Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 28-09-2011) 25-10-2011, n. 38768Arresti domiciliari Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Bologna, con ordinanza in data 7.04.2011, autorizzava E.O.A., sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, ad allontanarsi dal luogo di esecuzione della predetta misura, per svolgere attività lavorativa.

Avverso la predetta ordinanza proponeva appello il Procuratore Generale territoriale.

La difesa dell’imputato impugnava avanti al Tribunale del Riesame l’ordinanza in data 13.04.2011, con la quale la Corte di Appello aveva respinto la richiesta volta ad ottenere un ampliamento della fascia oraria nella quale il prevenuto era autorizzato ad allontanarsi dalla abitazione.

Il Tribunale di Bologna, riuniti i richiamati procedimenti, con ordinanza in data 4.05.2001, in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore Generale, revocava l’autorizzazione ad allontanarsi dalle ore 23.00 alle ore 1.00 dalla propria abitazione per svolgere attività lavorativa concessa al prevenuto e dichiarava inammissibile l’appello proposto da E.O.A..

Il Tribunale evidenziava che il richiedente era stato ristretto in carcere dal 30.09.2009 al 14.01.2011 e che da tale ultima data si trovava agli arresti domiciliari, in relazione al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, aggravato ai sensi dell’art. 80, comma 2, per avere importato 87 chilogrammi di hashish. Il Collegio considerava che il G.i.p. del Tribunale di Bologna, con sentenza in data 15.10.20010, resa all’esito di giudizio abbreviato, aveva irrogato al prevenuto la pena di anni cinque mesi sei di reclusione, oltre la multa; che la Corte territoriale, competente a provvedere a seguito della impugnazione della sentenza di primo grado, aveva autorizzato E.O.A. ad allontanarsi dalle ore 23.00 alle ore 01.00, per svolgere la propria attività di trasportatore, mentre aveva rigettato la richiesta avanzata dalla difesa volta ad ottenere una modifica della fascia oraria nella quale era consentito l’allontanamento dalla abitazione.

Il Tribunale dichiarava immediatamente esecutiva l’ordinanza di revoca del permesso di allontanamento; e rilevava che l’accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore Generale rendeva inammissibile, per carenza di interesse, l’appello proposto dalla difesa avverso l’ordinanza della Corte territoriale emessa in data 13.04.2011. 2. Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione E.O.A..

Con il primo motivo la parte deduce la violazione della legge penale.

L’esponente rileva che il Procuratore Generale ha proposto appello avverso l’ordinanza con la quale la Corte di Appello aveva autorizzato il prevenuto ad allontanarsi dal luogo di esecuzione della misura degli arresti domiciliari per svolgere attività lavorativa; e considera che il provvedimento impugnato, con il quale vengono meramente regolate le modalità di esecuzione di una misura cautelare, non incide sulla libertà personale e non risulta perciò nè appellabile nè ricorribile per cassazione.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio motivazionale.

L’esponente rileva che l’imputato ha fin da subito dimostrato seria resipiscenza per quanto accaduto; e che ha offerto fattiva collaborazione agli inquirenti, fornendo i nominativi di soggetti inseriti nel tessuto criminoso, soggetti di poi tratti in arresto. La parte ritiene che il Tribunale abbia errato nel qualificare la predetta collaborazione priva di utilità investigativa.

Sotto altro aspetto, il deducente sottolinea lo stato di incensuratezza del prevenuto e considera la valenza special- preventiva da assegnare al periodo custodiale presofferto da un delinquente primario. Rileva, poi, che la valutazione effettuata dal giudice che aveva autorizzato l’allontanamento era conforme alla giurisprudenza di legittimità, in base alla quale occorre considerare le esigenze di vita dell’imputato sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, richiamate dalla disposizione di cui all’art. 284 c.p.p., comma 3, ai fini dell’autorizzazione all’esercizio di attività lavorativa, in relazione alle condizioni reddituali e patrimoniali del soggetto.

Il ricorrente osserva che E.O.A. si è sempre dimostrato rispettoso delle prescrizioni inerenti la misura cautelare, a riprova di una seria e maturata resipiscenza; e lamenta che il Tribunale abbia omesso di ponderare i richiamati elementi fattuali favorevoli al prevenuto.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce il l’illogicità della motivazione, per travisamento dei fatti in ordine alla carenza di allegazioni. L’esponente rileva di avere prodotto, unitamente alla istanza per l’allontanamento dal domicilio per svolgere attività lavorativa, documentazione relativa allo stato di famiglia dell’interessato ed alle proprie condizioni economiche insufficienti per il sostentamento. Osserva, infine, che non occorreva produrre la predetta documentazione unitamente all’istanza volta ad ottenere l’estensione dell’orario lavorativo.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito esposte.

3.1 Il primo motivo di censura è destituito di fondamento.

Non sfugge che, secondo un risalente orientamento giurisprudenziale, il provvedimento di diniego (o di concessione) all’indagato, che si trovi agli arresti domiciliari, dell’autorizzazione ad assentarsi per lo svolgimento di attività lavorativa, sarebbe inoppugnabile e neppure ricorribile in cassazione ex art. 111 Cost., in quanto non direttamente incidente sulla libertà personale. Si osserva, peraltro, che la Suprema Corte ha pure chiarito che l’autorizzazione ad assentarsi dal luogo ove si scontano gli arresti domiciliari, prevista dall’art. 284 c.p.p., comma 3, risolvendosi in una modalità di carattere permanente che incide in misura apprezzabile sul regime cautelare, deve qualificarsi come "ordinanza in materia di misure cautelari"; e che conseguentemente, avverso detto provvedimento è ammesso l’appello e quindi il ricorso in cassazione, ai sensi degli artt. 301 e 311 c.p.p.. (cfr. Cass. Sezione 6, sentenza n. 4418 del 18.11.1994, dep. 25.01.2995, Rv. 200858).

Giova, poi, evidenziare che la Corte regolatrice ha recentemente affermato che la concessione della autorizzazione a svolgere attività lavorativa, ex art. 284 c.p.p., comma 3, "è un beneficio che non si configura come un diritto dell’imputato … per cui non possono ritenersi consentite attività lavorative che, per loro natura, sono destinate a snaturare la qualità dell’istituto degli arresti domiciliari, incidendo in modo apprezzabile sul regime cautelare" (Cass. Sezione 1 sentenza n. 103 del 1 dicembre 2006, dep. 8.01.2007, Rv. 235341).

Il Collegio aderisce all’orientamento ora richiamato, rispondente ad una lettura delle disposizioni del codice di rito costituzionalmente orientata, conducente a ritenere esperibili avverso i provvedimenti comunque incidenti sulla libertà personale, i mezzi impugnatori previsti in materia di misure cautelari personali, nel libro 4^, del codice di procedura penale.

Deve pertanto escludersi la sussistenza della dedotta violazione di legge, in relazione all’art. 310 c.p.p..

3.2 Il secondo motivo di ricorso, con il quale la parte deduce il vizio motivazionale del provvedimento impugnato, è destituito di fondamento.

Il Tribunale di Bologna ha osservato che l’imputato, sebbene provvisto di una regolare occupazione, aveva scelto di dedicarsi al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, non temendo di poter perdere il proprio lavoro, probabilmente in ragione delle entità dei guadagni derivanti dalla attività criminosa di che trattasi. Al riguardo, il Tribunale ha puntualmente richiamato il contenuto delle conversazioni intercettate, indicativo della natura professionale dell’attività illecita. Sulla scorta di tali rilievi, il Collegio ha quindi ritenuto che il fatto per cui è processo fosse espressione di un preciso stile di vita; ed ha rilevato l’assenza di elementi indicativi di alcuna forma di resipiscenza, da parte del prevenuto, intesa come affrancamento dai vincoli delinquenziali intercorrenti con soggetti dediti professionalmente al narcotraffico.

Il Tribunale del Riesame ha evidenziato – secondo un percorso logico argomentativo immune da censure rilevabili in questa sede di legittimità – che i predetti elementi erano indicativi della sussistenza di un significativo rischio di attività recidivante specifica, pure a fronte del formale stato di incensuratezza dell’imputato. Il Tribunale ha osservato, sul punto, che neppure poteva valorizzarsi favorevolmente il comportamento processuale tenuto dal prevenuto, il quale si era sostanzialmente limitato ad ammettere circostanze di fatto già note agli inquirenti. Sulla scorta di tali rilievi il Tribunale di Bologna ha ritenuto che l’autorizzazione ad allontanarsi in orario notturno, ad una distanza di 18 chilometri dalla abitazione, risultasse in concreto pregiudizievole per le esigenze di tutela della collettività. 3.3 Del pari infondato risulta il terzo motivo di ricorso.

Null’altro che rilevare, al riguardo, che il Collegio, in chiusura del percorso argomentativo sopra richiamato, ha pure rilevato che la Corte territoriale, nel concedere la predetta autorizzazione all’allontanamento, non aveva valutato se sussistesse la condizione di assoluta indigenza del richiedente, secondo quanto previsto dall’art. 284 c.p.p., comma 3, condizione che neppure risultava addotta dal richiedente.

4, Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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