Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 28-09-2011) 25-10-2011, n. 38661 Interesse ad impugnare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Catanzaro, in sede di riesame, ha confermato la misura della custodia in carcere disposta con provvedimento del 26 novembre 2010 dal G.i.p. del Tribunale di Catanzaro nei confronti di L.M.B. per il reato contestato al capo 22 della imputazione provvisoria, qualificando il fatto come tentativo di violenza privata, aggravata dal metodo mafioso di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, anzichè come tentata estorsione aggravata.

A L.M.B. era stato contestato di avere, in concorso con il fratello E. e con B.M., tentato di costringere M.L., presidente del consiglio di amministrazione della casa protetta per anziani "Villa Sorriso", di cui il fratello stesso deteneva una quota, ad acconsentire che la ditta Naccarato, controllata dalla cosca B., si accaparrasse i servizi funebri dei pazienti deceduti in quella struttura sanitaria.

Dall’ordinanza si apprende che i due fratelli L.M. avrebbero in diverse occasioni rappresentato a M.L. l’intenzione di B.M., conosciuto dal M. come "persona poco raccomandabile", di incontrarlo personalmente per discutere della faccenda, incontro sempre rifiutato ed evitato dalla persona offesa;

in particolare L.M.B. avrebbe molto insistito perchè si accontentasse la richiesta del B., fino a dire al M. che il B. era rimasto molto male per il mancato incontro.

L.M.B., tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, in cui, con il primo motivo, ha contestato l’idoneità stessa della condotta materiale posta in essere dall’indagato ad essere ricompresa negli atti violenti o minacciosi richiesti dalla norma incriminatrice. Si assume, infatti, che l’invito afferente alla possibilità di affiggere all’interno della clinica una locandina con la quale si invitavano i familiari dei degenti, in caso di morte degli stessi, a rivolgersi alla ditta Naccarato, non appare essere connotato dai caratteri della violenza o della minaccia; in altri termini L.M. sarebbe stato un semplice nuncius della richiesta del B., affinchè intercedesse con i M. per la positiva conclusione dell’operazione diretta a sponsorizzare una determinata impresa in luogo di altre.

Sotto un diverso profilo il ricorrente lamenta una carenza di motivazione dell’ordinanza là dove si è limitata a riportare le deposizioni di L. e M.G., senza esprimere alcuna valutazione sul contenuto di esse.

Con un secondo motivo il ricorrente contesta il provvedimento impugnato per avere ritenuto sussistente l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, non avendo il L.M. nè utilizzato condotte definibili mafiose, nè evocato la fama criminale di B.M..

Ha presentato ricorso anche il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza deducendo l’erronea applicazione della legge penale, per avere i giudici qualificato il fatto contestato all’imputato come un tentativo di violenza privata anzichè come un tentativo di estorsione, assumendo che l’avviso che l’indagato voleva far affiggere nella clinica costituisse un prodromo della pretesa e non certo l’atto dispositivo che si era tentato di estorcere. Secondo il ricorrente sussiste nella specie l’estorsione in quanto il gruppo B., tramite i fratelli L.M., intendeva aumentare il portafogli clienti della impresa di onoranze funebri e per cogliere questo obiettivo minacciava l’amministratore della clinica per costringerlo a stipulare una convenzione con l’impresa Naccarato.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve rilevarsi che, in pendenza del ricorso per cassazione, l’indagato è stato rimesso in libertà per cui è venuto meno l’interesse all’impugnazione.

Recentemente le Sezioni unite hanno ribadito che quando nelle more del ricorso viene revocata o diventa inefficace una misura cautelare custodiale, perchè possa ritenersi sussistente l’interesse del ricorrente a coltivare l’impugnazione in riferimento a una futura utilizzazione dell’eventuale pronunzia favorevole ai fini del riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, "è necessario che la circostanza formi oggetto di specifica e motivata deduzione, idonea a evidenziare in termini concreti il pregiudizio che deriverebbe dal mancato conseguimento della stessa, formulata personalmente dall’interessato" (Sez. un., 16 dicembre 2010, n. 7931, Testini; nello stesso senso, Sez. 6^, 15 novembre 2006, n. 9943, Campodonico).

In difetto di una espressa indicazione che dimostri l’intenzione di una futura utilizzazione della pronuncia, l’interesse in questione finisce per essere commisurato al probabile successo dell’azione di riparazione e l’impugnazione diventa lo strumento per rimuovere un pregiudizio futuro, solo teoricamente ed eventualmente collegato al provvedimento impugnato, laddove è pacifico che la situazione pregiudizievole che l’impugnazione tende a rimuovere deve porsi in rapporto causale con l’atto impugnato, del quale deve essere conseguenza immediata e diretta.

In conclusione, si ritiene che in tali fattispecie il carattere dell’attualità e della concretezza dell’interesse ad impugnare possa essere riconosciuto a condizione che la parte manifesti, in termini positivi ed univoci, la sua intenzione a servirsi della pronuncia richiesta in vista dell’azione di riparazione per l’ingiusta detenzione.

Nella specie, la dichiarazione resa in udienza da B.L. M. non può essere ritenuta idonea a dimostrare l’esistenza di un interesse al ricorso, in quanto si è trattato di una dichiarazione generica, che non consente neppure di verificare la effettiva concetezza dell’interesse con riferimento alla mancanza delle cause ostative di cui al comma 4 dell’art. 314 c.p.p..

Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Il venir meno dell’interesse, sopraggiunto alla proposizione del ricorso, non configura un’ipotesi di soccombenza e pertanto si ritiene che il ricorrente non debba essere condannato nè alle spese processuali nè al pagamento della sanzione in favore della cassa delle ammende (Sez. un., 25 giugno 1997, n. 7, Chiappetta).

Riguardo al ricorso del pubblico ministero, deve innanzitutto rilevarsi la sussistenza del suo interesse al ricorso, in quanto da una diversa e più grave qualificazione giuridica del fatto in sede cautelare può derivare una diversa considerazione sulla imposizione della misura cautelare.

Tuttavia, il ricorso nel merito è infondato.

Sulla base dei fatti ricostruiti nell’ordinanza impugnata, appare corretta la qualificazione della condotta dell’indagato nel reato di tentata violenza privata, aggravata dal metodo mafioso di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Correttamente i giudici hanno messo in evidenza come, di fronte alle minacce dirette a fare affiggere un invito agli utenti della Clinica Villa Sorriso di utilizzare i servizi funebri offerti dalla ditta Naccarato, non sussista un corrispondente e concreto danno patrimoniale ingiusto arrecato alle vittime di tali minacce, cioè agli amministratori di Villa Sorriso, ai quali è stato richiesto, in sostanza, una sorta di "sponsorizzazione illegale", con ricadute negative indirette sulle possibili ditte di servizi pubblici concorrenti, ma non nei confronti della casa di cura. Peraltro, come è stato rilevato nell’ordinanza, attraverso l’invito da affiggere non veniva realizzata alcuna coartazione nei confronti dei parenti dei pazienti della clinica, la cui libertà negoziale circa la scelta dell’agenzia funebre a cui rivolgersi non subiva condizionamenti.

Il delitto di estorsione si distingue da quello di violenza privata proprio per la presenza del danno patrimoniale che la vittima subisce ad opera dell’agente che si procura l’ingiusto profitto attraverso minacce o violenza (Sez. 1^, 3 novembre 2005, n. 5639, Calabrese;

Sez. 1^, 27 luglio 1997, n. 9958, Carelli). D’altra parte, allo stato degli atti non può neppure parlarsi di estorsione contrattuale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti, in quanto nel caso in esame è mancato proprio il rapporto negoziale e la conseguente lesione della volontà contrattuale (Sez. 6^, 5 febbraio 2001, n. 10463, Brancaccio; Sez. 6^, 14 novembre 2008, n. 46058, Russo).

La tesi del pubblico ministero, secondo cui l’indagato, assieme al fratello e al B., avrebbe tentato di costringere gli amministratori della Clinica Villa Sorriso a stipulare una vera e propria convenzione con la ditta Naccarato per la gestione dei servizi funerali, non ha trovato, allo stato, alcun riscontro.

All’infondatezza dei motivi proposti consegue il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di L.m. per sopravvenuta carenza di interesse.

Rigetta il ricorso del pubblico ministero.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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