Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-04-2012, n. 5870 Accertamento Redditi d’impresa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

T.O. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della CTR – Calabria del 6 novembre 2009, premettendo:

a) che la contribuente aveva impugnato gli atti impositivi notificatile per riprese a tassazione – a fini IVA, IRPEF e IRAP – di maggiori redditi d’impresa negli anni 2003 e 2004;

b) che nei ricorsi introduttivi aveva contestato: 1) il recupero di ricavi ritenuti dal Fisco omessi in relazione all’attività di ristorazione svolta; 2)il recupero relativo al conteggio, ritenuto errato dall’Ufficio, di contributi "ex L." n. 488 del 1992; 3) la ritenuta indeducibilità di taluni costi; 4) l’indetraibilità dell’IVA risultante da fatture ritenute soggettivamente inesistenti;

c) che la CTP – Cosenza, riuniti i similari ricorsi, aveva accolto integralmente i motivi "secondo" (relativo al conteggio dei contributi) e "quarto" (relativo alle fatture false) e parzialmente il "terzo" (relativo ai costi indeducibili), mentre aveva rigettato il "primo" (relativo ai ricavi di ristorazione);

d) che la decisione di prime cure era stata appellata in via principale dall’amministrazione, limitatamente al quarto capo sulle fatture false, e in via incidentale dalla contribuente, relativamente al primo capo sui costi indeducibili, mentre nessuna impugnazione era stata proposta sui capi secondo e terzo;

e)che il giudice d’appello, accolto il gravame principale e dichiarato assorbito quello incidentale, aveva rigettato integralmente i ricorsi della contribuente, condannata inoltre alle spese del doppio grado; tanto premesso, la ricorrente censura la sentenza d’appello, adducendo cinque motivi, i primi due sono diretti a denunciare (ex art. 360 c.p.c., n. 4 o n. 3) vizio di ultrapetizione (art. 112 c.p.c.) e violazione di giudicato interno (art. 2909 c.c.), per avere la CTR, rigettando integralmente i ricorsi introduttivi, esteso la propria pronuncia a capi, il secondo e il terzo, non appellati e dunque oramai definitivi; gli altri motivi attingono, invece, il merito della vertenza "sub specie" di violazioni di legge, il terzo (D.P.R. n. 570 del 1996, art. 1; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d; L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, lett. b) e il quarto (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7), e di vizi motivazionali, il quinto.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso; la contribuente replica con memoria.

Motivi della decisione

1. – Il primo motivo, addotto ex art. 360 c.p.c., n. 4, è fondato.

In effetti, ai fini dei denunciati vizi di ultrapetizione della sentenza d’appello e di violazione del giudicato interno, va utilizza come fonte conoscitiva la sola sentenza d’appello, che parla espressamente di "ricorsi riuniti… accolti parzialmente" dalla CTP. In essa si legge che "i giudici di primo grado hanno ritenuto di accogliere il secondo e il quarto motivo di ricorso", specificando che si tratta della affermata deducibilita delle quote di ammortamento dei contributi "ex lege" n. 488 e della ritenuta non falsità delle fatture delle ditte M. e C. fino a prova contraria ex art. 221 c.p.c..

Nella medesima decisione d’appello si legge, inoltre, che "contro la suddetta sentenza ha presentato tempestivo e rituale appello parziale l’Agenzia delle entrate… contestando l’indebita detrazione di imposta IVA per le fatture ritenute inesistenti emesse dalle ditte M.A. e C.G.".

Si legge, ancora, che "il contribuente ha presentato comparsa di costituzione risposta e appello incidentale…, contestando l’appello parziale dell’Agenzia nella parte relativa alla indebita detrazione dell’IVA per le fatture ritenute inesistenti ed insistendo nella richiesta di riduzione dell’importo dei maggiori ricavi dell’attività nella misura esposta in ricorso". Si legge, infine, che "l’Agenzia delle entrate ha presentato memorie difensive all’appello incidentale del contribuente, insistendo sula conferma dei maggiori ricavi dell’attività nella misura determinata nell’avviso di accertamento".

Dunque, dalla narrazione contenuta nello "svolgimento del processo", si evince che il "thema decidendum" devoluto alla CTR era limitato alle sole due questioni sulle fatture false (appello principale) e sui maggiori ricavi omessi (appello incidentale), mentre le questioni sul conteggio dei contributi e sui costi indeducibili erano estranee al perimetro delle impugnazioni. I "motivi della decisione" toccano, oltre alle questioni sui criteri di quantificazione dei maggiori ricavi omessi e sugli indici rivelatori della falsità delle fatture delle ditte M. e C. portate in detrazione dalla contribuente, anche i componenti positivi di reddito provenienti dai contributi "ex lege" 488, estranei invece al perimetro impugnatorio.

Per cui, dal tenore logico-giuridico della sentenza d’appello, la decisione che, dopo la pronunzia di accoglimento dell’appello principale, "rigetta integralmente i ricorsi di T.O.", esorbita dai limiti dell’effetto devolutivo dell’appello, attingendo anche statuizioni non impugnate, cioè esplicitamente quella sul conteggio dei contributi e implicitamente persino quella sui costi indeducibili, entrambe oramai definitive perchè non appellate.

2.-Il similare secondo motivo, addotto però ex art. 360 c.p.c., n. 3, resta assorbito dall’accoglimento del correlato primo mezzo 3.-Il terzo motivo è infondato.

La ricorrente, assumendo che la CTR -rigettando l’appello incidentale della contribuente e accogliendo quello principale dell’Ufficio- avrebbe legittimato una ricostruzione dei ricavi operata nei confronti di un soggetto a contabilità ordinaria ritenuta inattendibile al di fuori dei parametri di legge (L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, lett. b), sostiene che sussiste nella specie violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 570 del 1996, art. 1, comma 1, norma quest’ultima secondo cui l’inattendibilità rileverebbe solo ai fini dell’applicazione dei parametri previsti dalla legge. Ciò posto, deve ribadirsi, in conformità del resto a giurisprudenza più che consolidata (cfr. da ultimo C. 23950/11), da cui totalmente prescinde la ricorrente, che:

a) in materia di determinazione del reddito d’impresa, atteso il principio di continuità dei valori contabili, per cui le rimanenze finali di un esercizio costituiscono esistenze iniziali dell’esercizio successivo e le reciproche variazioni concorrono a formare il reddito d’esercizio (C. 11748/08), è legittimo il recupero a tassazione dei ricavi, induttivamente ricostruiti, qualora il contribuente non ottemperi all’onere della specificazione delle rimanenze distinte per categorie omogenee di beni (C. 9946/03);

b) nella specie, con insindacabile accertamento in fatto, il giudice d’appello ha rilevato che "la ditta non è stata in grado di fornire il dettaglio delle rimanenze in violazione del D.P.R. n. 570 del 1996, art. 1, comma 1 lett. d), relativamente ai criteri di attendibilità della contabilità";

c) la presenza d’irregolarità contabili tali da rendere inattendibili le scritture aziendali legittima di per sè sola l’adozione del metodo induttivo, senza che sui presupposti per il ricorso ad esso incidano le modalità con cui tale forma di accertamento viene poi eseguita, potendo l’amministrazione utilizzare elementi esterni rispetto alle scritture e anche dati da queste emergenti (nella misura in cui risultino singolarmente affidabili), così come può servirsi, nel corso del medesimo accertamento, del metodo analitico, oppure contemporaneamente di entrambe le metodologie (C. 27068/06); d)la ricostruzione presuntiva dei maggiori ricavi può, dunque, avvenire al di fuori di parametri redditometri- ci, ricorrendo a indici rivelatori tipici dell’attività di ristorazione quali ad esempio: il consumo di tovaglioli (C. 15808/06), la quantità normale di materie prime necessarie per la preparazione dei pasti (C. 25001/06), il consumo di acqua minerale (C. 17408/10), etc.;

e) nella specie la metodologia adottata dall’Ufficio accertatore (che, attraverso le fatture d’acquisto, ha suddiviso i prodotti impiegati per tipologia merceologica, ha determinato i maggiori pasti con ricostruzione indiretta, tenuto conto dei quantitativi di prodotti utilizzati nelle produzione dei vari piatti così come indicati dalla contribuente e delle percentuali di "sfrido" di cui alla circ. 117/98, e ha, infine, applicato i prezzi medi dei listini esibiti dalla stessa contribuente), è priva di vizi logici e giuridici e appare, peraltro, censurata in difetto di autosufficienza, mancando la trascrizione in ricorso dei passi ritenuti salienti (C. 12786/06 e 13007/07).

4. – Il quarto motivo è infondato.

La ricorrente – posto che la CTR ha escluso il diritto alla detrazione dell’IVA pagata dalla contribuente quale committente di lavori edili per ritenute operazioni soggettivamente inesistenti e atteso che l’art. 21, comma 7, d.iva concerne la sole operazioni oggettivamente inesistenti, non sussistendo in questi casi il presupposto d’imposta – afferma che la sentenza d’appello avrebbe errato nel negare la detrazione dell’IVA pagata, trattandosi di caso in cui il presupposto impositivo si era verificato per essere state effettuate le prestazioni.

A tal proposito, si osserva:

a) In materia di IVA, la nozione di "fattura inesistente" va riferita, non soltanto all’ipotesi di mancanza assoluta dell’operazione fatturata, ma anche ad ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa l’ipotesi d’inesistenza soggettiva, che ricorre quando, pur risultando i beni o i servizi entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture, venga accertato che uno o entrambi i soggetti del rapporto siano falsi. In tal caso, invero, se cede a carico del cessionario/committente dei beni/servizi fatturati l’obbligo di corrispondere l’imposta sull’operazione soggettivamente inesistente, ai sensi dell’art. 2, comma 7 d.iva risulta, tuttavia, evasa l’imposta relativa al diverso rapporto realmente posto in essere (cfr. C. 15374/02, 6378/06, 18907/11). b) Inoltre, il diritto alla detrazione non sorge comunque per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza all’impresa, requisito mancante per l’IVA corrisposta al soggetto fittizio, trattandosi di costo non inerente all’attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza (C. 1950/07 e 735/10). c) Infine, nella giurisprudenza comunitaria è condiviso l’orientamento che subordina il diritto alla detrazione IVA all’assoluta inconsapevolezza del cessionario di partecipare a un acquisto costituente ipotesi di frode fiscale (cfr. sentenze in cause C-439/04 e C-354/03), e alla circostanza che, anche usando l’ordinaria diligenza, non avrebbe mai potuto comprendere che l’effettivo cedente non era colui che risultava nella fattura (sentenze in cause C- 439/04 e C-271/06).

5. – Il quinto motivo è infondato.

La ricorrente, premesso che il giudice d’appello ha ritenuto la falsa fatturazione per lavori edilizi sulla scorta del deficit organizzativo delle imprese appalta-trici, denuncia la mancata motivazione sull’effettiva esecuzione dei lavori da parte di tali ditte e la mancata valutazione della relazione tecnica dei lavori effettuati, prodotta dalla contribuente con i ricorsi introduttivi.

A tal proposito, si osserva:

a) Il mezzo difetta di autosufficienza, atteso che accenna (pag. 13) a elementi documentali (es. quietanze liberatorie, assegni di pagamento, relazione tecnica di parte), dei quali mancano sia le indicazioni sulla collocazione nel fascicolo processuale (necessarie per il loro reperimento), sia le trascrizioni dei passi salienti (indispensabili per il preliminare vaglio di ammissibilità e decisività). b) Inoltre, nel giudizio d’impugnazione di avvisi di accertamento, il giudice del merito non è tenuto a dare conto del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averli vagliati nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito, implicitamente disattendendo gli argomenti morfologicamente incompatibili con la decisione adottata, come nel caso di mere allegazioni difensive quali sono le osservazioni contenute in una perizia stragiudiziale (C. 16650/11);

c) Nella specie, con motivazione esaustiva e logicamente incensurabile, il giudice d’appello ha ritenuto non detraibili le fatture emesse dalle presunte ditte appaltatrici di lavori edili, sulla scorta di obiettivi riscontri, quali: aa) l’assenza di collegamento tra le fatture emesse dalla ditta M., le concessioni edilizie, le comunicazioni di inizio lavori e le opere asseritamente eseguite; bb) la mancanza di posizioni assicurative e/o previdenziali, di strutture operative e di dichiarazioni fiscali riferibili alla ditta M.; cc) la presenza, quanto alla ditta C., solo di una remota posizione INAIL (1978), a fronte della mancanza di posizione INPS, di dichiarazioni fiscali (dal 1997), di retribuzioni corrisposte e dichiarate (dopo il 1999) e di rapporti di lavoro (negli anni 2003/2004). d)Infine, il diverso e generico assunto della ricorrente si risolve nell’inammissibile tentativo di prospettare una rivisitazione generalizzata delle risultanze processuali, che appartiene esclusivamente al giudice del merito.

6.-Accolto il primo motivo, assorbito il secondo e rigettati gli altri, la sentenza d’appello va cassata, in relazione al solo mezzo accolto, e dichiarata nella parte in cui statuisce anche sul conteggio dei contributi e sui costi indeducibili (art. 382 c.p.c.), così come meglio sopra precisato sub p.1. L’evolversi della vicenda processuale nei vari gradi fa stimar equa la compensazione integrale di tutte spese di lite.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo, rigetta gli altri, cassa la sentenza d’appello in relazione al motivo accolto e, decidendo ex art. 382 c.p.c., u.c., dichiara la nullità della sentenza d’appello nella sola parte in cui statuisce anche sul conteggio dei contributi e sui costi indeducibili. Compensa tutte le spese processuali tra le parti.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2012

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