Cons. Stato Sez. III, Sent., 24-11-2012, n. 5951

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. I ricorrenti chiedono la revocazione, ex artt. 106 c.p.c. e 395 co.1 n.4 c.p.c., della sentenza di questa Sezione n.1266/2012 con la quale era stato respinto il ricorso in appello dagli stessi proposto avverso la sentenza del Tar del Lazio n.5856/2011 concernente l’annullamento del D.P.R. del 13 agosto 2010, di scioglimento del Consiglio Comunale di Nicotera (Vibo Valentia) per la durata di diciotto mesi.

2. I ricorrenti distinguono il ricorso in revocazione in due parti, la prima delle quali di natura rescindente, diretta ad evidenziare gli errori di fatto nei quali il giudice di appello sarebbe incorso, quali risultanti dagli atti e dai documenti di causa, la seconda di natura rescissoria, diretta a ripresentare le censure già dedotte nell’atto di appello avverso la sentenza del Tar del Lazio, affermando che i provvedimenti già gravati in primo grado sarebbero illegittimi in relazione a quanto disposto dall’art. 143 del D.Lgs. n. 267 del 2000 non evidenziando motivi chiari e concordanti per giustificare lo scioglimento del consiglio comunale incidendo così sulla volontà espressa dal corpo elettorale locale e vulnerando in maniera significativa le libertà democratiche costituzionalmente garantite.

3. Seguendo l’ordine degli asseriti errori revocatori seguito nel ricorso, i ricorrenti si dolgono al punto sub a) che la sentenza revocanda abbia affermato che: "con riguardo alla segnalazione dei ricorrenti, concernente la destinazione di appositi capitoli di bilancio alla gestione di due beni confiscati alla mafia e destinati ad uso sociale, il Tar ha rilevato come i riscontri contabili effettuati dal Ministero, alla data del 1.10.2010, (sul capitolo 001830, art. 2 e 3 di importo pari a 3.000,00 Euro) hanno messo in luce che gli esigui fondi stanziati non sono stati mai utilizzati".

Di contro, i ricorrenti evidenziano che la sentenza non avrebbe considerato i fondi stanziati per l’anno 2009, considerando solo quelli per il 2010, né avrebbe considerato altri capitoli di bilancio utilizzati per un totale di Euro 7.740,78. Peraltro le somme stanziate dalla amministrazione comunale non erano esigue in rapporto all’entità del bilancio dell’ente e il giudice di appello avrebbe dovuto anche considerare che nel periodo considerato il Comune di Nicotera aveva ottenuto dalla Regione Calabria un finanziamento di Euro 646.000,00, da utilizzare per lo svolgimento di numerose attività sociali all’interno del bene confiscato sito in località Timpa. Inoltre la sentenza del Tar avrebbe anche ignorato che il Sindaco R. aveva organizzato 12 iniziative antimafia e di promozione della cultura della legalità, rese possibili dalla attività gratuita volontariamente prestata da giovani del servizio civile e dagli amministratori che si sarebbero anche autotassati per coprire le spese di organizzazione.

Al punto sub b) i ricorrenti ritengono erronea la affermazione della sentenza in ordine alla mancata attuazione dei due più significativi progetti avviati nel sopradetto immobile in località Timpa sequestrato alla mafia e cioè la caserma della Guardia di Finanza e il centro di aggregazione sociale. Per la istituzione della caserma l’amministrazione aveva adottato una specifica delibera di Giunta Comunale n.96 del 30 luglio 2009 e nella successiva nota n.6944 del 13 luglio 2009 aveva dimostrato di volere dare priorità a tale iniziativa. Per il centro di aggregazione sociale, c.d. "cantiere della democrazia", l’amministrazione aveva chiesto un apposito finanziamento che però non era stato approvato dalla commissione regionale.

Al punto sub c) si critica la affermazione della sentenza che il ricorso di appello "..nulla dice sulla circostanza, messa in rilievo dalla sentenza appellata, che l’immobile destinato al Centro di Cinematografia sia stato ristrutturato con fondi del PON Sicurezza a seguito di progetto la cui presentazione non è ascrivibile all’organo disciolto, mentre gli unici mandati di pagamento effettuati sul relativo capitolo di bilancio risultano in favore del Direttore generale".

A contrario, si sostiene che l’amministrazione comunale aveva completato i lavori di ristrutturazione e, mediante l’utilizzo di fondi comunali, aveva effettuato una serie di lavori e assunto iniziative per il funzionamento del Centro.

Al punto sub d) del ricorso in revocazione si critica il seguente passaggio della sentenza: "Certamente desta sospetti la sola circostanza che ben due liste avversarie, proprio l’ultimo giorno utile per la presentazione, si siano ritirate dalla competizione; … Si ribadisce, infatti, che qualunque siano le circostanze concomitanti che hanno eliminato la competizione politica nelle elezioni di questo Comune, si profila consistente il sospetto che la "difficoltà" riscontrata dalle liste potenzialmente avversarie non fosse casuale, ma in qualche modo collegata alla forte "influenza" che la lista capeggiata dal sindaco R. era in grado di esercitare sui candidati delle altre liste, non ultimo a causa dei rapporti di parentela intercorrenti tra i potenziali candidati concorrenti e gli appartenenti alla lista risultata poi eletta. Un vincolo familiare così forte, anche se tipico dell’ambiente di un piccolo paese e tipico della cultura calabrese, desta comunque inquietanti sospetti di possibili pressioni esercitate sui potenziali aspiranti, rinunciatari, candidati delle altre liste (emblematico, tra tutti, il caso della defezione del Sig. F.I., nipote del sig. U.S., che si è determinato a non candidarsi nelle file della compagine del Dott. R., in quanto la famiglia avrebbe scelto di appoggiare U.S.; per lo stesso motivo, l’altro nipote Sig. S.M., potenziale candidato nel raggruppamento di M., decide di rinunciare a poche ore dalla scadenza del termine per il deposito delle liste). "

Nel ricorso in revocazione si sostiene che la esistenza dei presupposti di fatto di tali affermazioni era stata nettamente smentita dai diretti interessati che, nelle dichiarazioni rilasciate alla commissione d’accesso e riportate nella redazione redatta da tale organo ispettivo, avevano messo in risalto esclusivamente le difficoltà meramente interne alle liste rimaste fuori dalla competizione, lasciando trasparire l’assoluta mancanza di condizionamenti provenienti dall’esterno.

Al punto sub e) si afferma l’erroneità della sentenza là dove la stessa aveva indicato le ditte della famiglia S. come beneficiarie di affidamenti diretti da parte della amministrazione.

Al punto sub f) si contesta la affermazione che 36 su un totale di 89 sottoscrittori della lista "Nicotera Democratica" avrebbero avuto precedenti penali, parentali e frequentazioni con il clan Mancuso.

Al punto sub g) i ricorrenti sottolineano che per la sentenza oggetto di revocazione: "Tra l’altro, molti dei sottoscrittori sono soci della "Porto Nicotera" s.r.l.; alcuni risultano poi intrattenere rapporti economici e professionali col Sindaco, uno di questi è stato assunto a tempo indeterminato nell’area vigilanza".

Si rileva che il Sindaco R., essendo dipendente bancario, non poteva avere, in relazione a tale status lavorativo, rapporti economici o professionali con alcuno dei sottoscrittori della sua lista ed inoltre, nel periodo considerato, nessuna assunzione nell’area di vigilanza sarebbe mai stata disposta.

Al punto sub h) si contesta la affermazione della sentenza che alcuni sottoscrittori della lista avevano avuto un qualche affidamento di servizi.

Al punto sub i) si assume come erronea la affermazione della sentenza secondo cui la Commissione di accesso:

-ha denunziato le parentele e le frequentazioni intrattenute dai componenti del consiglio comunale e della giunta con gli esponenti della criminalità organizzata; ha indicato che il consigliere comunale con delega allo sport sarebbe detenuto dal 29 settembre 2009 in regime di arresti domiciliari. Secondo i ricorrenti tuttavia nella relazione non si fa alcun riferimento a frequentazioni che i consiglieri avrebbero intrattenuto con esponenti della criminalità essendo stato menzionato solo con riguardo ad un consigliere, qualche episodio occasionale, peraltro risalente nel tempo. Quanto al sopradetto ordine di arresti domiciliari, questo era stato prontamente annullato in data 18 giugno 2009 dal competente Tribunale del Riesame.

Al punto sub j) si stigmatizza che la sentenza avrebbe dato grande importanza al fatto che immediatamente dopo la elezione sarebbe stato "conferito mandato al dottor C.M. per la realizzazione del porto turistico in prossimità dei terreni del figlio di R.R. a nord della città come dichiara lo stesso M. il 21.2.2010 alla Commissione" .

Tuttavia le dichiarazione del suddetto professionista sarebbero di tenore diverso da quello ritenuto in sentenza avendo egli riferito che gli erano state rappresentate due differenti iniziative, una delle quali prevedeva il porto in zona nord, località Preicciola, l’altra nella zona sud, località San Giovanni con la consegna di due studi preliminari a nord e a sud.

Al punto sub k) si riporta il passo della sentenza in cui si afferma "l’esistenza di diverse ipotesi progettuali risalenti negli anni non inficia il fatto certo della localizzazione a sud inserita nel piano regolatore comunale; e pare difficile escludere che la modifica del sito, sollecitata con tanto tempismo dal Sindaco, non sia stata condizionata dalla circostanza della vicinanza dei terreni di proprietà del nipote, A.R., "figlio di un boss noto della malavita calabrese, affiliato ad uno dei clan più potenti della zona", ancorchè siti ad un chilometro di distanza. A rendere credibile l’ipotizzato scopo di voler favorire gli interessi economici di quest’ultimo, anche la vicinanza del lido Marameo, anch’essa non smentita dagli appellanti".

Sennonché, per i ricorrenti, la localizzazione del porto non sarebbe stata mai modificata in quanto l’amministrazione non aveva mai adottato un provvedimento in tale senso, come attestato da un certificato rilasciato dal Segretario Comunale che pure allegato agli atti non è mai stato esaminato nei due gradi di giudizio.

Al punto sub l) si criticano le conclusioni della sentenza là dove precisa che "..non rileva che singoli procedimenti di affidamento possono risultare legittimi a fronte di un sistema che appare complessivamente finalizzato a soddisfare interessi diversi da quelli generali".

Tale notazione di chiusura sarebbe frutto di un errore di lettura dei fatti riportati nella relazione della commissione d’accesso la quale invece aveva dedicato a tale argomento una parte corposa del suo lavoro, senza esprimere alcun giudizio.

Si sono costituiti la Presidenza della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Vibo Valentia, la Commissione Straordinaria nominata per gestire il Comune di Nicotera chiedendo tutte il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 26 ottobre 2012, il difensore della Commissione Straordinaria nominata per gestire il Comune di Nicotera ha chiesto la pubblicazione del dispositivo di sentenza. Dopo la discussione orale in cui il difensore dei ricorrenti ha insistito per l’accoglimento del ricorso in revocazione, la causa è stata trattenuta in decisione.

4. Prima di esaminare i motivi di revocazione sollevati dai ricorrenti, la Sezione ritiene opportuno ricordare che l’errore di fatto che, ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c. può dar luogo alla revocazione della pronuncia impugnata consiste, in via generale, in una falsa percezione, da parte del giudice, della realtà risultante dagli atti di causa e più precisamente in una svista materiale che abbia indotto ad affermare l’esistenza di un fatto che obiettivamente non esiste oppure a considerare inesistente un fatto che, viceversa, risulta positivamente accertato, mentre esorbita dall’ambito della revocazione, configurandosi come errore di diritto, quello che attiene alla attività valutativa del giudice e che si estrinseca nell’erronea applicazione di norme sostanziali e procedurali e soprattutto nell’apprezzamento del materiale probatorio.

In questo contesto, la giurisprudenza ha precisato che l’errore di fatto è configurabile anche in ordine a documenti ed atti processuali, ma solo nella materiale attività di lettura e di percezione del loro significato logico da parte del giudice, in quanto l’errore di interpretazione e di valutazione dei fatti consiste in un errore di diritto nei cui confronti è inammissibile la revocazione.

Quindi deve considerarsi inammissibile la domanda di revocazione che si fondi sull’erroneo apprezzamento delle risultanze di fatto, apprezzamento che essendo un errore di giudizio e non un errore di fatto non può costituire motivo di revocazione (Cons. Stato, V, 15 novembre 2010 n.8041).

5. Al fine di collocare nella giusta prospettiva le questioni sollevate nel ricorso appare opportuno, sempre in via preliminare, considerare che la gravata sentenza di appello ha, tra l’altro, premesso, a proposito della natura del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni della criminalità organizzata di cui agli art.143 e ss. del D.Lgs. n. 267 del 2000 e delle caratteristiche del relativo giudizio di legittimità, con affermazioni di carattere generale che sono state condivise dai ricorrenti nel giudizio revocatorio, che la natura di questo provvedimento, di carattere straordinario, non è di tipo sanzionatorio ma preventivo, il cui presupposto richiede solo la presenza di "elementi" su "collegamenti" o "forme di condizionamento" che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la criminalità organizzata.

Tali elementi non devono necessariamente concretarsi in situazioni di accertata volontà degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, né in forme di responsabilità personali, anche penali, degli amministratori, essendo sufficiente che gli stessi elementi siano "indicativi" di un condizionamento dell’attività degli organi amministrativi e che tale condizionamento sia riconducibile all’influenza ed all’ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata.

Inoltre, sempre secondo la sentenza di appello, dovendosi qualificare lo scioglimento del consiglio comunale come atto di alta amministrazione, connotato anche da una significativa valenza politica, al pari peraltro della relazione ministeriale che viene presa a fondamento per l’esercizio del potere di scioglimento, il sindacato del giudice amministrativo non può essere che estrinseco, secondo le regole proprie del giudizio di legittimità, senza possibilità di apprezzamenti che investano il merito.

Infine il giudice di appello ha stigmatizzato che il sindacato di legittimità e la valutazione delle acquisizioni probatorie in ordine a collusioni e condizionamenti malavitosi sono il risultato di un giudizio complessivo, su più fatti ed episodi sintomatici, che isolatamente considerati, potrebbero anche non essere particolarmente significativi o determinanti, ma che acquistano rilevanza in una considerazione di insieme "giacchè solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza dell’addebito mosso al consiglio comunale in un determinato contesto e a prescindere dalla responsabilità dei singoli ".

6. Fatte tali premesse e andando ad esaminare in concreto i singoli, asseriti errori revocatori denunziati dai ricorrenti ed in specie i punti sub a), b), c), nei quali si assume che l’amministrazione avrebbe assunto rilevanti iniziative sia in termini di finanziamento che culturali, di promozione della cultura della legalità, è agevole rilevare che i fatti oggetto dell’asserito errore sono stati presi in esame e valutati dalla sentenza che ha ritenuto tali iniziative inidonee, tuttavia, a scalfire il quadro indiziario, ragionevole e credibile, ricostruito dal Ministero, atto a dimostrare la connessione e vicinanza tra organizzazione criminale e sfera pubblica, tanto più che tali iniziative, "come talora accade nei territori interessati dal fenomeno mafioso, ben possono prestarsi a svolgere un ruolo di copertura e/o di facciata rispetto alla realtà delle dinamica clientelare degli interessi sottesi alla gestione della cosa pubblica" .

Il giudice di appello ha tratto quindi conseguenze diametralmente opposte a quelle espresse dagli appellanti, come è nei poteri e nelle facoltà del secondo giudice quando è chiamato a decidere in sede di impugnazione su una decisione del Tar, tanto più che per la natura del giudizio, non rilevava tanto la incontestabilità dei fatti, quanto un giudizio indiziario e sintetico sugli stessi. E’ evidente che il Consiglio di Stato ha tratto dai singoli fatti valutati nella loro globalità, un convincimento diverso e opposto a quello degli appellanti ma non è incorso in alcun errore sui fatti, al più in un errore di giudizio irrilevante ai fini revocatori.

7. Ulteriori errori revocatori vengono evidenziati dai ricorrenti al punto d), in quanto la sentenza revocanda non avrebbe valutato le dichiarazioni rese dai diretti interessati circa le difficoltà meramente interne incontrate dalle liste rimaste fuori dalla competizione elettorale, dichiarazioni dalle quali dovrebbe trasparire l’assoluta mancanza di condizionamento provenienti dall’esterno, al punto e), in quanto la sentenza avrebbe erroneamente indicato le ditte della famiglia S. come beneficiarie di affidamenti diretti della amministrazione ed al punto f), in cui avrebbe indicato in 36 su di un totale di 89, i sottoscrittori della lista "Nicotera Democratica" aventi precedenti penali, parentali e frequentazioni con il clan Mancuso.

Quanto al punto d), i ricorrenti tendono a provocare una riedizione del giudizio di secondo grado atteso che la sentenza del Consiglio di Stato aveva ampiamente valutato le circostanze che avevano condotto alle elezioni amministrative del 2008, comparando gli aspetti messi in risalto dalla relazione prefettizia e le difese articolate dai ricorrenti, finendo per ritenere che la difficoltà incontrata dagli altri aspiranti candidati "non fosse casuale", ma "collegata alla forte influenza che la lista capeggiata dal R. era in grado di esercitare".

Palesemente quindi i motivi di revocazione non denunziano l’abbaglio dei sensi richiesto ai fini dell’ammissibilità della domanda, quanto piuttosto indulgono su un presunto erroneo apprezzamento, da parte del Collegio, circa le risultanze probatorie emerse nel corso del giudizio come tale inammissibile a fini revocatori.

Nel punto sub e) si sostiene che nessun nuovo servizio era stato appaltato dalla amministrazione R. al signor L.S. che invece aveva, sin dal 4 gennaio 2006, epoca in cui era in carica la precedente gestione commissariale, l’appalto per la fornitura di carburanti per i mezzi comunali e che nessun nuovo servizio era stato appaltato nel corso della amministrazione R. al signor V.S. ovvero alla agenzia funebre F.lli S., eccezion fatta per il trasporto in patria di un cittadino rumeno travolto e ucciso da un treno, prestazione commissionata dalla precedente Commissione Straordinaria.

Sennonchè, leggendo il contestato passo della sentenza (pag.12), risulta evidente che il riferimento ai servizi appaltati a favore dei S. assume un rilievo del tutto marginale nel contesto motivazionale complessivo, diretto a dimostrare i legami esistenti tra la famiglia S. e la disciolta amministrazione di talché, anche ad ammettere la esistenza di una qualche imprecisione di carattere per lo più temporale (tuttavia non essendo dubbio che i S. abbiano ricevuto affidamenti principalmente per la fornitura di carburante destinati a mezzi in dotazione al Comune ed in altre circostanze), la stessa imprecisione non è tale da integrare l’abbaglio dei sensi che per essere rilevante deve avere il carattere della essenzialità nel processo valutativo e decisionale del giudice.

8. Al punto f) si sostiene che non troverebbe riscontro l’affermazione della sentenza di appello che su 89 sottoscrittori della lista "Nicotera Democratica", 36 risultano avere precedenti penali, parentele e frequentazioni con esponenti del clan Mancuso.

I ricorrenti assumono che i sottoscrittori della lista con precedenti penali sono solo sei, e sulla base di tale affermazione sostengono l’errore del giudice, ma il rilievo è del tutto inconferente in quanto sia la Commissione Prefettizia, sia il Ministero, sia le sentenze di primo e secondo grado considerano, con riguardo ai 36 sottoscrittori, anche le parentele e frequentazioni con esponenti del clan Mancuso e non solo i precedenti penali.

9. Nei punti g) h) i) i ricorrenti sostengono che il sindaco R., essendo dipendente di banca, non poteva intrattenere rapporti economici e professionali con alcuno dei sottoscrittori della lista, non avrebbe assunto dipendenti a tempo indeterminato, non vi sarebbero affidamenti di servizi da parte della amministrazione comunale, né ancora vi sarebbero parentele e frequentazioni intrattenute dai componenti del consiglio comunale e della giunta con esponenti della criminalità organizzata, non risulterebbe veritiera la affermazione degli arresti domiciliari di un consigliere comunale..

Sennonchè, i sopradetti punti erano stati esaminati dal giudice di appello che aveva ritenuto le affermazioni degli appellanti, smentite dalla Relazione, "nella quale la Commissione:

– ha denunciato le parentele e le frequentazioni intrattenute dai componenti del consiglio comunale e dalla giunta con gli esponenti della criminalità organizzata ( pag. 16 e ss. della Relazione);

– ha indicato che il consigliere comunale con delega allo sport è detenuto dal 29 settembre 2009 in regime di arresti domiciliari a seguito di o.c.c. del Tribunale di Roma per i reati di associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione, contraffazione, contrabbando, introduzione nello stato e commercio di prodotti falsi, nonché emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Quanto alla parentela del Sindaco con R.R. ( il fratello condannato all’ergastolo per omicidio e irreperibile da 18 anni, alleato storico del clan Mancuso – pag. 158 relazione), pur condividendosi che non è sufficiente ad integrare presupposto del provvedimento di cui all’art. 143 T.U.EE.LL., la semplice circostanza del legame parentale con soggetto appartenente ad una cosca mafiosa (Consiglio Stato , sez. V, 20 ottobre 2005 , n. 5878), deve tuttavia ribadirsi che questo elemento, di per sè non decisivo, è stato considerato, dalla Commissione prima e dal TAR poi, nell’insieme degli altri elementi raccolti."

E’ evidente che nel caso, le risultanze processuali sono state vagliate dalla Sezione che ne ha tratto elementi concludenti prendendo atto di quanto emerso in sede istruttoria; non si comprende quindi quale sarebbe la svista addebitabile alla sentenza che si è limitata a riportare i dati della Relazione Prefettizia, atto tuttavia che, come emerge dalla lettura del ricorso in appello ed ancor prima del ricorso in primo grado, sul punto era stata oggetto solo di generiche contestazioni da parte dei ricorrenti, né è ipotizzabile in sede di revocazione l’introduzione di nuovi elementi valutativi che non erano stati oggetto di contestazione né in primo, né in secondo grado. In ogni caso anche nel ricorso in revocazione i ricorrenti danno atto che vi erano stati episodi di frequentazione sia pure sporadici da parte di membri del consiglio comunale con esponenti della criminalità organizzata.

La affermazione della sentenza sulla assunzione a tempo indeterminato di un dipendente, ove non veritiera, non era determinante in relazione alla complessità del quadro indiziario emergente dalla Relazione Prefettizia. Il giudice di appello infatti aveva sottolineato che la valutazione in ordine allo scioglimento del consiglio comunale era il portato di un giudizio complessivo, su una congerie di fatti ed episodi sintomatici, che isolatamente considerati, avrebbero potuto anche non essere significativi o determinanti, ma che acquistavano rilevanza in una considerazione di insieme . E’ evidente che anche la asserita erroneità di un solo addebito non era tale da scalfire il quadro indiziario che derivava dall’insieme degli altri elementi.

Né in sé può configurarsi come abbaglio dei sensi, rilevante a fini revocatori, la affermazione della sentenza che un consigliere comunale con delega allo sport fosse stato detenuto in regime di arresti domiciliari per reati di associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione, contraffazione, contrabbando, introduzione nello stato e commercio di prodotti falsi nonché emissione di fatture per operazioni inesistenti. Il sopravvenuto annullamento dell’ordine di custodia cautelare non inficiava quanto meno la gravità delle indagini e della attività investigativa cui era stato sottoposto il soggetto, indagini che assumevano sicuro valore indiziario nel contesto del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale.

10. Nei punti j), k) e l) i ricorrenti si soffermano sulla realizzazione del porto turistico di Nicotera sostenendo che la sentenza sarebbe caduta in errore nell’attribuire rilevanza alla localizzazione della nuova opera nei pressi dei terreni di proprietà del figlio di R.R., fratello del Sindaco R., pluripregiudicato e latitante, in particolare sostenendo che la localizzazione del porto non sarebbe stata mai modificata dall’amministrazione R..

Anche qui i ricorrenti sollevano censure dirette a contestare non i fatti nella loro oggettività, ma la valutazione che di tali fatti ne ha tratto il giudice di appello in particolare lamentando il travisamento delle dichiarazioni rese dal dottor M. a cui l’amministrazione aveva affidato, tramite procedure rapidissima, il compito di realizzare il porto turistico in prossimità del terreni del nipote del Sindaco. Poiché tuttavia su tale questioni la sentenza si è espressamente e diffusamente pronunziata è evidente la inammissibilità della censura tanto più che, nel contesto motivazionale della stessa, si accentua il rilievo, non tanto sulla modifica del sito, bensì sulle pressioni esercitate dalla amministrazione per la realizzazione (rapidissima) dell’opera turistica in adiacenza ai terreni del nipote del Sindaco.

11. Al punto l) si contesta la sentenza là dove conclude affermando che il sistema appare complessivamente finalizzato a soddisfare interessi diversi da quelli generali, affermazione questa che i ricorrenti assumono frutto di un "clamoroso errore di lettura dei fatti" in quanto " durante la gestione R. tutti gli appalti sono stati affidati previa regolare gara mentre i rari affidamenti a trattativa privata (relativi a contratti di importo modesto) sono stati caratterizzati dall’interpello di più ditte" (così pag. 13 del ricorso in revocazione).

Anche qui tuttavia si contestano non i fatti in sé, ma il giudizio e l’apprezzamento che ne traeva il giudice di appello; il giudice infatti non metteva in dubbio la formale legittimità delle procedure, ma traeva il proprio giudizio tenendo conto di tutti gli elementi messi a disposizione dalla Relazione, ritenuti tali da formare un quadro indiziario ragionevole e credibile ai fini del condizionamento tanto più in un contesto territoriale oggettivamente connotato da forti indici di criminalità .

Il punto era stato esaminato specificamente dalla sentenza revocanda che aveva ritenuto che non ne risultava scalfita la motivazione della sentenza di primo grado che aveva rilevato come una parte corposa della Relazione era "…stata dedicata all’argomento, che ha esaminato partitamente singoli episodi, nonché il ruolo svolto dal responsabile dell’area tecnica e lavori pubblici dell’ente, su cui nulla eccepiscono gli appellanti."

Proprio per questo, per la sentenza revocanda, "non rileva che singoli procedimenti di affidamento possano risultare legittimi, a fronte di un sistema che appare complessivamente finalizzato a soddisfare interessi diversi da quelli generali.

Anche su tale profilo, nulla oppongono gli appellanti."

12. In conclusione il ricorso in revocazione deve essere dichiarato inammissibile mentre sussistono motivi per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso in revocazione, come in epigrafe proposto,

lo dichiara inammissibile.

Spese compensate .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente

Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore

Hadrian Simonetti, Consigliere

Dante D’Alessio, Consigliere

Alessandro Palanza, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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