Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 29-09-2011) 25-10-2011, n. 38744

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 14.04.2008 il Tribunale di Trieste ha ritenuto P.D. responsabile del reato di furto aggravato per essersi impossessato, in data 14 agosto 2006, in concorso con altri, al fine di trame profitto, di 500 chilogrammi di alluminio grezzo in lingotti, del valore di 1.200 Euro sottraendoli alla Pacorini Metals s.p.a. che li deteneva accatastati all’interno dello scalo legnami e, con la diminuente per il rito abbreviato, lo condannava alla pena di anni due di reclusione ed Euro 500 di multa, nonchè al pagamento delle spese processuali, revocando la sospensione condizionale della pena concessa con sentenza del Tribunale di Trieste del 4 marzo 2002.

Avverso tale decisione hanno proposto appello l’imputato a mezzo del suo difensore. La Corte di Appello di Trieste, con la sentenza oggetto del presente ricorso emessa in data 9.12.2010, confermava la sentenza emessa nel giudizio di primo grado e condannava l’imputato al pagamento delle spese del grado.

Avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste P.D. personalmente proponeva ricorso per Cassazione e concludeva chiedendone l’annullamento con ogni conseguente statuizione per i seguenti motivi:

1) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.

Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Secondo il ricorrente infatti la motivazione della sentenza sarebbe contraddittoria in quanto l’aveva ritenuto responsabile della sottrazione di 500 barre di alluminio, mentre invece poteva ritenersi raggiunta la prova della sottrazione di un’unica barra, atteso che all’interno della sua autovettura gli ufficiali di polizia giudiziaria avevano trovato soltanto una barra di alluminio.

2) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 625 c.p., n. 7. Secondo il ricorrente erroneamente il giudice di merito aveva ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7, affermando che il fatto è stato commesso su cose esposte per necessità o consuetudine alla pubblica fede. Tale aggravante invece avrebbe dovuto essere esclusa, atteso che il reato era stato commesso in zona non soggetta a pubblico passaggio e chiusa al libero accesso non solo di qualunque cittadino, ma anche degli operai e degli altri operatori portuali estranei al concessionario.

3) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 133 c.p.. Incongruità ed eccessività della pena inflitta. Lamentava sul punto il ricorrente che i giudici della Corte territoriale gli avevano comminato una pena eccessiva e non gli avevano concesso le circostanze attenuanti generiche, senza tenere conto che appariva provata soltanto la sottrazione di un’unica barra di alluminio e dell’atteggiamento collaborativo da lui tenuto nei confronti degli ufficiali di polizia giudiziaria.

Motivi della decisione

Il proposto ricorso è palesemente infondato.

Per quanto attiene al primo motivo di ricorso osserva la Corte che i giudici della Corte territoriale hanno spiegato dettagliatamente, con congrua e logica motivazione, le ragioni che li hanno indotti a ritenere il P. responsabile del reato di furto aggravato con riferimento a tutti i 500 chilogrammi di alluminio grezzo in lingotti indicati nel capo di imputazione. In particolare la sentenza impugnata aveva evidenziato le dichiarazioni di due marinai della motonave ucraina (OMISSIS), che avevano visto il conducente di un autovettura Alfa Romeo asportare in più riprese delle sbarre di alluminio accatastate sul molo, che dovevano essere caricate sulla loro motonave. I marinai di cui sopra avevano anche girato un filmato e le fotografie estrapolate avevano ritratto l’autovettura Alfa Romeo descritta dai testimoni e risultata poi appartenente all’imputato P. ed in uso allo stesso. Infine la sentenza impugnata aveva evidenziato quale elemento di prova a carico dell’imputato l’annotazione del finanziere T. che, dopo essere stato avvertito dal comandante della motonave (OMISSIS) della presenza del P., a bordo dell’autovettura Alfa Romeo, nella zona portuale, era salito insieme con un altro finanziere a bordo di tale autovettura e, in tale occasione, il P. aveva prelevato dal bagagliaio una sbarra di alluminio, pur affermando che quella era la sola barra da lui asportata dalla catasta.

Per quanto poi attiene al secondo motivo di ricorso la sentenza impugnata ha indicato chiaramente le ragioni per cui si deve ritenere sussistente l’aggravante della esposizione alla pubblica fede, con puntuali riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte, fornendo una motivazione assolutamente condivisibile.

Sussiste infatti l’aggravante in questione ogniqualvolta la cosa sia anche solo temporaneamente incustodita, e quindi sia lasciata alla mercè dei terzi, non essendo rilevante la natura pubblica o privata del luogo in cui la stessa si trova (cfr., tra le altre, Cass., Sez. 5, Sent. n. 6355 del 18.01.2008, Rv. 239119). Irrilevante, ai fini della sussistenza di tale aggravante, è anche la presenza di un sistema di video sorveglianza (che, nella fattispecie che ci occupa, ci sarebbe stato, ancorchè non funzionante), in quanto lo stesso, ancorchè consenta la conoscenza postuma delle immagini registrate dalla telecamera, non costituisce di per sè una difesa idonea a impedire la consumazione dell’illecito attraverso un immediato intervento ostativo (cfr., sul punto, Cass., Sez. 5, Sent. n. 6682 dell’8.11.2007, Rv. 239095).

Pertanto correttamente i giudici della Corte territoriale hanno ritenuto la sussistenza di tale aggravante nella fattispecie che ci occupa, dal momento che la zona portuale in cui è stato commesso il furto è sottoposta ad un controllo solo parziale da parte della Guardia di Finanza, mentre nell’area doganale si poteva accedere facilmente anche dal mare, essendo pertanto assai facile asportare le sbarre di alluminio, che erano state abbandonate sul molo prive di custodia e quindi alla merce di chiunque si trovasse a transitare in quel luogo.

Per quanto infine attiene al terzo motivo di ricorso, osserva la Corte che correttamente non sono state concesse al P. le circostanze attenuanti generiche in considerazione dei suoi numerosi precedenti penali specifici (circa cinquanta episodi di furto, oltre ad un fatto di tentata estorsione) e dell’assenza di elementi da valutare in suo favore, circostanze che hanno indotto correttamente i giudici della Corte territoriale a ritenere congruo e conforme ai criteri di cui all’art. 133 c.p. il trattamento sanzionatorio comminatogli.

Pertanto nè rispetto ai capi nè rispetto ai punti della sentenza impugnata, nè rispetto all’intera tessitura motivazionale che nella sua sintesi è coerente e completa, è stata in alcun modo configurata la protestata contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorso deve essere quindi dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *