Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 13-04-2012, n. 5872 Competenza e giurisdizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. D.A. si è rivolto al Tribunale amministrativo regionale de Lazio ed ha chiesto il riconoscimento del suo diritto a percepire il trattamento economico tabellare stabilito dal D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, art. 157 sull’Ordinamento dell’amministrazione degli affari esteri: ciò dalla data dell’assunzione ed anche in riferimento alla L. 25 agosto 1982, n. 604 e L. 22 dicembre 1990, n. 401.

L’attore ha riferito di essere stato assunto alle dipendenze del Ministero degli affari esteri dall’1.4.1998 con contratto a tempo indeterminato, stipulato ai sensi della L. n. 401 del 1990, art. 17, comma 1, per espletare mansioni di concetto presso l’Istituto italiano di cultura di Belgrado.

2. Il T.A.R., con sentenza del 16.2.2006, affermata in via pregiudiziale la giurisdizione del giudice italiano in base al criterio di collegamento stabilito dalla L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 3, ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto la controversia era devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 68, comma 1. 3. D. ha quindi adito il Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro ed ha ribadito la sua pretesa al diverso trattamento retribuivo, di cui ha determinato la differenza in Euro 59.897, ma il tribunale, con sentenza del 10.12.2008, ha accolto l’eccezione del Ministero degli affari esteri ed ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano.

Ciò in ragione della deroga in favore del foro locale, convenuta dalle parti nell’art. 13 del contratto di lavoro.

4. La decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Roma, che, con sentenza del 15.2.2011, ha rigettato l’impugnazione proposta dal dipendente.

5. La corte ha premesso che la decisione del tribunale amministrativo non comportava alcun giudicato sulla questione di giurisdizione del giudice italiano.

Ha poi rilevato che – come aveva ritenuto il giudice di primo grado – la giurisdizione per la materia del personale assunto a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti di cultura era disciplinata dal D.Lgs. 7 aprile 2000, n. 103.

Ed ha affermato che quest’ultimo, con disciplina successiva e comunque speciale rispetto a quella generale dettata dalla L. n. 218 del 1995 agli artt. 3 e 4, ha inserito nel titolo 6^ del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 154, secondo il quale i contratti in questione sono regolati dalla legge locale e che competente a risolvere le eventuali controversie è il foro locale.

Nè – ha aggiunto – poteva assumere rilievo, in senso contrario, la locuzione "fermo restando quanto disposto dalle norme di diritto internazionale e convenzionale" – contenuta nella predetta disposizione – perchè tale locuzione andava riferita alla sola individuazione delle norme sostanziali applicabili e non anche alla giurisdizione.

6. D. ricorre per la cassazione di questa sentenza.

Il Ministero degli affari esteri resiste con controricorso.

Il ricorrente ha depositato una memoria.

Motivi della decisione

1. Il ricorso contiene due motivi.

1.1. Il primo è rivolto a sostenere che il difetto di giurisdizione del giudice italiano non avrebbe potuto essere fondato sul presupposto dell’applicabilità dell’art. 154 prima richiamato.

Questa norma, quanto alla soggezione alla legge locale, si riferirebbe ai soli contratti stipulati a decorrere dal 12.5.2000 e non avrebbe potuto trovare applicazione nella specie, perchè il contratto di assunzione era stato stipulato nell’aprile del 1998 ed era perciò regolato dalla contrattazione collettiva di settore di cui all’accordo 22.10.1997.

Perciò la controversia non si sottraeva alla giurisdizione del giudice italiano secondo il criterio di riparto stabilito dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 68 e successivamente dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63. 1.2. Con il secondo motivo il ricorrente aggiunge che, pur considerando applicabile l’art. 154 citato, comunque non si potrebbe affermare il difetto di giurisdizione del giudice italiano, perchè la norma novellata contiene una clausola di salvaguardia delle "norme di diritto internazionale generale e convenzionale", rispetto alle quali la deroga della giurisdizione in favore del giudice straniero ha carattere residuale e sussidiario.

D’altra parte, la deroga alla giurisdizione non potrebbe discendere dalla L. n. 218 del 1995, art. 4, comma 2, che appunto prevede la derogabilità in favore della giurisdizione straniera, quando la deroga sia convenuta per iscritto e riguardi diritti disponibili.

E questo perchè, da un lato, tale norma, compresa la previsione di deroga che vi è contemplata è di carattere generale e non ha quindi alcuno spazio applicativo in una materia come quella in esame, regolata dalla disciplina speciale del D.Lgs. n. 29 del 1993, e, dall’altro lato, la deroga sarebbe comunque inefficace stante la natura indisponibile dei diritti azionati nella presente controversia.

2. Il ricorso è fondato secondo le considerazioni che seguono.

3. Si deve premettere che l’affermazione della giurisdizione del giudice italiano contenuta nella sentenza del tribunale amministrativo non poteva precludere una diversa decisione da parte del giudice ordinario poi adito.

Questo in virtù del principio secondo cui le sentenze dei giudici amministrativi, al pari di quelle dei giudici ordinari di merito, sono suscettibili di acquisire autorità di giudicato esterno anche in tema di giurisdizione e perciò di spiegare i propri effetti anche al di fuori del processo in cui siano state rese, solo se la statuizione sulla giurisdizione sia accompagnata da una conseguente pronuncia di merito (così Cass., Sez. Un. 5 marzo 2008 n. 5917).

3.1. La regola è altrettanto valida per l’ipotesi in cui il giudicato riguarda la questione del riparto della competenza giurisdizionale fra giudici italiani e stranieri, che, siccome neppur esso è relativo ad una decisione di merito, può avere effetti preclusivi solo nel processo in cui la questione è stata decisa e non si può estendere ad altri processi, ancorchè instaurati fra le stesse parti e con il medesimo oggetto (Cass., Sez. Un. 12.11.1994 n. 9554).

3.2. A proposito di quanto si è appena ricordato, non è necessario indugiare su altra questione, che, dopo l’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59 si potrebbe pure porre.

Invero, nel sistema della translatio iudicii, la sentenza del giudice di merito, ordinario o speciale, che declina la giurisdizione, produce oggi un effetto all’interno del processo che prosegue, in particolare l’effetto di vincolare il secondo giudice a non poter ancora declinare la sua giurisdizione, ma a dover investire della questione la Corte di cassazione e ciò in uno spazio deliberativo ristretto.

Basti rilevare, però, che il sistema della transiatio iudicii opera sul piano del rapporto interno alla giurisdizione nazionale, fra i diversi giudici tra cui è ripartita ed è volto ad assicurare che la tutela riconosciuta dall’ordinamento, una volta che sia richiesta, sia assicurata da uno di questi giudici e attraverso un processo da considerare sorretto dalla domanda originaria.

Ma ciò presuppone che uno dei giudici nazionali abbia la potestà di farlo e non è possibile che sia quando la competenza giurisdizionale spetta a un giudice straniero.

Del resto l’estraneità della disciplina della translatio a questo secondo ambito appare affermata già nella L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 1. 3.3. Si è detto però che su tale aspetto non è necessario indugiare.

Dopo la declinatoria di giurisdizione pronunciata dal T.A.R. del Lazio, il processo è ripreso davanti al tribunale di Roma e si è chiuso in primo grado con la sentenza 10.12.2008 che, pronunciandosi sulla questione di difetto di giurisdizione del giudice italiano sollevata dal Ministero degli esteri, tale difetto ha dichiarato.

Orbene, con la sentenza 15.3.2011 n. 6011, le Sezioni unite, hanno affermato che la disciplina della translatio iudicii, nella sua valenza di delimitazione dei poteri processuali, non può essere applicata per disciplinare i poteri delle parti che sono stati esercitati in un momento del processo in cui essa non era in vigore, e quindi retroattivamente, giacchè il regime degli atti, compiuti nel processo dalla parte in base ai poteri che le sono attribuiti, quanto a validità ed effetti è regolato dalla norma in vigore al tempo in cui l’atto è stato compiuto.

Non poteva perciò considerarsi precluso al Ministero degli affari esteri sollevare la questione di giurisdizione internazionale, con conseguente onere del tribunale di deciderla.

4. Nel merito di tale questione trovano applicazione i principi già enunciati dalle Sezioni unite in analoghe controversie (con la sentenza 28.12.2011 n. 29093 e, prima, 2.12.2011 n. 25674).

4.1. Il D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, art. 152 – nel testo sostituito dal D.Lgs. 7 aprile 2000, n. 103, art. 1 e di cui va fatta applicazione nel caso -autorizza le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari e gli istituti italiani di cultura ad assumere personale a contratto, per le proprie esigenze di servizio e previa autorizzazione dell’Amministrazione centrale.

Il rapporto d’impiego che sorge con il contratto così concluso si costituisce peraltro con il Ministero degli affari esteri e non con gli organi del Ministero, sì che è il primo e non i secondi ad essere il datore di lavoro.

4.2. La disciplina della giurisdizione sulla domanda, proposta nei confronti del Ministero degli affari esteri convenuto in giudizio davanti al giudice italiano, non può essere tratta se non dal Regolamento CE 44/2001 del 22 dicembre 2000, di cui è fatta salva l’applicazione dall’art. 154 del decreto presidenziale n. 18 del 1967, nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 103 del 2000.

Si vuoi dire che l’attribuzione della competenza giurisdizionale al foro -locale è esclusa dalla salvezza delle norme di diritto internazionale generale e convenzionale contenuta nello stesso comma 1, dell’art. 154.

D’altro canto la controversia sul rapporto in questione è soggetta all’applicazione del Regolamento CE 44/2001 perchè non ha riguardo alla materia amministrativa.

4.3. La competenza giurisdizionale de giudice italiano deriva dall’applicazione degli artt. 18, 19 e 60 del Regolamento, parte della controversia essendo -come si è visto – il Ministero degli affari esteri, che è stato convenuto in giudizio.

Infine, in base all’art. 21 del Regolamento, alla clausola di deroga alla competenza giurisdizionale – contenuta nel contratto – non può essere riconosciuta, nella specie, l’efficacia di vincolare il dipendente, poichè si tratta di clausola anteriore al sorgere della controversia, che avrebbe l’effetto, non di consentire, ma di imporre al lavoratore di rivolgersi a un giudice diverso da quello, cui gli è consentito di rivolgersi alla stregua dell’art. 19, comma 1. 5. In tali sensi il ricorso va quindi accolto e, dichiarandosi la giurisdizione del giudice italiano, la sentenza impugnata va cassata.

La causa va rimessa al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, ai sensi dell’art. 382 cod. proc. civ..

Il tribunale si pronuncerà altresì sulle spese dell’intero giudizio davanti al giudice civile.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, accoglie il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice italiano, cassa la sentenza impugnata e rimette la causa al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, anche per le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 31 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2012

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