Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-09-2011) 25-10-2011, n. 38537 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nell’ambito del procedimento penale a carico di: P.G., ed altri; indagati per il reato di estorsione ed altro, il GIP presso il Tribunale di Catania, in data 16.06.2010, emetteva il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, sui beni di:

M.R. coniuge dell’indagato P.G.;

sequestro relativo a tre beni immobili, un’autovettura e conti correnti, eseguito ai sensi del D.L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies e art. 321 c.p.p., comma 2;

Il Tribunale per il riesame di Catania, con ordinanza del 16.07.2010, respingeva il gravame e confermava il decreto di sequestro impugnato.

Ricorre per cassazione M.R., deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

1)-La ricorrente censura la decisione impugnata per avere confermato il sequestro preventivo per il reato ex art. 629 c.p. che, però, non era contemplato tra quelli per i quali era stato emesso il sequestro stesso atteso che, a suo parere, il sequestro era stato disposto sulla scorta della contestazione del reato associativo ex art. 416 bis c.p. e dell’aggravante L. n. 203 del 1992, ex art. 7;

-la ricorrente lamenta che il Tribunale, escluse tali ipotesi associative, avrebbe riempito il vuoto motivazionale con proprie argomentazioni, relative al reato di estorsione, del tutto diverse dalla motivazione adottata nel provvedimento primigenio;

2)-inoltre, la motivazione sarebbe da censurare per avere ritenuto l’esistenza dell’aggravante ex art. 629 c.p., comma 2 nonostante la precarietà di tale accusa, fondata sulle valutazioni personali della parte offesa sig. C.;

-invero, le dichiarazioni del C. si fondavano su sue impressioni e "percezioni" senza che si sia indicata con chiarezza il legame dei fatti contestati con l’associazione facente capo a P.S., padre dell’indagato P.G.;

-sarebbe pertanto carente il "fumus" riguardo all’aggravante contestata ex art. 629 c.p., comma 2, non essendo provata l’adesione dell’indagato P.G. ad associazione criminosa;

3)-l’ordinanza sarebbe da censurare anche perchè, aveva considerato la sproporzione tra il reddito dichiarato dal P. ed il tenore di vita, senza tener conto della mancanza di prove in ordine alla provenienza illecita delle somme utilizzate dall’indagato per gli acquisiti dei beni sequestrati;

CHIEDE l’annullamento del provvedimento impugnato.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono palesemente infondati.

Il Tribunale, pur escludendo l’esistenza di gravi indizi riguardo al reato ex art. 416 bis cp ed all’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, ha rilevato che residuava l’imputazione ex art. 629 c.p. ed ha quindi motivato esclusivamente riguardo a tale ipotesi delittuosa, sia riguardo al "fumus" che riguardo all’applicabilità del sequestro;

nè la diversa opinione del Gip riguardo all’esistenza dei reati ed aggravante associativi risultava in qualche modo preclusiva atteso che il reato ex art. 629 c.p. era stato ritualmente contestato, sia pure come reato-fine al capo B2) della rubrica, ed in ordine a tale ipotesi delittuosa l’indagato aveva avuto modo di difendersi in sede di reclamo;

nessun dubbio, infine riguardo all’applicabilità del sequestro preventivo, finalizzato alla confisca D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies, non prevedendo la norma alcuna distinzione tra l’ipotesi tentata o consumata del delitto di estorsione e men che meno tra l’ipotesi semplice e quella aggravata (Cass. Pen. sez. F 10.05.2005 n. 22154) sicchè restano prive di rilevanza le questioni sollevate al riguardo dal ricorrente.

Quanto al merito, si deve rilevare che la motivazione impugnata è esaustiva e completa, fondata sulle dichiarazioni della parte offesa C.G., che viene ritenuto attendibile in quanto riscontrato dalle altre parti offese come G.R.;

in tal modo il Tribunale ha operato una valutazione in fatto, congruamente motivata e priva di illogicità, che non è censurabile in questa sede ove la Corte di cassazione non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione di merito (Cassazione penale, sez. 4 16 gennaio 2006, n. 11395) tenuto conto dei limiti stabiliti dall’art. 325 c.p.p..

Al riguardo va ricordato che l’ordinanza che dispone il sequestro preventivo non deve essere motivata sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza, non essendo i detti indizi richiesti fra i presupposti applicativi; e ciò in quanto è sufficiente per l’adozione della detta misura cautelare reale la presenza di un "fumus boni iuris" e cioè l’ipotizzabilità in astratto della commissione di un reato, rilevabile dalla pendenza di un’imputazione e senza alcuna possibilità di apprezzamento quanto alla fondatezza dell’accusa e alla probabilità di una pronuncia sfavorevole per l’imputato.

(Cassazione penale, sez. 6, 07 luglio 1993).

Ugualmente infondati sono i motivi relativi alla mancata dimostrazione della provenienza illecita dei beni sequestrati, atteso che ai fini dell’applicabilità della confisca prevista dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, conv. con modificazioni in L. 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, per il caso di condanna o applicazione della pena su richiesta per taluno dei delitti (nella specie, estorsione) ivi indicati, il chiaro disposto normativo non collega la confisca al provento o al profitto di quel reato, bensì ai beni di cui il condannato non può giustificare la provenienza, indipendentemente dalla loro fonte, che si presume derivante dalla complessiva attività illecita del soggetto.

Cassazione penale, sez. 1^, 10 maggio 2005, n. 22154.

Il tribunale si è conformato a tali principi e la motivazione impugnata risulta più che adeguata riguardo alla dimostrazione dell’evidente sproporzione tra il redito dichiarato e la mole degli investimenti effettuati e delle rate di mutuo assunte.

I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo soluzioni e valutazioni alternative, sicchè sono da ritenersi inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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