Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 28-09-2011) 25-10-2011, n. 38766

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 16 dicembre 2009 la Corte di Appello di Catania rigettava la richiesta di riparazione proposta da D.B. F., il quale era stato sottoposto alla misura di sicurezza del ricovero in una casa di cura custodia dal 26.6.2007 al 12.02.2009, in relazione al delitto di rapina aggravata, in fattispecie tentata, in danno di L.D.G., zio del richiedente.

2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Catania ha proposto ricorso per Cassazione D.B.F., a mezzo del difensore. La parte rileva che già nella richiesta di applicazione provvisoria della misura di sicurezza risultava evidenziato che L. D. non aveva inteso sottoscrivere il verbale di denuncia, manifestando così la volontà di non voler perseguire penalmente il nipote; e ritiene che la Corte di Appello abbia errato nel ritenere che la volontà della vittima di non perseguire il D.B. fosse emersa solo in sede dibattimentale. Il ricorrente considera inoltre che la Corte territoriale ha omesso di rilevare che il giudice del merito, nel disporre la revoca della misura di sicurezza contestualmente alla assoluzione dell’imputato, aveva espressamente considerato che, sulla base della espletata perizia psichiatrica, l’imputato non risultava soggetto socialmente pericoloso; e che la richiamata formula assolutoria rifletteva l’esito della istruttoria dibattimentale, nel corso della quale la parte offesa era risultata scarsamente attendibile.

L’esponente si sofferma sul contenuto della sentenza assolutoria, osservando che il giudicante ritiene non provato che D.B. impugnasse un coltello, nel momento in cui si era recato presso l’abitazione dello zio, chiedendo del denaro. Il ricorrente rileva che il passaggio della motivazione della sentenza assolutoria richiamato dalla Corte di Appello sta in realtà a significare l’insanabile contrasto emerso tra le dichiarazioni rese dalla persona offesa nel corso delle indagini preliminari ed in sede dibattimentale. Il deducente sottolinea che D.B. protestò la propria innocenza sin dall’interrogatorio di garanzia, di talchè nessun comportamento caratterizzato da dolo o colpa grave risulta ascrivibile alla parte richiedente.

Tanto premesso, l’esponente deduce il vizio motivazionale dell’ordinanza impugnata, giacchè la Corte di Appello avrebbe rigettato la richiesta di equa riparazione senza evidenziare alcun comportamento posto in essere dal richiedente, caratterizzato da dolo o colpa grave.

Infine il ricorrente considera che non grava sulla parte richiedente l’onere di dimostrare di non avere dato causa alla custodia cautelare.

3. Il Procuratore Generale, rilevato che il ricorso risulta affidato a motivi del tutto generici, ha chiesto che la Suprema Corte dichiari inammissibile il ricorso che occupa.

4. Parte ricorrente ha depositato memorie in data 16.11.2010 e 13.09.2011.

Motivi della decisione

5. Il ricorso è manifestamente infondato e perciò inammissibile.

5.1 Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263).

Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione dei provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

5.2 Orbene, nel caso di specie, il percorso argomentativo sviluppato dalla Corte di Appello, posto a fondamento della decisione di rigetto dell’istanza di riparazione, si colloca nell’alveo del richiamato indirizzo giurisprudenziale.

Invero, la Corte territoriale, dopo avere evidenziato che l’esponente era stato assolto dal reato ascrittogli, con sentenza dei Tribunale di Catania del 12.02.2009, divenuta irrevocabile il 16.04.2009, per insussistenza del fatto, ha sottolineato che, in sede dibattimentale, la parte offesa aveva manifestato la volontà di non perseguire penalmente il nipote.

Il Giudice della riparazione ha in particolare considerato che l’applicazione della misura di sicurezza era stata determinata dai gravi indizi di colpevolezza emergenti a carico del D.B., il quale aveva minacciato lo zio con l’uso di un coltello, al fine di farsi consegnare del denaro; e che la successiva assoluzione era dipesa dal difetto di prova in ordine all’intenzione dell’imputato di consumare una rapina ai danni del proprio parente.

Come si vede, la Corte di Appello di Catania ha fatto espresso riferimento, nel ritenere sussistenti le condizioni ostative all’accoglimento della richiesta di equa riparazione, al fatto che l’applicazione della misura di sicurezza era dipesa dalla condotta minacciosa posta in essere ripetutamente dal D.B., in danno dello zio; trattasi di evenienza che trova puntuale riscontro nell’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Catania del 15.06.2001, applicativa nei confronti del richiedente della misura di sicurezza del ricovero in una casa di cura e custodia.

6. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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