Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 29-09-2011) 25-10-2011, n. 38747 Circostanze del reato Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il G.I.P. del Tribunale di Verona, con sentenza del 13.05.2010, dichiarava Ba.Ma. e B.P. responsabili dei delitti loro rispettivamente ascritti e condannava: Ba.

M., unificati i delitti a lui ascritti ai capi A, B1 e D ex art. 81 c.p. e riconosciuta la continuazione degli stessi con il più grave delitto oggetto della sentenza del G.I.P. del Tribunale di Verona del 12.12.2008, parzialmente riformata dalla C.A. di Venezia in data 29.06.2009, in aumento rispetto alla pena già inflitta con detta sentenza, computata la diminuzione per il rito, all’ulteriore pena di anni tre di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa , determinando la pena complessiva in anni otto e mesi otto di reclusione ed Euro 44.000,00 di multa; B.P., unificati i delitti a lui ascritti ai capi A-B1 ed E, considerato più grave il delitto di cui al capo A, concesse le attenuanti generiche valutate equivalenti rispetto all’aggravante contestata, computata la diminuzione di un terzo per la scelta del rito, alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 30.000 di multa. Disponeva altresì la confisca della somma di Euro 18.000,00 sequestrata a B.P..

A B.P. e Ba.Ma. era stato contestato il delitto di cui agli art. 110 c.p. e art. 73 comma 1 e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, per avere posto in essere una compravendita di un quantitativo imprecisato ma comunque ingente di sostanza stupefacente tipo hashish non inferiore ai 10 Kg; in particolare il Ba. svolgeva il ruolo di acquirente, il B. di mediatore, mentre il coimputato M.M. era il venditore della predetta sostanza.

Al B. e al Ba. era poi contestato di avere acquistato da tale T.N. un campione dello stupefacente di cui sopra. Infine al Ba. era contestato di avere ceduto a terzi non identificati quantitativi imprecisati di sostanza stupefacente di tipo hashish e marijuana, il cui provento risultava pari a Euro 1.037.800 e al B. di avere acquistato, in concorso con altri coimputati e ceduto a terzi quantitativi imprecisati di sostanza stupefacente di tipo hashish ripartendosi i compiti nel seguente modo: il M.M. forniva lo stupefacente al B.P., il quale a sua volta lo cedeva al S.G. e ad altri clienti e consegnava di volta in volta il denaro ricevuto al M.. Avverso la sopra indicata sentenza tutti gli imputati proponevano appello a mezzo dei loro difensori.

La Corte di appello di Venezia, con sentenza datata 3.02.2011, oggetto del presente ricorso, in parziale riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo grado,assolveva il B. e il Ba. unitamente all’imputato Be. dal reato contrassegnato come B1 ex art. 530 c.p.p. comma 2, perchè il fatto non sussiste ed inoltre, esclusa l’aggravante di cui all’art.80 secondo comma Legge Stupefacenti dal reato contrassegnato con la lettera A, rideterminava la pena come segue:

B.P.: anni 4, mesi 4 di reclusione ed Euro 24 mila di multa;

Ba.Ma.: anni 8, mesi 4 di reclusione ed Euro 42.000 di multa.

Riteneva la Corte di appello che non ci fosse una prova sufficiente in ordine al reato avente ad oggetto l’acquisto da parte di B. e Ba. di un campione di sostanza stupefacente di tipo hashish da T.N. dal momento che sussisteva il dubbio sulla effettiva anche minimale capacità drogante della sostanza in considerazione altresì del mancato acquisto della stessa da parte da parte del Ba. e del coimputato Be..

Avverso tale sentenza proponevano distinti ricorsi per cassazione B.P. e Ba.Ma., a mezzo dei loro difensori, e concludevano chiedendone l’annullamento con i provvedimenti consequenziali. B.P. lamentava:

1) nullità della sentenza ex art. 606, comma 1, lett. e), nella parte in cui dichiara la responsabilità dell’imputato in ordine al capo A) dell’imputazione. Secondo il ricorrente non sarebbe rinvenibile nell’impugnata sentenza il percorso logico giuridico attraverso il quale il giudice è pervenuto alla dichiarazione della sua responsabilità, in quanto non si rinviene il ragionamento logico che consente di comprendere il contributo causale offerto dal B. in ordine ai successivi contatti tra cedente e cessionario, atteso che era risultato soltanto, all’esito di una intercettazione ambientale, che egli si era adoperato per mettere in contatto il Ba. e il coimputato M. per questioni legate al traffico di stupefacenti e l’unico elemento apprezzato visivamente dalla P.G. era stato l’acquisto in tale occasione da parte del Ba. di un campione di sostanza di tipo hashish da parte del M..

2) Nullità della sentenza ex art. 606, comma 1, lett. e) nella parte in cui si dispone la confisca della somma di danaro in sequestro.

Secondo il ricorrente infatti tale somma in contanti era destinata al pagamento di lavori di realizzazione dell’impiantistica elettrica e idraulica all’interno dell’abitazione in costruzione di proprietà sua e della moglie, come risultava dalla documentazione in atti e quindi tale somma non rappresentava il profitto derivante da attività illecite. Ba.Ma. lamentava:

1) Carenza motivazionale ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 133 c.p. in quanto la motivazione della sentenza impugnata in relazione all’art. 133 c.p. sarebbe del tutto laconica e, in particolare, non fornirebbe alcuna risposta ai motivi di appello in cui era stata effettuata una minuziosa trattazione di ogni singolo criterio indicato nell’art. 133 c.p..

2) Manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 comma 1, lett. e) in ordine al trattamento sanzionatorio derivante dall’esclusione dell’aggravante D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 80, comma 2. Secondo il ricorrente la Corte territoriale, avendo escluso l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, avrebbe dovuto apportare una modifica a favore del ricorrente al trattamento sanzionatorio, dovendosi quindi ritenere tale mancata modificazione diminutiva della pena irrogata manifestamente illogica.

Motivi della decisione

Il ricorso proposto da Ba.Ma. è fondato nei limiti di cui in motivazione.

Per quanto attiene al primo motivo, la motivazione dei giudici della Corte territoriale in merito alla pena è congrua e corretta in quanto viene dato atto dell’importante guadagno derivante dal provento dell’attività certamente superiore alla somma sequestrata e al fatto che il Ba. si era limitato ad ammettere le proprie responsabilità, ma non aveva fornito alcun contributo per dimostrare quelle dei coimputati B. e M..

Il secondo motivo di ricorso è invece fondato. Per quanto attiene infatti al trattamento sanzionatorio derivante dall’esclusione dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 dal reato contrassegnato con la lettera A, i giudici della Corte territoriale hanno escluso la predetta aggravante, ma non hanno apportato alcuna modifica al trattamento sanzionatorio. A pagina 22 della sentenza impugnata si legge infatti testualmente:" In ordine al trattamento sanzionatorio il Giudice non ha dato conto del giudizio di comparazione delle circostanze (era stata contestata sia la recidiva che l’aggravante ex art. 80 L.S.) poichè, riconosciuta l’esistenza del vincolo della continuazione con i fatti già oggetto di sentenza e ritenuti questi più gravi,si era limitato a praticare un aumento con riferimento ai capi A) e D) pari, per ciascun episodio, ad anni 2 di reclusione ed Euro 9 mila di multa che la Corte ritiene di condividere nella loro equità… Si è di conseguenza proceduto alla sola eliminazione dell’ulteriore aumento di mesi 6 in connessione alla assoluzione di cui al capo B1".

Tanto premesso si osserva che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr., Cass., Sez. 5, Sent. n. 48036 del 30.09.2009, Rv.

245394)" il giudice dell’impugnazione che accolga l’appello dell’imputato relativamente a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, ha l’obbligo di diminuire la pena complessivamente irrogata e di rifissare la pena base in misura non superiore a quella determinata in primo grado, al fine di non violare il principio del divieto di "reformatio in peius". Nella fattispecie che ci occupa il giudice di primo grado, nel determinare l’aumento di pena per il reato contrassegnato con la lettera A, aggravato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, ha tenuto conto della qualificazione di tale reato e della quantità della pena per esso prevista, superiore a quella determinabile per il reato non aggravato. Nella sentenza impugnata invece i giudici della Corte territoriale si sono limitati a confermare per il reato contrassegnato con la lettera A l’aumento di anni 2 ed Euro 9.000 di multa (in continuazione con quello già oggetto della sentenza definitiva del G.I.P. del Tribunale di Verona, parzialmente riformata dalla Corte di appello di Venezia in data 29.06.2009, divenuta definitiva in data 30.09.2009), già comminato dal giudice di primo grado, senza operare alcuna diminuzione, sebbene i giudici di appello avessero escluso per il reato di cui sopra la sussistenza dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80. Pertanto l’impugnata sentenza deve essere annullata nei confronti di Ba.Ma. limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia. Nel resto il ricorso del Ba. deve essere rigettato.

Passando all’esame del ricorso di B.P., osserva la Corte che lo stesso è palesemente infondato, in quanto ripropone questioni di merito a cui la sentenza impugnata ha dato ampia e convincente risposta e mira ad una diversa ricostruzione del fatto preclusa al giudice di legittimità.

Tanto premesso si osserva che il ricorso proposto per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione seleziona un percorso che si esonera dalla individuazione dei capi o dei punti della decisione cui si riferisce l’impugnazione ed egualmente si esonera dalla indicazione specifica degli elementi di diritto che sorreggono ogni richiesta. Le censure che investano la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione impongono una analisi del testo censurato al fine di evidenziare la presenza dei vizi denunziati.

Tutto ciò non è rintracciabile nel ricorso di B.P., il quale si limita a dolersi del risultato attinto dalla sentenza impugnata accumulando circostanze che intenderebbero ridisegnare il fatto ascrittogli in chiave a lui favorevole, al fine di ottenere in tal modo una decisione solamente sostitutiva di quella assunta dal giudice di merito.

Nella sentenza oggetto di ricorso è infatti chiaro il percorso motivazionale che ha indotto quei Giudici a confermare la sentenza di primo grado.

La Corte di Appello infatti, con riferimento al primo motivo, ha correttamente rilevato che non riveste particolare significato la circostanza che non sia stato effettuato a carico del B. alcun sequestro di sostanze stupefacenti, in considerazione del fatto che le intercettazioni telefoniche e ambientali sono ampiamente dimostrative della sussistenza dei reati per cui è stato ritenuto responsabile e del particolare ruolo di mediatore da lui rivestito che non implicava un concreto passaggio dello stupefacente nelle sue mani.

Per quanto poi attiene al secondo motivo di ricorso i giudici della Corte territoriale hanno condiviso le corrette e congrue argomentazioni riportate nella sentenza di primo grado e hanno ulteriormente evidenziato che l’esistenza di una situazione debitoria dell’imputato per dei lavori di ristrutturazione presso la sua abitazione non poteva giustificare la detenzione di una somma in contanti pari a 18 mila Euro, e questo, in particolare, in relazione al fatto che egli è stato ritenuto responsabile in relazione ad una lucrosa e ben avviata attività diretta sia alla cessione di sostanza stupefacente, sia alla intermediazione nelle medesime, in cui venivano trattati grandi quantitativi delle predette sostanze.

Pertanto nè rispetto ai capi nè rispetto ai punti della sentenza impugnata, nè rispetto all’intera tessitura motivazionale che nella sua sintesi è coerente e completa, è stata in alcun modo configurata la protestata contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Il ricorso proposto non va in conclusione oltre la mera enunciazione del vizio denunciato e dunque esso è inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente B.P. al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Ba.Ma. limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia. Rigetta nel resto il ricorso del Ba..

Dichiara inammissibile il ricorso di B.P. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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