Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 28-09-2011) 25-10-2011, n. 38664 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Tribunale di Milano, quale giudice dell’appello avverso l’ordinanza con cui il 2.2.2 011 il locale GIP aveva respinto la richiesta di revoca della misura cautelare emessa nei confronti di B.F. – cui l’imputazione ascrive la partecipazione associativa con ruolo di direzione della ed "locale" di Pavia, nel contesto di presenza della ‘ndrangheta in Lombardia – e dato atto che l’appello censurava la sola valutazione della sussistenza ed attualità delle esigenze cautelari, ha confermato l’ordinanza impugnata (nel frattempo essendo stato emesso decreto di giudizio immediato e ad oggi pendendo giudizio abbreviato – come da comunicazione della cancelleria dell’Ufficio gip di Milano in data 22.9.2011).

Il Giudice collegiale della cautela ha argomentato che non erano stati acquisiti elementi idonei ad escludere fondatamente che l’imputato non potesse continuare a fornire contributo all’associazione o avesse tenuto condotte indice inequivoco del distacco dalla stessa, risultando dalla documentazione in atti e da quella stessa prodotta dalla difesa il mantenimento di contatti con altri affiliati di rilievo ( N. e L. in Lombardia, esponenti della famiglia del C. in Calabria); indicava in particolare le dichiarazioni di M.A. (relative ad incontro con il N. ancora nel 2010), le conversazioni intercettate il 6 ed il 21.9.2009, l’esito dell’accertamento di polizia del dicembre 2009. Da questi elementi di fatto evinceva appunto essere il B. tutt’altro che un soggetto ormai isolato e un "nessuno" in campo associativo.

2. Il ricorso deduce violazione dell’art. 275 c.p.p., comma 3 e vizi di motivazione in ordine alla ritenuta irrilevanza dei nuovi atti di indagine prodotti dalla difesa, lamentando che sarebbero stati tutti ignorati salvo l’unico valorizzato negativamente; in particolare, in ordine all’assenza ad ogni occasione possibile di riunione o incontro, anche per ricorrenze "familiari";

all’alternativa spiegazione dell’incontro con il N.; all’assenza di prove in ordine ai contatti con i C.; alla svalorizzazione del dato dei litigi con tutti i precedenti sodali (che sarebbe stato ammesso dalla stessa Procura), nonchè all’aver ignorato la sostanziale Incensuratezza e la lecita attività lavorativa in corso.

Il ricorso richiama quindi le dichiarazioni di collaboratori di giustizia e di appartenenti alle stesse forse di polizia, acquisite in sede di indagine difensiva, che argomenta attestare l’estraneità di B. al sodalizio; commenta il contenuto di conversazioni intercettate; deduce in definitiva che da tutti tali elementi doveva escludersi quantomeno l’attualità ed effettività della pericolosità dell’imputato, oltretutto in un contesto – la "locale" di Pavia -che risulterebbe ora privo di qualsivoglia associato "semplice", rendendo impossibili contatti utili al sodalizio.

2.1 Sono stati poi depositati motivi aggiunti (di violazione dell’art. 275 c.p.p., comma 3 e vizi di motivazione in ordine alla asserita irrilevanza dei nuovi atti di indagine prodotti dalla difesa, in particolare all’essere stata disattesa anni prima la richiesta di applicazione della misura di prevenzione promossa dai locali carabinieri ed alla travisata interpretazione delle prove richiamate per convalidare l’assunto accusatorio) e, quindi, note di udienza (per chiarire che al Riesame erano state prospettate deduzioni specifiche con riferimenti puntuali ad atti individuati e commento sulla decisività logico giuridica degli assunti proposti).

3. Il ricorso è infondato.

Ricordato che non è in discussione la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per l’imputazione formulata nei confronti del B., ora per essa a giudizio abbreviato, ma il tema oggetto della richiesta difensiva e dell’ordinanza del riesame qui impugnata è limitato all’attualità di esigenze cautelari, nella peculiare rilevanza che esse assumono ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, osserva questa Corte come l’unico articolato originario motivo si risolva, in realtà, nella sollecitazione ad una rivalutazione del materiale probatorio che, oltretutto, richiederebbe una penetrante indagine di merito (e innanzitutto di verifica della rispondenza all’effettivo contenuto degli atti commentati, richiamati – nel ricorso – in modo generico e parziale rispetto all’onere di autosufficienza del ricorso). Rivalutazione del tutto preclusa in questa sede di legittimità, sicchè il motivo risulta diverso da quelli consentiti.

In definitiva, il Tribunale ha richiamato alcuni dati probatori specifici, li ha commentati in modo congruo al contenuto riferito, pervenendo con motivazione non apparente nè contraddittoria o manifestamente illogica ad un apprezzamento di permanente attualità dell’esigenza cautelare. La difesa richiama atti diversi, ma nel motivo originario non si confronta specificamente con i dati probatori richiamati dal Tribunale e, per quello che in realtà solo rileva considerando i limiti propri dell’istituto del ricorso per cassazione, in particolare non ne denuncia in quella sede specifici vizi ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), solo deducendo omessa motivazione rispetto ad altri elementi, prospettati genericamente, nel senso del termine prima ricordato, e, comunque, senza spiegare perchè quegli ulteriori elementi avrebbero fondato l’insanabile intrinseco vizio del ragionamento del Giudice collegiale della cautela, rispetto ai dati probatori dallo stesso appunto specificamente richiamati.

Le più articolate e specifiche deduzioni dei motivi aggiunti e delle note di udienza, anche in ordine al requisito dell’autosufficienza, non giovano a superare i limiti intrinseci dell’atto iniziale, potendo i motivi aggiunti ampliare le deduzioni a sostegno della richiesta iniziale ma non sanare vizi o limiti originari del ricorso, neppure nella procedura ex art. 311 c.p.p. (Sez. 6, sent. 47414/2008;

Sez. 3 sent. 3 2023/2008). Del resto, nel caso concreto appare sussistere una evidente sovrapposizione tra le tematiche della gravità indiziaria e dell’attualità delle esigenze cautelari, posto che gli elementi probatori richiamati sia nell’ordinanza che nel ricorso (e, poi, negli atti difensivi ulteriori) finiscono con l’essere pertinenti ad entrambe le questioni. In buona sostanza, ciò conferma la natura sostanzialmente di merito delle censure, genericamente proposte nel ricorso originario, pur a fronte di una molto diligente ed inconsueta attivazione d’indagine della difesa, tenuto conto del fatto che il Tribunale ha dato specificamente conto delle prove prodotte e dei punti devoluti dalla difesa (pag. 2 primo paragrafo), tuttavia ritenendo espressamente assorbenti gli elementi commentati a pag. 3, valutati con apprezzamento in sè sostenuto da motivazione non apparente ed immune dai vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà.

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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