Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-04-2012, n. 5849 Polizia tributaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La SCS S.r.l. ha impugnato l’avviso di rettifica IVA relativo all’anno 1997, emesso a seguito di PVC della Guardia di Finanza con cui le era stata contestata l’omessa contabilizzazione di maggiori ricavi e di acquisti, rilevati, rispettivamente, da accrediti ed addebiti sui conti correnti dei soci. La CTP di Messina ha rigettato il ricorso, e la CTR della Sicilia ha confermato tale decisione, con sentenza n. 204/02/09, depositata il 28.7.2009, ritenendo, per quanto ancora interessa, che: 1) le indagini bancarie condotte, previa rituale autorizzazione, dalla Guardia di finanza su conti intrattenuti dalla Società e dai soci costituivano valida prova a carico della prima, senza che potessero aver rilievo nè le ragioni della richiesta di autorizzazione, nè le relative motivazioni; 2) incombeva alla contribuente l’onere di provare che i movimenti bancari, riconducibili alla sua attività, riguardavano operazioni esenti da imposta, prova che non era stata assolta.

La Società contribuente ricorre per la cassazione della sentenza, in base a due, articolati, motivi. L’Agenzia delle Entrate non ha presentato difese.

Motivi della decisione

Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 7; del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 7 e art. 37, comma 3; della L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L. n. 212 del 2000, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente si duole che la CTR abbia disatteso l’eccezione d’illegittimità dell’operato dei verificatori, da lei proposta in relazione ai presupposti della richiesta di autorizzazione all’esecuzione di accertamenti bancari ed alle relative motivazioni. Deduce, in particolare, la ricorrente che: a) la richiesta di accertamenti bancari deve esser corredata da adeguata motivazione; b) gli accertamenti bancari svolti nei riguardi di una società possono essere estesi ai soci quando esistano "collegamenti col soggetto controllato" e non possono esser disposti a caso, come pure puntualizzato da circolari dell’Amministrazione finanziaria, dovendo esser formulate le ragioni di diritto che inducono gli accertatori a formalizzare la richiesta; c) solo in caso di effettiva riferibilità alla Società di conti formalmente intestati a terzi, si verifica l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente. Nella specie, prosegue la ricorrente, non era stata effettuata alcuna verifica in ordine ai presupposti legittimanti l’estensione dell’accertamento bancario ai soci, nè erano state riportate le ragioni di diritto relative a tale estensione, nella richiesta indirizzata all’organo competente, sicchè il procedimento verificatorio doveva considerarsi nullo, con conseguente illegittimità dell’utilizzo della presunzione a favore dell’Ufficio;

d) l’esistenza dell’interposizione fittizia doveva costituire la premessa dell’indagine bancaria e non lo scopo, ed, in concreto, non sussisteva alcuna prova circa il collegamento tra la società ed i soci, salva una dichiarazione effettuata da un socio di minoranza (1% del capitale sociale) inidonea a tal fine. Col secondo motivo, la ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine al mancato esame delle argomentazioni difensive da lei svolte circa la necessità di verificare l’esistenza ed il contenuto del decreto autorizzativo, sulla base del quale si era proceduto all’accesso ai dati bancari, e circa la ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza di primo grado, secondo cui erano sussistenti gravi anomalie contabili alla data della richiesta di autorizzazione all’accesso ai dati bancari, che, invece, non esistevano affatto.

I motivi, che, per la loro connessione, vanno congiuntamente esaminati, sono infondati. Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 7, nel testo introdotto con la L. n. 413 del 1992, art. 18, vigente ratione temporis (il pvc è stato elevato, secondo quanto esposto nel ricorso, nell’anno 2000) dispone che, per l’adempimento dei loro compiti concernenti il controllo, gli uffici possono richiedere, "previa autorizzazione dell’ispettore compartimentale delle tasse ed imposte indirette sugli affari ovvero, per la Guardia di finanza, del comandante di zona" alle aziende e istituti di credito "copia dei conti intrattenuti con il contribuente con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti…" "la richiesta deve essere indirizzata al responsabile della sede o dell’ufficio destinatario che ne da notizia immediata al soggetto interessato; la relativa risposta deve essere inviata al titolare dell’ufficio procedente". Tale disposizione, mirata al controllo delle dichiarazioni e dei versamenti d’imposta, non prevede affatto l’obbligo dell’indicazione del motivo, dello scopo o delle ragioni logiche e giuridiche per la richiesta e l’emissione dei provvedimenti volti, all’acquisizione dei conti correnti bancari, essendo l’esercizio del potere degli uffici di richiedere la copia dei conti intrattenuti con il contribuente collegato, appunto, col generale potere di controllo della dichiarazione (che può, anche, non risolversi in un accertamento tributario), senza necessità di specificazione di nessuna particolare circostanza giustificativa (Cass. n. 16874 del 2009). Deve, quindi, escludersi la pertinenza del richiamo alla giurisprudenza ed ai principi elaborati in tema di "accessi", che, secondo il disposto del successivo art. 52 del Decreto IVA, sono testualmente subordinati – a differenza da quanto previsto per l’acquisizione dei conti correnti bancari – al rilascio di apposita autorizzazione "che ne indichi lo scopo" da parte del capo dell’ufficio e del Procuratore della Repubblica in caso di accesso domiciliare, mirando al diverso scopo di conciliare l’esigenza dell’acquisizione degli elementi di riscontro di una supposta evasione fiscale, e di evitarne l’occultamento o la distruzione, con la tutela del domicilio di ogni cittadino, la cui inviolabilità è espressamente riconosciuta dall’art. 14 Cost. (cfr.

Cass. SU n. 16424 del 2002). L’applicazione al caso in esame dei principi richiamati rende insussistente la denunciata violazione di legge, e, per l’effetto, del tutto irrilevante il vizio motivazionale dedotto al riguardo (con riferimento sia ai presupposti per la richiesta di autorizzazione sia all’asserita carenza di motivazione del decreto autorizzativo), senza dire che, trattandosi in tesi di un vizio di motivazione su profili di diritto, la censura sarebbe comunque stata inidonea alla cassazione della sentenza, sovvenendo in tal caso il potere di correzione o integrazione di cui all’art. 384 c.p.c.. In relazione alla riferibilità alla Società dei conti dei soci, va osservato che l’impugnata sentenza la ha affermata sulla scorta del ritenuto collegamento funzionale dei conti dei soci rispetto a quelli della società, accertamento di fatto che non risulta censurato sotto il profilo motivazionale, ma in riferimento alle ragioni addotte a sostegno della richiesta di estensione degli accertamenti bancari ed ai presupposti del potere dell’Ufficio nel disporne l’acquisizione. La censura, così come proposta, non coglie nel segno. La presunzione legale a carattere relativo di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, secondo la quale gli elementi risultanti dai conti correnti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, di cui al successivo art. 54, consente di riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime IVA e la conseguente inversione dell’onere della prova si applicano, anche, quando i conti bancari siano intestati ai soci della contribuente, tenuto conto che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 (e, parimenti il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 7, riguardo alle imposte sui redditi) autorizza l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, quando sussista ragione di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi sono stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti (Cass. n. 27032/2007; 21454/2009). In tal caso, l’Ufficio può legittimamente utilizzare dati derivanti da movimenti bancari relativi a conti intestati a terzi (senza necessità di contestarli al contribuente o al terzo), purchè fornisca in giudizio la prova, anche presuntiva, che nella specie i giudici del merito hanno ritenuto sussistere, che detti movimenti bancari, nonostante la formale intestazione siano in realtà attribuibili al contribuente, salva, ovviamente, la prova contraria da parte di questo (Cass. n. 4423 del 2003). In questi casi, la presunzione di operazioni commerciali non registrate, discendente dalla riscontrata movimentazione di somme su conti intestati a terzi formalmente, non è qualificabile come (inammissibile) presunzione di doppio grado, poichè è l’art. 51, comma 2, n. 2) del decreto IVA a prevedere che i singoli dati ed elementi risultanti dall’indagine bancaria debbono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass. n. 375 del 2009).

Il ricorso va in conclusione respinto.

Non vi è luogo alla regolamentazione delle spese, in assenza di difese da parte dell’intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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