pregiudicare la posizione lavorativa del cittadino, intesa come status del quale l’anzianità costituisce elemento integrativo (Cass. Civ. – sez. Lavoro – 1° settembre 1997, n. 8279).

L’art. 52 Cost. appresta massima tutela alla posizione di lavoro del cittadino che presta servizio militare obbligatorio sia nella conservazione del posto di lavoro che nell’anzianità e nella situazione di carriera effettivamente ricoperta al momento del servizio di leva.

Tuttavia, la legge 3 luglio 2001. n. 250 (art. 2, p. 3 bis)), stabilisce che la omogeneizzazione stipendiale spetta agli ufficiali che abbiano prestato servizio militare senza demerito per 13 anni e 23 anni dal conseguimento della nomina ad Ufficiale.

E’ chiara, pertanto, la lettera della legge nell’indicare il dies a quo dalla nomina ad Ufficiale come pure la continuità del servizio reso in tale qualità, né diverse letture possono dedursi in via interpretativa.

La ratio della disposizione in argomento è quella di dare il dovuto riconoscimento alla specifica professionalità degli Ufficiali, sicché nel computo dell’anzianità di servizio, ai fini considerati, non può essere incluso il periodo in cui il soggetto non abbia svolto il servizio nella qualità di Ufficiale, nella specie, della C.R.I.; mentre è stato valutato il servizio pregresso reso dai ricorrenti in quella veste.

Può aggiungersi che la norma richiama un altro elemento costitutivo della fattispecie, vale a dire quello di aver prestato servizio da Ufficiale "senza demerito". Consegue, come logico corollario di tale premessa, che se il soggetto non ha svolto il servizio nella qualità di Ufficiale non è possibile documentare la modalità del servizio stesso, che deve essere stato reso "senza demerito".

Il prematuro percepimento, da parte dei ricorrenti, della c.d. omogeneizzazione stipendiale per aver erroneamente incluso nel computo anche il servizio di leva in qualità di soldato semplice, ha comportato l’obbligo, da parte dell’Amministrazione, di attivare il recupero di quanto erroneamente corrisposto al predetto personale.

Il Collegio ritiene, con riguardo alla problematica del recupero delle somme erroneamente corrisposte dall’Amministrazione, di non ignorare come talvolta la giurisprudenza (T.A.R. Campania, Napoli, VII, 12.12.2007, n. 16222) abbia sostenuto che siffatto recupero non costituirebbe un atto assolutamente vincolato, trattandosi, nella sostanza, di un atto di autotutela che dovrebbe, pertanto, tener conto del "peso" del recupero sulla situazione concreta, dell’affidamento ingenerato nel dipendente, nonché dello stato di buona fede dello stesso (Cons. Stato, VI, 28.6.2007, n. 3773; V, 13.7.2006, n. 4413; 15.10.2003, n. 6291), attesa la natura discrezionale puntualizzata dallo stesso art. 21nonies, comma 1, della Legge n. 241/1990.

Il Collegio ritiene, tuttavia, di aderire all’indirizzo giurisprudenziale prevalente che ritiene legittimo il recupero delle somme non tenendo conto della buona fede del percipiente e considerando il recupero come un atto dovuto non rinunziabile espressione di una funzione pubblica vincolata (ex multis, Cons. Stato, IV, 24.5.2007, n. 2651; 12.5.2006, n. 2679; 22.9.2005, nn. 4964 e n. 4983; T.A.R. Toscana, I, 8.11.2004, n. 5465; T.A.R. Sicilia, Catania, II, 12.8.2003, n. 1272; T.A.R. Lazio, Latina, 11.2.1993, n. 143). In capo all’Amministrazione che abbia effettuato un pagamento indebitamente dovuto ad un proprio dipendente si riconosce, perciò, una posizione soggettiva che deve essere qualificata come diritto soggettivo alla restituzione, alla quale si contrappone, avendo gli atti che si riferiscono ad un credito derivante da un rapporto di impiego natura paritetica e non autoritativa, una correlativa obbligazione del dipendente. Qualora l’Amministrazione intenda recuperare le somme indebitamente corrisposte, non deve annullare l’atto di corresponsione delle stesse in quanto l’indebito si configura come tale per l’obiettivo contrasto con una norma, con la conseguenza che non vi è obbligo di motivare circa l’interesse pubblico che induce ad effettuare il recupero patrimoniale (T.A.R. Campania, Napoli, IV, 25.2.1998, n. 681).

In definitiva la Sezione ritiene di fare proprio il principio della normale ripetibilità di tali crediti da parte della P.A, perché il recupero delle somme indebitamente corrisposte ai dipendenti pubblici ha natura di atto dovuto ex art. 2033 c.c., con la conseguenza che la buona fede del percettore rileva ai soli fini delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente. Pertanto lo stato psicologico del debitore, in ipotesi in buona fede, di per sé non preclude l’attività di recupero dell’indebito, ma impone l’obbligo di una più approfondita valutazione degli interessi implicati, in particolare sotto il profilo del grado di lesione di quello del dipendente.

Ne consegue che l’interesse del dipendente a trattenere gli emolumenti percepiti non può prevalere su quello pubblico alla ripetizione delle somme erogate indebitamente, che è di per sé sempre attuale e concreto (Cons. Stato, IV, 8.6.2009, n. 3516; V, 23.3.2004, n. 1535; T.A.R. Veneto, III, 2.4.2009, n. 1072; T.A.R. Lazio, Roma, Iter, 8.6.2009, n. 5466; I, 1.4.2008, n. 2764; T.A.R. Campania, Salerno, I, 7.3.2006, n. 237), inoltre, l’obbligo ex lege di recupero preclude la facoltà di rinunciare agli effetti favorevoli del decorso del tempo (Cons. Stato, IV, 11.12.2001, n. 6197).

Per le suesposte ragioni, il ricorso deve essere respinto.

In considerazione della particolarità della fattispecie, può disporsi la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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