Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 28-09-2011) 25-10-2011, n. 38734

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Napoli condannava M.A. ed i suoi genitori M.S. ed O.A. alla pena ritenuta di giustizia per il reato continuato di cui all’art. 81 cpv. c.p. e art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (detenzione illecita, anche in tempi diversi, di sostanze stupefacenti del tipo cocaina ed hashish, e plurime cessioni di dette sostanze).

A seguito di gravame ritualmente proposto, la Corte d’Appello di Napoli confermava l’affermazione di colpevolezza nei confronti di M.A. diminuendo la pena allo stesso inflitta in primo grado, e, previa qualificazione del fatto contestato a M. S. ed O.A. come reato di favoreggiamento personale in favore del figlio M.A. ex art. 378 c.p., pronunciava nei loro confronti declaratoria di non punibilità ai sensi dell’art. 384 c.p.. La Corte distrettuale, per quel che riguarda la ritenuta colpevolezza del M.A., evocava in particolare le plurime dichiarazioni confessorie dello stesso, e quanto alla posizione degli altri due imputati, motivava la propria decisione sottolineando che: a) in occasione dell’operazione di polizia giudiziaria culminata, nell’arresto dei tre imputati, M. S. ed O.A. si erano limitati ad affacciarsi al balcone della loro abitazione, "senza porre in essere alcuna ulteriore attività dalla quale poter desumere, con tranquillante certezza, che gli stessi fondatamente contribuissero allo spaccio di droga esercitato dal figlio" (così testualmente a pag. 3 della sentenza); b) non poteva attribuirsi valenza probatoria di accusa al possesso della chiave di ingresso del cancello della comune dimora, nè alla detenzione di una cicalina, "posto che il richiamo della stessa si trovava nella camera occupata, al quarto piano, da M.S., mentre M.A. è stato monitorato dai verbalizzanti al piano terra" (pag. 4 della sentenza); c) neppure rilevavano le modalità di custodia del denaro (accartocciato in un astuccio di peluche) sequestrato nel corso della perquisizione domiciliare.

Con tempestivi atti di impugnazione, ricorrono per Cassazione M.A. ed il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Napoli deducendo, rispettivamente, doglianze che possono così riassumersi: M.A. – Vizio di motivazione in ordine alla ritenuta colpevolezza sull’asserito rilievo che la Corte distrettuale, a fronte delle deduzioni difensive, non avrebbe indicato gli elementi a sostegno del proprio convincimento e sarebbe venuta meno all’obbligo di verificare di ufficio se sussistevano cause di non punibilità ai sensi dell’art. 129 c.p.p.; Procuratore Generale – Violazione di legge quanto alla qualificazione del fatto addebitato a M.S. ed O.A.: il ricorrente – richiamando anche taluni precedenti della giurisprudenza di legittimità in tema di configurabilità del reato di favoreggiamento in relazione al reato di detenzione illecita di stupefacenti – censura la decisione della Corte di merito al riguardo, laddove è stato attribuito rilievo insignificante a circostanze oggettive che sarebbero invece rivelatrici del pieno coinvolgimento dei due nell’illecita attività, come, ad esempio, il continuo affacciarsi al balcone, prima dell’irruzione dei Carabinieri, che, ad avviso del PG ricorrente, non aveva altro fine se non quello di offrire un contribuito al figlio nella custodia della droga, nel tentativo di sottrarre la sostanza al sequestro.

Motivi della decisione

Quanto al ricorso proposto nell’interesse di M.A., il ricorrente lamenta, con formulazioni generiche ed assertive, l’omessa verifica da parte della Corte distrettuale della sussistenza di eventuali cause di non punibilità, da dichiarare di ufficio ai sensi dell’art. 129 c.p.p., e violazione dell’obbligo motivazionale. Il ricorso è all’evidenza inammissibile in quanto caratterizzato da formulazioni meramente enunciative. E’ solo il caso di osservare per mera completezza argomentativa quanto segue: 1) quanto alla asserita mancata verifica ex art. 129 c.p.p. della sussistenza di eventuali cause di non punibilità, il ricorrente non ha indicato alcun concreto elemento idoneo a rendere legittima una aspettativa di declaratoria di improcedibilità ed a suffragare conseguentemente una eventuale denuncia di violazione dell’art. 129 c.p.p., che, se ritenuta fondata da questa Corte, avrebbe comportato l’annullamento dell’impugnata sentenza; 2) con l’appello non era stata neanche contestata l’affermazione di colpevolezza – peraltro ancorata alle confessioni rese dal M.A., come sottolineato dalla Corte territoriale – ma erano state dedotte censure relative esclusivamente al trattamento sanzionatorio. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè – trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) – al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00 (mille).

E’ viceversa fondato il ricorso del Procuratore Generale per quanto di ragione. Ed invero, per quel che riguarda la posizione di M.S. e O.A., la decisione impugnata così si è espressa: appare "più conforme a giustizia… la derubricazione dell’originaria imputazione in quella di cui all’art. 378 c.p., penalmente irrilevante ex art. 384 c.p., poichè la condotta posta in essere dai predetti si è risolta unicamente nell’aiuto prestato al figlio per scongiurarne l’arresto". Dunque, in punto di qualificazione del fatto ascritto al M.S. ed alla O., secondo la Corte di merito esso non andrebbe ricondotto all’imputazione di cui all’art. 110 c.p. in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 ma a quella di cui all’art. 378 c.p., essendosi la loro condotta risolta "unicamente nell’aiuto prestato al figlio per scongiurarne l’arresto".

Orbene, gli elementi fattuali presi in esame dalla Corte distrettuale non sono stati adeguatamente ed approfonditamente vagliati, anche nella loro complessità, in relazione all’addebito mosso agli imputati, specie in considerazione di quelli che sono i principi enunciati da questa Corte, con specifico riferimento al reato di detenzione illecita di stupefacenti, quanto all’individuazione del confine tra il concorso di persone nel reato ed il favoreggiamento.

Nella giurisprudenza di legittimità è stato affermato che il reato di favoreggiamento non è configurabile, con riferimento al delitto di illecita detenzione di sostanza stupefacente, in costanza di detta detenzione, atteso che nei reati permanenti qualunque agevolazione del colpevole, prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve inevitabilmente in un concorso, quanto meno a carattere morale: in tal senso, tra le tante, Sez. 4, n. 12915 in data 8/03/2006 Ud. – dep. 12/04/2006 – Rv. 233724; ed è stato altresì precisato che "in tema d’illecita detenzione di stupefacenti, l’aiuto prestato nel corso dell’azione criminosa rientra nella fattispecie del concorso di persone nel reato – e non nel favoreggiamento personale – quando vi sia la consapevolezza di contribuire anche in minima parte alla realizzazione di una condotta più articolata.

(Fattispecie, nella quale la Corte ha ravvisato il concorso di persone nella condotta dell’imputato che era stato sorpreso dagli operanti a sorvegliare dall’esterno l’appartamento ove i complici erano intenti a confezionare dosi droganti) (in termini, "ex plurimis", Sez. 6, n. 22394 del 04/02/2008 Ud. – dep. 04/06/2008 – Rv. 241119). Nella concreta fattispecie, come detto, gli elementi oggettivi sono stati valutati dalla Corte distrettuale in modo frammentario e non unitariamente nel loro complesso: è stato infatti specificamente valorizzato – per ritenere individuabile nella condotta dei due imputati solo un aiuto per scongiurare l’arresto del figlio – solo il momento in cui gli stessi si affacciarono al balcone all’arrivo dei Carabinieri, mentre le altre circostanze fattuali, ed in particolare la detenzione di una cicalina con funzione di richiamo e le modalità di custodia del denaro (accartocciato in un peluche), sono state ritenute irrilevanti sul piano probatorio, ai fini della ravvisabilità di un concorso nel reato, con enunciazione assertiva senza l’indicazione di ragioni idonee a dar compiutamente conto di tale ravvisata irrilevanza probatoria; in particolare: 1) quanto al denaro, non è stato nemmeno precisato nella sentenza in quale ambiente della casa degli imputati lo stesso fu rinvenuto dai verbalizzanti; 2) quanto alla cicalina, nella sentenza si paria di "detenzione" della stessa senza alcuna indicazione circa le modalità di detta detenzione, precisandosi peraltro che il suo richiamo si trovava nella camera occupata dal M.S. "mentre M.A. è stato monitorato dai verbalizzanti al piano terra…."; 3) a ciò dovendo aggiungersi le modalità, anche logistiche, con le quali veniva esercitato lo spaccio: per come precisato dalla stessa Corte d’Appello, infatti, per lo svolgimento della illecita attività era stato installato un cancello abusivo chiuso a chiave e munito di una feritoia attraverso la quale avveniva la compravendita della droga.

In buona sostanza, la Corte distrettuale non ha compiutamente illustrato, nei dettagli, le circostanze fattuali pur esaminate, e, conseguentemente, non ha congruamente spiegato perchè le condotte del M.S. e della O. non si siano in alcun modo tradotte – per nessuno dei due – in un sostegno o incoraggiamento del figlio nella condotta criminosa, ma si siano concretizzate, per entrambi, soltanto in una facilitazione all’attività illecita dal figlio stesso svolta.

L’impugnata sentenza deve essere pertanto annullata limitatamente alle posizioni di M.S. e O.A., con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di O.A. e M.S., con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli; dichiara inammissibile il ricorso di M. A. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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