Cass. civ. Sez. I, Sent., 13-04-2012, n. 5877 Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Brindisi con sentenza n. 119/2005 rigettava la domanda di accertamento della paternità naturale di N.A. proposta da M.F. nei confronti dei germani e figli di N.A., F., M.A. e N.G. e della vedova di N.A., D.L.A..

M.F. proponeva appello e la Corte territoriale di Lecce riteneva, con ordinanza del 12 dicembre 2006, di rinnovare la CTU disponendo esami comparativi del DNA di M.F. con quello del defunto N.A. ed eventualmente dei germani N. e di C. e N.F. anche essi deceduti.

L’ordinanza veniva riconfermata a fronte di istanza di revoca e di reclamo dichiarato inammissibile dalla Corte di appello di Lecce che successivamente rigettava altresì istanza di accertamento della legittimità del rifiuto del terzo ex art. 118 c.p.c. e contestuale opposizione ex art. 211 c.p.c. e richiesta di cautela atipica ex art. 700 c.p.c., reclamo cautelare ex art. 669 terdecies c.p.c. e infine richiesta di modifica di ordinanza istruttoria. La Corte leccese rilevava che il diritto dei prossimi congiunti al rispetto della salma è recessivo rispetto al diritto dell’attrice all’accertamento e alla tutela dell’identità biologica e per altro verso riteneva che tutela dei diritti e ragioni del rifiuto dovevano essere vagliate al momento della decisione della causa.

Da ultimo, con ordinanza del 25 marzo 2010, la Corte di appello di Lecce ha disposto l’espletamento della C.T.U. diretta ad accertare attraverso le metodiche e i criteri di indagini ritenuti più opportuni, sulla base delle più recenti conoscenze scientifiche, tramite comparazione del DNA di M.F. con il DNA di A. e N.C. nonchè ove necessario di D.L. A., nel frattempo anche essa deceduta, se e con quante probabilità può affermarsi che N.A. sia il padre naturale di M.F.. L’ordinanza ha richiamato le precedenti ordinanze ammissive del 12 dicembre 2006 e del 23 novembre 2007 impugnate.

Contro l’ordinanza F., M.A. e N.G. propongono ricorso straordinario ex art. 111 Cost. basato su tre motivi di impugnazione con i quali si deduce:

a) violazione e falsa applicazione degli artt. 118, 210 e 211 c.p.c., anche in relazione al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 13, artt. 2, 29 e 30 Cost.;

b) violazione e falsa applicazione dell’art. 118 c.p.c. e dell’art. 210 c.p.c., anche con riferimento ai principi in tema di abuso degli strumenti processuali civili;

c) violazione e falsa applicazione degli artt. 231, 235, 244, 269, 414 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 117 Cost., art. 8 della C.E.D.U., artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Per l’ipotesi in cui non venga accolto il ricorso i ricorrenti chiedono che, in funzione nomofilattica e in relazione a questione di generale e particolare importanza, sulla quale non risultano pronunce espresse, sia formulato il seguente principio di diritto, se del caso investendo le Sezioni Unite: "se, anche alla luce del quadro normativo nazionale e sovranazionale di riferimento (dianzi richiamato), può il giudice legittimamente disporre consulenza tecnica d’ufficio genetica in estensione a soggetti "terzi" rispetto al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, la cui attuazione leda in modo irreversibile situazioni giuridiche cd. esistenziali costituzionalmente garantite" e più in generale "se il giudice ha o non ha il potere di disporre atti istruttori attraverso i quali – come accade per la C.T.U. genetica – si incidono direttamente e irreparabilmente diritti soggettivi primari in capo a soggetti estranei al rapporto giuridico sostanziale dedotto in causa.

Infine i ricorrenti eccepiscono l’illegittimità costituzionale degli artt. 118, 210 e 211 c.p.c. con riferimento all’art. 24 Cost. nella parte in cui non prevedono che, in caso di opposizione del terzo fondata sul pericolo di lesione di propri diritti fondamentali e personalissimi, non è consentito al giudice disporre il mezzo e imporre coattivamente l’attività istruttoria lesiva di quei diritti perchè il terzo potrebbe subire – come nel caso di specie – gravi o addirittura irreversibili violazioni dei propri diritti fondamentali, in mancanza di sufficienti garanzie difensive a tutela degli stessi.

Si difende con controricorso M.F. eccependo l’inammissibilità del ricorso e chiedendo la condanna aggravata dei ricorrenti alle spese ex art. 96 c.p.c..

Le parti depositano memorie difensive.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, è proponibile, avverso provvedimenti giurisdizionali emessi in forma di ordinanza o di decreto, solo quando essi siano definitivi ed abbiano carattere decisorio, cioè siano in grado di incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale. Fra le più recenti sentenze vanno segnalate: a) Cass. clv., sezione 1, n. 14140 del 27 giugno 2011 che ha ritenuto non ricorribile il provvedimento di non luogo a provvedere, emesso in sede di reclamo avverso il diniego di provvedimento d’urgenza, ai sensi dell’art. 669 terdecies cod. proc. civ., che ha gli stessi caratteri di provvisorietà e di non decisorietà tipici dell’ordinanza oggetto del reclamo, essendo destinato a perdere efficacia per effetto della sentenza definitiva di merito e che, pur coinvolgendo posizioni di diritto soggettivo, non statuisce su di esse con la forza dell’atto giurisdizionale idoneo ad assumere autorità di giudicato (cfr. anche Cass. civ., sezione 3 n. 10069 del 27 aprile 2010); b) Cass. civ. sezione 4 – 2 ord. n. 17211 del 21 luglio 2010 che ha ritenuto inammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso l’ordinanza con cui il tribunale, a norma dell’art. 669 terdecies cod. proc. civ., abbia rigettato il reclamo proposto contro il diniego di reintegrazione nel possesso, ex art. 703 cod. proc. civ. (e liquidato le spese del procedimento senza fissare un termine per la prosecuzione del giudizio di merito) , atteso che il provvedimento suddetto incide su situazioni di rilevanza meramente processuale e non ha carattere decisorio nè definitivo; c) Cass. civ. sezione 1 n. 23504 del 19 novembre 2010 che ha ritenuto non ricorribile l’ordinanza del tribunale che, in sede di reclamo ed in riforma del diniego da parte del giudice delegato del medesimo tribunale, abbia emesso un provvedimento cautelare, ai sensi dell’art. 669-terdecies cod. proc. civ., rilevando che, pur se tale provvedimento incide su posizioni di diritto soggettivo e pur se il lamentato vizio la natura processuale (per avere l’ordinanza disatteso l’eccezione d’inammissibilità del reclamo), difetta il requisito della definitività. Nè la conclusione muta, ha precisato in questa occasione la Corte di Cassazione, allorchè il ricorrente lamenti l’abnormità della decisione ed i suoi effetti gravi ed irreversibili, atteso che, sotto il primo profilo, l’impugnabilità di un provvedimento è in funzione del suo specifico regime giuridico e non della qualificabilità del vizio denunziato in termini di nullità processuale o invece di abnormità, mentre, sotto il secondo profilo, la gravita degli effetti non è, di per sè, elemento idoneo a riflettersi sulle caratteristiche giuridiche del provvedimento, in particolare sulla sua provvisorietà e strumentalità, le quali rendono inammissibile il ricorso per cassazione.

Nella ipotesi all’esame di questa Corte il provvedimento impugnato (ordinanza della Corte di appello di Lecce del 25 marzo 2010/12 maggio 2010) si limita a provvedere sull’espletamento di una C.T.U., già disposta con ordinanza del 12 dicembre 2006 e successiva ordinanza integrativa del 23 novembre 2007, precisando il quesito, nominando i consulenti tecnici d’ufficio e fissando l’udienza per il loro giuramento. E’ evidente quindi il carattere non decisorio e non definitivo dell’ordinanza cui consegue l’inammissibilità del ricorso (cfr. Cass. civ. 1 sezione, n. 20532 del 6 ottobre 2011 secondo cui l’ordinanza resa dal giudice istruttore nel procedimento di disconoscimento di paternità e ammissiva di consulenza tecnica d’ufficio emogenetica non è impugnabile, nella specie, con l’appello avanti alla Corte d’appello, in considerazione della sua natura meramente istruttoria e, conseguentemente, è inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte di merito di declaratoria di inammissibilità dell’appello).

Da parte dei ricorrenti si è sostenuto che con il provvedimento impugnato vi sia stata una pronuncia implicita da parte della Corte di appello avverso la loro opposizione al provvedimento ammissivo della consulenza tecnica in quanto qualificabile come ordine di esibizione ex artt. 210 e 118 c.p.c.: tale affermazione deve essere smentita perchè la Corte di appello era già stata chiamata in precedenza a provvedere su tali istanze degli odierni ricorrenti che aveva respinto, sicchè il provvedimento impugnato in questo giudizio appare come un semplice provvedimento consequenziale rispetto ai precedenti. Per altro verso deve rilevarsi che, se anche potesse considerarsi fondata la tesi dei ricorrenti, nulla cambierebbe quanto all’inammissibilità del ricorso straordinario perchè l’effettivo contenuto dell’ordinanza della Corte di appello salentina non conferisce ad essa alcun carattere di definitività e decisorietà.

Anche l’istanza ex art. 363 c.p.c. va ritenuta inammissibile in questa controversia perchè diretta a introdurre una pronuncia in diritto che finirebbe per esplicare surrettiziamente la sua efficacia in un giudizio di merito ancora in corso, con ciò contraddicendo la funzione che la norma citata intende attribuire all’affermazione del principio di diritto in caso di pronuncia di inammissibilità del ricorso che definisce in tal modo la controversia.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

Non sussistono i presupposti per l’accoglimento della richiesta, avanzata da M.F., di condanna dei ricorrenti, ex art. 96 c.p.c., comma 1, non potendosi affermare la mala fede o la colpa grave rispetto a una impugnazione relativa a una materia di estrema delicatezza, nella quale è apparso evidente lo sforzo difensivo nella direzione di reperire negli istituti processuali tradizionali un mezzo di contrasto a procedimenti di acquisizione della prova consentiti dallo sviluppo delle tecniche di identificazione dei dati genetici che pongono problemi e esigenze inedite di tutela della dignità umana.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi 5.200 Euro di cui 200 per spese. Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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