Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 13-04-2012, n. 5873

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Consiglio di Stato si è pronunciato in grado di appello nel giudizio che S.V. ha riproposto contro la società Acquedotto Pugliese s.p.a., con il ricorso al T.A.R. Puglia notificato il 5.8.2005.

Il Consiglio, con la sentenza 15.11.2011 n. 6041 della Sezione Sesta, mentre ha rigettato nel merito talune delle domande, per le altre, in applicazione della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59, comma 3 e dell’art. 11, comma 3 del codice del processo amministrativo, ha sollevato d’ufficio il conflitto di giurisdizione.

2. I fatti processuali possono essere così ricostruiti sulla base della sentenza appena richiamata e dei documenti prodotti dalle parti, che si sono costituite davanti alla Corte col deposito di una memoria.

3. Il giudizio è iniziato davanti al tribunale civile di Trani, giudice del lavoro, con ricorso del 29.10.1999.

S.V. vi ha proposto più domande.

3.1. Ha chiesto che l’Acquedotto Pugliese fosse condannato ad assegnargli la qualifica superiore di assistente tecnico, così come riconosciuta con provvedimento 10.10.1996, con la conseguente corresponsione, sino alla data della domanda, della differenza tra gli emolumenti dovuti e quelli percepiti.

3.2. Vi ha anche chiesto la condanna dell’Acquedotto al pagamento di altre somme ed a vario titolo: indennità di missione e spese di viaggio, quanto a giorni dell’ottobre e novembre 1998; lavoro straordinario del febbraio 1999 e saldo del premio di produttività 1998. 3.3. Infine ha chiesto la condanna del convenuto a una somma di denaro, come risarcimento del danno morale patito per il mancato riconoscimento della promozione.

4. Il tribunale di Trani con sentenza del 26.11.2002 ha ritenuto che conoscere di tutte le domande spettasse al giudice amministrativo ed ha perciò dichiarato il difetto di giurisdizione dei giudice ordinario.

L’appello proposto da S.V. il 5.12.2003 è stato dichiarato inammissibile con sentenza 14.6.2005 della corte d’appello di Bari, che ne ha rilevato la tardività, per essere stato presentato oltre il termine di un anno dalla pubblicazione della sentenza, in violazione dell’art. 327 c.p.c..

5. Le domande già rivolte al giudice ordinario sono state a questo punto riproposte a quello amministrativo, con il ricorso al T.A.R. Puglia, notificato il 5.8.2005 di cui si è fatto cenno al punto 1.

Ciò con alcune modifiche: la suddivisione degli effetti del riconoscimento del diritto alla qualifica superiore in due periodi (dal 10.10.1996 al 30.6.1998 e dall’1.7.1998 al 29.10.1999) e l’estensione del premio di produttività al 1999; il tutto con rivalutazione monetaria e interessi.

Il T.A.R. con sentenza del 17.1.2006 ha dichiarato il ricorso inammissibile.

Ha considerato che, sulle controversie originate da rapporti di pubblico impiego, la giurisdizione esclusiva, conservata al giudice amministrativo dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 45, comma 17, parte seconda, poteva essere esercitata solo alla condizione che il giudice ne fosse stato investito con ricorso depositato entro il 15.9.2000, ciò che nel caso non era avvenuto.

Ha aggiunto che il giudizio instaurato davanti a sè non si prestava ad essere qualificato come riassunzione di quello in cui il tribunale ordinano aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione.

Questo, perchè l’istituto della prosecuzione del giudizio mediante riassunzione davanti a diverso giudice era previsto dall’art. 50 c.p.c., per il caso di conclusione per difetto di competenza e non era estensibile al diverso caso della conclusione del primo giudizio con pronuncia di difetto di giurisdizione.

6. In seguito a tale decisione, S.V. ha ritenuto di tornare a investire della domanda il tribunale civile di Trani.

E ciò ha fatto con ricorso depositato il 5.4.2006. 7. Ha però anche impugnato la sentenza del T.A.R. con appello al Consiglio di Stato, proposto con ricorso notificato il 18.4.2006.

E’ appunto in tale giudizio in grado di appello che il Consiglio di Stato ha pronunziato la sentenza 15.11.2011 n. 6041 delta Sezione Sesta.

7.1. Con questa sentenza il Consiglio di Stato, in parziale accoglimento dell’appello, ha affermato che, col riproporre davanti al giudice amministrativo le domande inizialmente presentate al tribunale ordinario, S.V. aveva dato luogo al fenomeno della translatio iudicii, istituto da considerare immanente nell’ordinamento sulla scorta della sentenza 77 del 2007 della Corte costituzionale, di cui la L. n. 69 del 2009, art. 59, aveva poi configurato una specifica disciplina sul piano procedurale, disciplina in seguito ripresa dall’art. 11 codice del processo amministrativo.

Come risultato, la decadenza invece dichiarata dal T.A.R. ne era stata evitata, per essere la riassunzione avvenuta col ricorso depositato il 5.8.2005, dopo che la sentenza della corte d’appello era stata pubblicata il 14.6.2005. 7.2. Passato a considerare il fondo delle domande, il Consiglio di Stato ha rigettato nel merito quella rivolta al riconoscimento della qualifica superiore, con le rispettive spettanze economiche (punto 3.1), e conseguentemente ha respinto la domanda di risarcimento del danno da mancato riconoscimento della promozione (punto 3.3).

7.3. Riguardo alla domanda residua (punto 3.2) ed alle pretese economiche correlate a fatti posteriori al 30.6.1998, il Consiglio di Stato ha bensì dato conto delle occasioni in cui le sezioni unite di questa Corte hanno affermato potersi ammettere che il giudice della domanda principale eserciti la pertinente tutela giurisdizionale anche sulle domande connesse proposte insieme alla prima, sebbene afferenti alla giurisdizione di altro giudice; ha però ritenuto di dover prescindere da tale orientamento, considerandolo non consolidato.

Ha quindi posto in rilievo che, riguardo alla parte di domanda ancora da decidere, la giurisdizione del giudice ordinario era stata declinata attraverso la sentenza del tribunale di Trani (punto 4), passata poi in giudicato.

L’Acquedotto – davanti al Consiglio – aveva sollevato un’eccezione di difetto di giurisdizione, ma – ha osservato il Consiglio – la pronuncia sulla giurisdizione, del resto passata in giudicato, non si prestava ad essere ancora rimessa in discussione in modo indiretto, attraverso un’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, svolta davanti a questo.

Ha considerato, però, che, alla stregua del D.Lgs. 80 del 1998, art. 45, comma 17, la domanda esulava dalla giurisdizione esclusiva conservata al giudice amministrativo in materia di impiego pubblico.

Ha quindi sollevato il conflitto di giurisdizione.

8. Per pervenire a tale soluzione il Consiglio di Stato ha dovuto affrontare un ultimo punto.

La L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 3, dispone che, nel giudizio riproposto, la questione di giurisdizione può essere sollevata fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito e l’art. 11, comma 3 dal canto suo stabilisce che il giudice amministrativo, alla prima udienza, può sollevare anche d’ufficio il conflitto di giurisdizione.

A questo riguardo, il Consiglio di Stato ha affermato che l’espressione prima udienza si deve interpretare nel senso di prima udienza utile in cui viene in rilievo la questione di giurisdizione.

Ed ha osservato: – "La prima udienza utile è la presente, atteso che il giudice di primo grado si è fermato all’esame di una questione di rito a cui, nell’ordine logico, ha dato priorità rispetto alla questione di giurisdizione". 9. Così ricostruiti i fatti processuali, si deve passare all’esame della richiesta, fatta dal Consiglio di Stato, che sulla questione di giurisdizione si pronuncino le sezioni unite di questa Corte.

10. Ma prima che vi si possa procedere, si deve sgomberare il campo da talune tesi sostenute nelle memorie delle parti, pure riprese nella trattazione orale.

10.1. L’Acquedotto Pugliese, al punto 1 della memoria depositata davanti alla Corte (Insussistenza del conflitto negativo di giurisdizione), considera che, col dichiarare inammissibile l’impugnazione proposta contro la sentenza del tribunale di Trani (punto 4), la corte d’appello di Bari da un lato avrebbe implicitamente affermato la giurisdizione del giudice ordinario, dall’altro rigettato tutte le domande proposte dall’attore.

Con la conseguenza, dal primo punto di vista, che non vi sarebbe alcun contrasto tra giudice amministrativo e giudice ordinario sulla giurisdizione relativa alle domande, che il Consiglio di Stato non ha esaminato nel merito e restano ancora da esaminare, e dal secondo punto di vista, che inutilmente sarebbe ora dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, su domande che questo giudice ha già detto da lui non ulteriormente esaminabili per essere stato l’appello proposto tardivamente.

Tesi e conclusioni non sono però fondate.

La corte civile di secondo grado ha dichiarato inammissibile l’appello, affermando che nel caso la parte non si sarebbe potuta avvalere, come invece aveva fatto, della sospensione feriale dei termini processuali (che non si può applicare alle controversie in materia di pubblico impiego privatizzato portate alle decisione del giudice ordinario Sez. Un. 5 febbraio 1980 n. 1121 ma solo a quelle sottoposte alla decisione del giudice amministrativo Sez. Un. 13.12.2007 n. 26087).

L’ha fatto muovendo dal presupposto, non esplicitato, che, se il giudice del lavoro, adito con una domanda in controversia di pubblico impiego, dichiara il proprio difetto di giurisdizione, affermando quella del giudice amministrativo, ai termini d’impugnazione della sentenza, la sospensione feriale dei termini processuali resta inapplicabile, essendo il regime dell’impugnazione quello proprio delle sentenze rese su rapporti la cui tutela, con la domanda, è stata chiesta al giudice ordinario, in base al rito di cui all’art. 414 c.p.c., e segg..

Infatti, se fosse mossa dall’opposta soluzione – cioè da quella di raccordare il regime dell’impugnazione a quello pertinente alla natura del rapporto e alla relativa giurisdizione come dichiarati dalla sentenza – la corte d’appello non avrebbe dovuto dichiarare che l’impugnazione era inammissibile, ma avrebbe onere di esaminarla, salva la decisione sulla giurisdizione, di segno affermativo, con conseguente annullamento della sentenza di primo grado, o negativo, con conferma della sentenza di primo grado e rigetto dell’impugnazione.

Ne segue che dalla dichiarazione d’inammissibilità dell’appello, poi non impugnata, è derivata la definitiva conferma della dichiarazione di difetto di giurisdizione pronunziata dal tribunale di Trani e null’altro.

Ciò che però non è d’impedimento per sè a che le sezioni unite siano chiamate a dipanare il conflitto negativo di giurisdizione, vuoi in sede di ricorso in caso di conflitto previsto dall’art. 362 c.p.c., comma 2, n. 1), vuoi in sede di richiesta proveniente dal secondo giudice nel caso previsto dalla L. n. 69 del 2009, art. 59.

Alla proponibilità della quale, costituisce ostacolo di principio solo una previa decisione delle sezioni unite sulla questione di giurisdizione (art. 59, comma 3, prima parte).

10.2. L’Acquedotto Pugliese, al punto 3 della stessa memoria (Errata applicazione della L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 3. Non identità delle domande), considera che l’attore, seppure con riferimento alla domanda rigettata nel merito dal Consiglio di Stato, in sede di asserita riassunzione ha chiesto il riconoscimento delle mansioni superiori e il relativo pagamento per un periodo diverso (sino al 30/6/1998 e non sino al 29/10/1999) rispetto a quello indicato nel ricorso ex art. 414 c.p.c..

Perciò il regolamento di giurisdizione attivato di ufficio sarebbe improcedibile per errata proposizione della domanda di riassunzione.

Nel fare tale osservazione non si è tuttavìa considerato che il regolamento è stato chiesto rispetto a domanda (riferita al punto 3.2), diversa da quelle dipendenti dalla pretesa all’attribuzione della qualifica superiore, invece esaminata nel merito e rigettata.

10.3. S.V., dai canto suo, ha sostenuto che la sentenza del Consiglio di Stato, nella parte in cui ha rigettato le proprie domande (di cui ai punti 3.1 e 3.3) è stata pronunciata in violazione del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 45 e segg., e deve dunque essere cassata per difetto di giurisdizione, con affermazione della giurisdizione del giudice ordinario.

Ma questa richiesta avrebbe dovuto essere veicolata nelle forme del ricorso per cassazione notificato alla controparte (artt. 366 e 369 c.p.c.) da proporsi in base all’art. 362 c.p.c., comma 1, per motivi attinenti alla giurisdizione, contro il relativo capo della sentenza del Consiglio di Stato e non attraverso deposito di memoria nel giudizio davanti alla Corte, provocato dalla richiesta di ufficio da parte del Consiglio di Stato.

Sicchè anche tale questione resta estranea a questo giudizio.

11. Si viene dunque ai punti strettamente attinenti al giudizio sulla questione di giurisdizione concernente il gruppo di domande di cui al punto 3.2. 12. A questo riguardo occorre una premessa.

Alle sezioni unite della Corte di cassazione, una volta raggiunte dalla richiesta di regolamento di ufficio della giurisdizione, spetta vagliarne la ammissibilità (vaglio ad esempio operato nella sentenza di questa Corte 25.11.2011 n. 24904).

13. Come si è visto, il giudizio, nel cui ambito la Corte è stata richiesta di decidere sulla questione di giurisdizione, presenta la specificità d’essersi svolto mediante atti processuali, di parte e del giudice, posti in essere per la quasi totalità sia nel processo civile che in quello amministrativo sotto il vigore della disciplina anteriore all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 59.

Solo il conflitto di giurisdizione (così definito dall’art. 11, comma 3 del codice del processo amministrativo) è stato sollevato in epoca successiva e nel vigore di tale codice.

Peraltro, ciò non ne comporta per sè l’inammissibilità, perchè la Corte ha da subito rilevato che la disciplina della translatio iudicii, introdotta dalla L. n. 69 del 2009, da un lato, perchè legge processuale, era da ritenere immediatamente applicabile ai giudizi in corso, dall’altro, non modificando specifiche norme dettate nel codice di procedura, si sottraeva alla regola di diritto intertemporale dettata nell’art. 58, comma 1 della legge (in questo senso le sentenze 16.11.2010 n. 23109 e 2.12.2010 n. 24241).

Tuttavia, esaminando un caso in cui la parte, dopo l’originaria sentenza declinatoria del giudice ordinario, ma prima della entrata in vigore della legge, aveva mostrato di volere iniziare davanti a giudice amministrativo un nuovo giudizio e non continuare il precedente, la Corte, con la sentenza 15.3.2011 n. 6016, ha negato che alla stessa parte potesse applicarsi la preclusione, a proporre ricorso per regolamento preventivo, che scaturisce dall’essere stata nel giudizio già pronunziata una sentenza anche non di merito e quindi sulla sola giurisdizione (questo secondo un orientamento espresso da S.U. 22.11.2010 n. 23596 e confermato da decisioni successive).

In quell’occasione, la Corte ha considerato che dalla norma processuale entrata successivamente in vigore non può derivare alla parte una preclusione che non operava al tempo dell’esercizio del potere.

Il caso che si viene esaminando prospetta un problema analogo.

Questa volta dal lato dei poteri del giudice.

E, per le ragioni che si esporranno nel capoverso seguente, la decisione sull’ammissibilità della richiesta di soluzione della questione di giurisdizione può nel caso concreto essere attinta senza dover decidere, se l’art. 11.3 del codice del processo amministrativo, quando individua nella prima udienza l’ultimo momento del processo in cui può essere sollevato il conflitto di giurisdizione, consenta di collocare tale udienza pure ne processo di appello.

Infatti, nel caso in esame, il giudizio di primo grado si è svolto prima che la norma entrasse in vigore e se, come si è affermato nella sentenza 6016 del 2011 già richiamata, i poteri del giudice sono per principio generale regolati dalla norma applicabile nel momento del suo esercizio, negare che nella circostanza in esame il Consiglio di Stato avesse la facoltà di sollevare il conflitto, significherebbe applicare la norma in modo retroattivo, facendo derivare nel presente un effetto da un fatto, che, quando si è verificato nel passato, non era in condizioni di produrlo.

E, sempre nel caso concreto, questo significherebbe applicare la norma negando anche quella residua e attenuata forma di potere di rilievo di ufficio del proprio difetto di giurisdizione, che, ne giudizio proseguito, è costituita dalla facoltà di sollevare il conflitto.

Dunque, per la ragione ora espressa, la richiesta di decisione sarebbe da giudicare ammissibile.

Considerando, come il Consiglio di Stato ha affermato, che la questione è stata da quel giudice sollevata nella prima udienza che si è tenuta davanti a sè per la decisione del merito.

14. Sennonchè, prima di poter affermare che la soluzione cui è acceduto il Consiglio di Stato è conforme a diritto in riferimento alla fattispecie concreta, è necessario verificare se il potere del giudice amministrativo di appello, di discutere della questione di giurisdizione, non sia risultato consumato dalla decisione pronunciata dal giudice amministrativo di primo grado, quando, con a sentenza 17.1.2006, ha dichiarato che l’esame del fondo delle domande gli era precluso dalla decadenza prevista dal D.Lgs. 80 del 1998, art. 45, comma 17.

Ed è questa la soluzione cui la Corte ritiene si debba accedere.

Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa medesima Corte, la preclusione all’esame del merito della domanda proposta oltre il 15.9.2000, se relativa a pretesa che, in un rapporto di pubblico impiego, tragga origine da un fatto che si colloca prima del 30.6.1998 è preclusione di ordine sostanziale (S.U. 30.1.1993 n. 1511; 3.5.2005 n. 9101; 31.3.2006 n. 7581) e non processuale.

La sentenza che la dichiara produce allora l’effetto di impedire una successiva decisione sul fondo della domanda da parte di ogni giudice e deve perciò essere considerata da un lato risolvere una questione preliminare di merito e dall’altro postulare il necessario riconoscimento della giurisdizione da parte del giudice amministrativo che la pronunzia.

Ora, la consolidata giurisprudenza della Corte ha rinvenuto nella statuizione implicita sulla questione di giurisdizione un limite al rilievo di ufficio del difetto di giurisdizione da parte del giudice di secondo grado, limite ritenuto operante anche in rapporto alla disciplina del processo amministrativo in base al disposto della L. n. 1034 del 1971, art. 30 – ed ora dell’art. 9.1 del codice del processo amministrativo – secondo un principio che, se pur portato a definitiva emersione dalla sentenza delle S.U. 9.10.2008 n. 24883, con la sentenza 28.1.2011 n. 2067 delle stesse sezioni unite è stato considerato rappresentare la conclusione di un orientamento da tempo manifestatosi nella linea di contenimento del regime di rilievo di ufficio della questione di giurisdizione.

Se così è, poichè nessuna delle parti, nell’impugnare la sentenza del T.A.R., ha proposto appello principale o incidentale sui punto, l’implicita statuizione sulla giurisdizione è passata in giudicato ed il giudicato che si è in tal modo formato ha precluso al Consiglio di Stato l’accesso alla richiesta di soluzione del conflitto.

Qui però una cosa resta ancora da segnalare: la soluzione non contrasta con un’affermazione, che, a proposito della questione di decadenza sostanziale, è contenuta nella sentenza delle sezioni unite 30 ottobre 2008 n. 26019.

In quel caso non si è affrontato il tema del rapporto tra le questioni di giurisdizione e di decadenza sostanziale in una sentenza che chiude il processo in base ad una decisione affermativa sulla seconda; è stato invece considerato il tema del rapporto tra questione di decadenza sostanziale e decisione sul merito, per affermare che l’impugnazione della statuizione sul merito consente al giudice di conoscere di ufficio della decadenza.

Si deve quindi e finalmente dichiarare che la richiesta formulata dal Consiglio di Stato è nel caso inammissibile.

14.1. Perde allora rilievo la circostanza allegata al punto 2 della memoria difensiva dell’Acquedotto Pugliese (Errata applicazione della L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 3. Prima udienza di merito) che l’udienza davanti al Consiglio di Stato sarebbe stata fissata per il 14.4.2011, si sarebbe regolarmente tenuta e su istanza dell’altra parte sarebbe stata rinviata a quella del 25.10.2011, in cui il ricorso è stato trattenuto in decisione.

15. Rileva peraltro la Corte che la questione d’interpretazione dell’art. 11.3 del codice del processo amministrativo su cui il Consiglio di Stato ha fondato la richiesta di soluzione del conflitto presenta aspetti di massima, che ne giustificano l’esame in vista dell’enunciazione di un principio di diritto nell’interesse della legge, a norma dell’art. 363 c.p.c..

16. Si deve muovere dall’interpretazione della L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 3.

La disposizione indica nella prima udienza fissata per la trattazione del merito il limite, oltrepassato il quale il rilievo di ufficio del proprio difetto di giurisdizione resta precluso anche al giudice indicato, una volta che la causa sia stata tempestivamente riassunta davanti a lui, dopo che il primo giudice abbia dichiarato di non avere giurisdizione.

Il termine merito, che compare nella disposizione, ha una precisa valenza nella dottrina del processo e nella sua disciplina.

Come si evince dalle norme contenute nel codice di procedura civile che ne fanno impiego, vale a qualificare l’insieme delle questioni che afferiscono al diritto controverso, siano ad esso preliminari, come le questioni di prescrizione e di decadenza, o ne riguardino il fondo, in quanto attengono all’accertamento dei fatti rilevanti ed alla loro qualificazione giuridica.

Serve allo stesso tempo a distinguere questo tipo di questioni da quelle che riguardano l’ordine del processo (valga per tutte il richiamo degli artt. 42 e 43, secondo comma, nonchè dell’art. 183 c.p.c., commi 1 e 2 e dell’art. 279 c.p.c., comma 2).

Tra quelle che riguardano il processo, alcune sono nell’ordine logico da esaminare con precedenza rispetto alla stessa questione di giurisdizione, come ad esempio quelle che concernono la nullità degli atti introduttivi e l’estinzione per mancata osservanza degli ordini del giudice volti alla convalidazione delle nullità sanabili.

Discusso nella giurisprudenza della Corte è il rapporto tra questione di giurisdizione e questione di integrità del contraddittorio.

Il punto è stato esaminato con riferimento al giudizio civile di appello.

Le sentenze 15 maggio 2001 n. 6666 e 14 gennaio 2003 n. 432 avevano affermato dovere il giudice di appello esaminare prima la questione di integrità del contraddittorio e poi quella di giurisdizione, rimettendo le parti davanti al giudice di primo grado in base all’art. 354 c.p.c., comma 1, per discutere la seconda a contraddittorio integro.

La sentenza 23 aprile 2008 n. 10462 delle sezioni unite è stata di segno contrario: vi si è ritenuto che il giudice di appello debba far precedere l’esame della questione di giurisdizione, sia perchè la soluzione di questa può condizionare la soluzione dell’altra, sia perchè sarebbe inutile rinviare al giudice di primo grado l’esame della domanda, quando il giudizio vada poi chiuso con una pronuncia di difetto di giurisdizione.

Tuttavia, questa soluzione appare dover oggi essere posta a raffronto con la disciplina della translatio iudicii, per gli effetti che nel suo ambito sono attribuiti alla declaratoria di difetto di giurisdizione, anche se proveniente da giudice di merito, una volta che la domanda sia riproposta davanti al giudice indicato.

16.1. Acquisito che la decisione di questioni attinenti all’ordine del processo può esaurire l’onere del giudice di pronunciarsi sulla domanda, senza che ne sia investito il potere di giudicare della sua giurisdizione, è da ritenere che il limite oltre il quale è precluso al giudice indicato di sollevare la questione di giurisdizione non sia oltrepassato per il fatto in sè che un’udienza, la prima, sia tenuta, ma dal fatto che sia stata tenuta senza che il giudice si sia limitato all’adozione di provvedimenti ordinatori ed eventualmente decisori su questioni impedienti di ordine processuale, logicamente precedenti quella di giurisdizione.

16.2. Ne deriva che il limite oltre il quale il secondo giudice non può sollevare il conflitto di giurisdizione, nel processo davanti al giudice ordinario, non è dato da compimento della prima udienza, se nell’udienza prevista dall’art. 183 c.p.c., comma 1, il giudice adotta i provvedimenti indicati nello stesso comma 1, e che in tal caso il limite oltre il quale la questione di giurisdizione non può essere sollevata si sposti all’udienza che il giudice fissa in base al secondo comma dello stesso articolo.

16.3. L’art. 11.3 del codice del processo amministrativo, senza altre specificazioni, indica nella prima udienza il tempo oltre il quale il giudice non può sollevare il conflitto.

Tale udienza è quella fissata in base all’art. 71.3 del codice e disciplinata dall’art. 73.

La disposizione dell’alt. 11.3 va interpretata alla luce di quanto si è osservato in sede d’interpretazione della L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 3. 16.4. Orbene, si è veduto che, ripreso il processo davanti al giudice indicato dal diverso giudice di merito dichiaratosi privo di giurisdizione, la richiesta di conflitto è ora il solo strumento attraverso il quale il giudice indicato può esercitare il suo potere di rilievo di ufficio della questione di giurisdizione.

Ciò nel processo di primo grado.

Mentre anche di questo il giudice è privo nel processo di appello, perchè se il potere di rilievo di ufficio non l’ha esercitato il giudice di primo grado sollevando il conflitto, al riguardo si sarà formata una preclusione a discutere ulteriormente della giurisdizione.

E però questo presuppone che nel giudizio di primo grado si siano determinate le condizioni procedurali per l’accesso all’esame del merito.

Il che non è in situazioni come quelle che in precedenza si sono indicate in modo esemplificativo e nelle quali il giudizio si è chiuso in primo grado, in base all’esame, impediente, di questioni attinenti all’ordine del processo.

Una soluzione diversa sarebbe contraria alle norme che, in conformità dell’art. 103 Cost. e delle sue disposizioni transitorie, attribuiscono ai diversi ordini di giudici la giurisdizione e perciò l’inerente potere di esserne giudice.

17. La richiesta di decisione sul conflitto di giurisdizione è in conclusione dichiarata inammissibile.

In applicazione dell’art. 363 c.p.c., è tuttavia da enunciare il seguente principio di diritto: La disposizione dettata nell’art. 11.3 del codice del processo amministrativo – che s’interpreta alla stregua di quella analoga contenuta nella L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59, comma 3 – non preclude in linea di principio che nel giudizio tempestivamente riproposto davanti a sè il giudice amministrativo di secondo grado sollevi d’ufficio il conflitto di giurisdizione: ad evitare che tale giudice risulti privato del potere di rilievo di ufficio del proprio difetto di giurisdizione, ciò si deve ammettere quante volte il giudizio di primo grado si sia concluso previo rilievo di questione attinente all’ordine del processo, logicamente pregiudiziale rispetto alla stessa questione di giurisdizione.

18. Delle spese di difesa sostenute dalle parti in questa fase del giudizio deciderà il Consiglio di Stato con la pronuncia definitiva.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, pronunciando sul conflitto di giurisdizione sollevato dal Consiglio di Stato con la sentenza 15.11.2011 n. 6041 della Sezione Sesta, dichiara la richiesta inammissibile; in applicazione dell’art. 363 c.p.c., comma 3, enuncia nell’interesse della legge il seguente principio di diritto: La disposizione dettata nell’art. 11.3 del codice del processo amministrativo – che s’interpreta alla stregua di quella analoga contenuta nella L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59, comma 3 – non preclude in linea di principio che nel giudizio tempestivamente riproposto davanti a sè il giudice amministrativo di secondo grado sollevi d’ufficio il conflitto di giurisdizione: ad evitare che tale giudice risulti privato del potere di rilievo di ufficio del proprio difetto di giurisdizione, ciò si deve ammettere quante volte il giudizio di primo grado si sia concluso previo rilievo di questione attinente all’ordine del processo, logicamente pregiudiziale rispetto alla stessa questione di giurisdizione.

La pronuncia sulle spese di questa fase del giudizio è rimessa al Consiglio di Stato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 27 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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