Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-04-2012, n. 5851 Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 111/45/09 depositata il 27.7.09 la CTR della Lombardia, confermando la decisione della CTP di Milano, ha accolto il ricorso proposto dalla Respeco S.p.A. avverso il rigetto dell’istanza di rimborso dell’IVA, relativa all’anno 2003, avanzata a ragione dell’intervenuta cessazione dell’attività, alla fine di detto anno. I giudici d’appello hanno ritenuto dimostrato tale presupposto, in considerazione del mancato compimento di operazioni imponibili in epoca successiva al 31.12.2003 e dell’irrilevanza della presentazione del bilancio finale e della cancellazione dal registro delle imprese in epoca successiva, adempimenti che inerivano alla chiusura della liquidazione e non al presupposto dell’istanza di rimborso, identificato nella cessazione, di fatto, dell’attività.

Per la cassazione della sentenza, ricorre l’Agenzia delle Entrate, sulla scorta di due motivi. La contribuente resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Motivi della decisione

Col primo motivo, deducendo violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, in combinato disposto con l’art. 2945 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente afferma che nel ritenere l’attività cessata entro la fine del 2003, la CTR non ha considerato che: 1) il bilancio di liquidazione era stato redatto nel settembre 2005; 2) la cessazione dell’attività e la cancellazione dal registro delle imprese erano state, rispettivamente, comunicata e disposta nell’ottobre del 2005; 3) in pari periodo erano stati presentati modelli di versamento F 23 ed F 24, ed era stato versato un Mod. F23 recante l’imposta di registro sulla seconda annualità di un canone di affitto in conseguenza del rinnovo di alcuni contratti di locazione d’immobili, stipulato nel 2001; 4) in relazione al periodo d’imposta del 2004 la contribuente aveva presentato la dichiarazione dei redditi ed il modello di dichiarazione IVA. I giudici d’appello, prosegue la ricorrente, hanno errato nel ritenere che il presupposto legittimante il credito al rimborso dell’IVA fosse costituito dalla cessazione di fatto dell’attività, dovendo, invece, aversi riguardo, secondo la giurisprudenza della Corte di legittimità (Cass. n. 10227 del 2003) all’ultimazione delle operazioni di liquidazione della Società, ed, anzi, alla data della cancellazione dal registro delle imprese, epoca in cui, a norma dell’art. 2945 c.c., la Società può ritenersi cessata. Col secondo motivo, la ricorrente deduce vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, osservando che l’impugnata sentenza aveva liquidato in modo sbrigativo gli elementi di fatto evidenziati dall’Ufficio – quali sopra riassunti nei punti essenziali -, la cui esatta valutazione avrebbe, invece, condotto a risultato diverso.

Va, anzitutto, esaminata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente in ragione dell’asserita inosservanza del disposto di cui dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

L’eccezione va rigettata: a parte il fatto che il ricorso è formalmente ossequioso al disposto di cui al citato art. 360 c.p.c., bis, n. 1, indicando, in concreto, la giurisprudenza che assume non rispettata da parte del giudice del merito, le SU di questa Corte, con sentenza n. 19051 del 2010 hanno precisato che lo scrutinio ai sensi del menzionata norma deve condurre al rigetto del ricorso per manifesta infondatezza e non ad una declaratoria d’inammissibilità, nell’ipotesi in cui in esso non vengano prospettati argomenti per modificare la giurisprudenza di legittimità cui la sentenza impugnata si presenti conforme, e ciò in quanto "anche in mancanza, nel ricorso, di argomenti idonei a superare la ragione di diritto cui si è attenuto il giudice del merito, il ricorso potrebbe trovare accoglimento ove, al momento della decisione della Corte, con riguardo alla quale deve essere verificata la corrispondenza tra la decisione impugnata e la giurisprudenza di legittimità, la prima risultasse non più conforme alla seconda nel frattempo mutata".

Il primo motivo è infondato. La CTR ha ritenuto sussistente il diritto al rimborso dell’IVA, connesso alla cessazione dell’attività, affermando che, in epoca successiva alla data del 31.12.2003, indicata dalla contribuente, era "dimostrata la carenza di ulteriori operazioni soggette ad IVA", ha ritenuto irrilevanti a tal fine le operazioni inerenti alla presentazione delle attività di liquidazione e di cancellazione dal registro delle imprese, avvenute in epoca successiva, affermando che la domanda era fondata, ricorrendo il presupposto della "cessazione di fatto dell’attività".

Tale conclusione va confermata. A norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, l’operatore economico ha diritto al rimborso dell’IVA versata in eccesso rispetto a quella da lui dovuta, nelle ipotesi previste nella predetta norma, e "comunque in caso di cessazione dell’attività", caso che deve ritenersi integrato, in relazione al dato sostanziale rappresentato dalla cessazione effettiva dell’attività economica, che segna il momento in cui si conclude la correlazione tra le operazioni imponibili e l’attività d’impresa, che, a sua volta, costituisce il presupposto indefettibile per l’applicazione dell’imposta. Militano in tal senso sia il dato testuale che riferisce la "cessazione" "all’attività" Ad est al compimento delle operazioni imponibili, di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 1 – e non al soggetto che le pone in essere, sia i principi costituzionali della capacità contributiva e della correttezza dell’azione amministrativa, di cui all’art. 53 Cost., comma 1, e art. 97 Cost., comma 1, che escludono che la soggettività d’imposta possa ritenersi perdurante senza compimento di operazioni imponibili dovuta a chiusura dell’attività, sia i principi propri del sistema tributario relativi alla neutralità fiscale tipica del sistema dell’IVA. Non può, dunque, esser data continuità al principio invocato dalla ricorrente ed affermato nella sentenza di questa sezione (n. 10227 del 2003, ma, in parte, successivamente smentito, cfr. Cass. n. 4234 del 2004, n. 2601 del 2004, in motivazione), secondo cui il sorgere del diritto del contribuente al rimborso dell’eventuale eccedenza IVA, in caso di cessazione dell’attività, si verifica non già con la decisione, peraltro revocabile, di cessare l’attività, ma, solo, con la "ultimazione delle operazioni relative alla liquidazione dell’azienda", e ciò in forza dell’art. 35, comma 4, del decreto IVA che, per dette operazioni, ha mantenuto "ferme le disposizioni relative al versamento dell’imposta, alla fatturazione, registrazione, liquidazione e dichiarazione". Va osservato, in contrario, che la portata precettiva dell’art. 35 in esame, nella parte qui in rilievo, si limita a fissare l’inizio del termine per la presentazione della dichiarazione della cessazione delle attività, – trenta giorni dalla ultimazione della liquidazione dell’azienda – lasciando inalterati gli obblighi tributari derivanti dalle operazioni poste in essere in fase liquidatoria: non vi è alcuna indicazione in ordine al modo per far constare il momento in cui si realizza la "cessazione dell’attività", al cui effettivo verificarsi, e non alla mera relativa decisione, è, appunto, connesso, a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, il sorgere del credito per il rimborso. Del resto, la stessa dichiarazione di cessazione dell’attività, che, nella sequenza prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 35, è successiva al compimento delle operazioni di liquidazione, ha finalità, per così dire, di anagrafe tributaria e non ha valore costitutivo del credito per le restituzioni, (in tal senso, Cass. n. 4234 del 2004 cit., ed in generale, Cass. n. 13920 del 2011), principio che trova conferma nell’interpretazione dell’art. 22, n. 1 della sesta direttiva – cui l’art. 35 del decreto IVA può senz’altro correlarsi – data dalla Corte di Giustizia (sent, 22 dicembre 2010 C-438/09, punto 34, e giurisprudenza ivi richiamata), secondo cui l’obbligo per i soggetti passivi di dichiarare l’inizio, la variazione e la cessazione delle loro attività "non autorizza affatto gli Stati membri, in mancanza di tale dichiarazione, a posticipare l’esercizio del diritto alla detrazione sino all’inizio effettivo dello svolgimento abituale delle operazioni imponibili oppure a precludere al soggetto passivo l’esercizio di tale diritto" restando, così, confermato che il meccanismo dell’IVA si riconnette alla sussistenza dei presupposti materiali, e non di elementi formali. Peraltro, opinando con la ricorrente si verrebbe a creare, beninteso a parità di condizioni fattuali (cessazione di operazioni imponibili), un’ingiustificata disparità di trattamento, in riferimento all’esigibilità del credito, tra soggetti per i quali non è obbligatoriamente prevista alcuna fase liquidatoria (operatori individuali, società di persone) e soggetti per i quali tale fase è, invece, prevista (società di capitali), e si dovrebbe, inoltre, ipotizzare una sorta di ultrattività del soggetto, ormai estinto, limitata all’esazione del credito stesso, quando, invece, l’art. 30 del decreto IVA prevede "comunque" il diritto del contribuente al rimborso dell’eccedenza d’imposta, in caso di cessazione della attività, senza sottoporlo a condizionamenti di sorta.

La ricostruzione del dato fattuale relativo alla ritenuta insussistenza di operazioni fiscalmente rilevanti, in epoca successiva al 31.12.2003, è, in conseguenza, esente dalla censura motivazionale che le è stata rivolta col secondo motivo, tenuto conto che gli elementi asseritamente non valutati dalla CTR, e sopra riassunti, non si riferiscono al compimento di operazioni soggette ad imposta, che avrebbero avuto rilievo ai fini dell’accertamento dell’effettività della dichiarata cessazione, ma, riguardando profili diversi, sono, dunque, privi del carattere della decisività.

Il ricorso va, in definitiva, respinto. La Corte ritiene sussistere giusti motivi, in considerazione della rilevata oscillazione giurisprudenziale, per compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2012

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