Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 28-09-2011) 25-10-2011, n. 38642

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Il Tribunale di Termini Imerese, con sentenza del 21 dicembre 2007, affermava la responsabilità penale di M.G. per i delitti di falsità materiale, peculato e tentata concussione, condannandolo alla pena di tre anni di reclusione oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, mentre assolveva il coimputato G.F. dalle contestazioni di abuso di ufficio e calunnia.

Secondo l’accusa il M., nella qualità di tecnico incaricato della sezione interventi per i terremotati del Comune di Campofiorito, avrebbe alterato i verbali di consegna dei punti fissi relativi agli immobili di proprietà S. e B., si sarebbe appropriato della somma di trecentosessantamila lire nonchè di due marche da bollo del valore di ventimila lire ciascuna che aveva ricevuto per la registrazione della concessione edilizia relativa all’immobile di S. e, infine, avrebbe tentato di indurre Sa.An., marito di S.M., proprietaria dell’immobile, a versargli la somma di dieci milioni di lire per ottenere il rilascio della concessione edilizia, nonchè l’erogazione dei contributi previsti in favore degli immobili terremotati; il G., quale dirigente dell’ufficio tecnico comunale di Campofiorito, avrebbe commesso l’abuso d’ufficio con riferimento alle pratiche edilizie relative agli immobili S. e B., inoltre avrebbe calunniato il sindaco di Campofiorito ( G.M.) e il segretario comunale ( P.M.).

2. – Contro la decisione del Tribunale appellavano il pubblico ministero, contro l’assoluzione del G., e gli imputati.

Con sentenza del 25 marzo 2010 la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assolveva M. G. dai reati di falso e tentata concussione di cui ai capi A), C) e D) e, qualificato il reato di peculato di cui al capo B) come appropriazione indebita aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11, rideterminava la pena in quattro mesi di reclusione ed Euro 300,00 di multa, eliminava le statuizioni sulla falsità dei documenti di cui ai capi A) e D) e revocava le disposizioni di natura civilistica connesse ai reati per i quali era stato assolto, condannandolo infine al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili R. e S.M..

Inoltre, respingeva gli appelli del pubblico ministero e del G..

3. – Contro la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione sia il M. che le parti civili.

3.1. – L’avvocato Antonio Turrisi, nell’interesse dell’imputato, con un primo motivo ha dedotto la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in quanto la sentenza ritiene provata la responsabilità del M. per il reato di appropriazione sulla base delle dichiarazioni delle persone offese, Sa.An., S.M. e S.R., sebbene queste siano state ritenute inattendibili nei capi in cui i giudici hanno escluso la sussistenza degli altri reati, evidenziando, tra l’altro, l’esistenza di motivi di attrito con l’imputato, ritenuto il responsabile dei ritardi dell’iter amministrativo per il riconoscimento del contributo di ricostruzione per il terremoto; il ricorrente contesta anche la motivazione in cui si assume che le deposizioni delle persone offese sarebbero riscontrate dalle dichiarazioni del sindaco e dei dipendenti del Comune, rilevando a questo proposito che si tratta di soggetti aventi anch’essi un interesse alla condanna dell’imputato, essendosi costituiti come parti civili e che, in ogni caso, non avrebbero riscontrato del tutto quanto riferito da Sa. e da S..

Inoltre, si rileva che l’unica fonte testimoniale diretta di accusa nei confronti del M. è la deposizione del Sa., teste ritenuto inattendibile, in quanto le altre dichiarazioni rappresentano fonti de relato, e che le accuse rivolte dalle persone offese all’imputato sono state rese a distanza di molti anni dai fatti.

Con gli altri due motivi il ricorrente censura la sentenza per non avere dichiarato estinto il reato di cui all’art. 646 c.p. per intervenuta prescrizione e sostiene che la dichiarazioni di estinzione avrebbe dovuto comportare anche l’eliminazione delle statuizioni civili, in quanto la prescrizione si sarebbe verificata prima della sentenza di primo grado resa dal Tribunale.

3.2. – L’avvocato Roberto Ferrara, nell’interesse del Comune di Campofiorito, ha proposto ricorso, agli effetti della responsabilità civile, contro le assoluzioni del M. dai reati di falso e di tentata concussione, nonchè contro la riqualificazione del reato di peculato, lamentando l’omessa condanna dell’imputato alle spese di costituzione di parte civile.

3.3. – L’avvocato Roberto Ferrara ha presentato ricorso anche nell’interesse delle parti civili M. e S.R. nei confronti della sentenza che ha assolto M.G. dai reati di falso e di tentata concussione di cui ai capi A e C, con conseguente eliminazione delle statuizioni sulla falsità e revoca delle disposizioni di natura civilistica; inoltre, ha impugnato anche il capo della sentenza nella parte in cui, pur rigettando l’appello proposto dal coimputato G.F., ha omesso di condannare l’imputato a rifondere alle parti civili le spese di difesa.

3.4. – Con una successiva memoria l’avvocato Roberto Ferrara ha mosso una serie di critiche al ricorso presentato nell’interesse di M.G., in particolare contestando l’assunto secondo cui la prescrizione del reato di appropriazione indebita sarebbe intervenuta ancor prima della sentenza resa dal Tribunale, con i conseguenti effetti sulle pretese civilistiche delle parti civili.

Motivi della decisione

4. – Preliminarmente deve rilevarsi l’avvenuta estinzione per prescrizione del reato di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p. e art. 61 c.p., n. 11. Nella specie trovano applicazione i nuovi termini di prescrizione introdotti dalla L. n. 251 del 2005, entrata in vigore l’8.12.2005, epoca in cui nel presente processo non era ancora pendente il giudizio di appello, cioè il momento processuale che avrebbe consentito l’applicazione del vecchio regime della prescrizione (Sez. un., 29 ottobre 2009, n. 47008, D’Amato).

Peraltro, nel caso in esame la questione non assume un concreto interesse in quanto il termine massimo per la prescrizione del reato di appropriazione indebita è comunque quello di sette anni e sei mesi, da calcolare a far data dalla appropriazione che, stando alla contestazione, risulta consumata il (OMISSIS). Tuttavia, come ha correttamente rilevato il difensore delle parti civili, al termine massimo devono aggiungersi i periodi di sospensione del corso della prescrizione verificatesi nel giudizio di primo grado, dal 21.6.2006 al 4.10.2006 per impedimento dell’imputato e dal 4.7.2007 al 3.10.2007 per l’astensione degli avvocati, con la conseguenza che la prescrizione non si è verificata prima della pronuncia della sentenza di primo grado (21.12.2007), come erroneamente assume la difesa dell’imputato. Infatti, anche tenendo conto della nuova disposizione di cui all’art. 159 c.p., per cui in caso di sospensione del processo per impedimento dell’imputato o del suo difensore, l’udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell’impedimento – applicabile nel caso di specie trattandosi di rinvii disposti dopo l’introduzione della L. n. 251 del 2005 (Sez. un., 30 settembre 2010, n. 43428, Corsini) -, il termine finale di prescrizione è comunque successivo alla sentenza di primo grado.

Ne consegue che, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 1, la sentenza impugnata deve essere annullata non potendosi procedere nei confronti dell’imputato per la suddetta causa di estinzione del reato.

Tuttavia, in applicazione di quanto previsto dall’art. 578 c.p.p. occorre comunque decidere sul ricorso ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

Infatti, il principio processuale stabilito dall’art. 578 c.p.p. presuppone l’ipotesi che la prescrizione sia maturata successivamente alla pronuncia di primo grado, dovendo distinguersi, pertanto, tra il caso in cui la causa estintiva sia sopravvenuta alla sentenza di primo grado, rispetto alla diversa fattispecie in cui sia preesistente e, per errore, non sia stata dichiarata dal primo giudice. Una volta escluso che la prescrizione sia intervenuta prima della sentenza del Tribunale, sussistono i presupposti di operatività dell’art. 578 c.p.p., poichè tale decisione presuppone una precedente pronuncia di condanna sulle statuizioni civili validamente emessa.

5. – Ai limitati fini degli effetti civili il ricorso dell’imputato è fondato nei termini di seguito precisati.

La sentenza ha affermato la responsabilità del M., in ordine alla condotta appropriativa delle marche da bollo e del denaro che gli erano stati consegnati da Sa.An., in base alle dichiarazioni accusatorie delle stesse persone offese, M. e S.R., e dallo stesso Sa., marito di S. M., nonchè da quanto riferito dal sindaco e da "altri dipendenti del Comune", riportandosi integralmente a quelle che considera "più che sufficienti affermazioni contenute nella pronuncia di primo grado".

Come ha correttamente evidenziato la difesa dell’imputato, si tratta di una motivazione per relationem che presenta aspetti di forte contraddizione e illogicità. L’apoditticità con cui i giudici di appello ritengono dimostrata la condotta di appropriazione, facendo assoluto affidamento nelle dichiarazioni delle persone offese, contrasta in maniera evidente con la valutazione di assoluta inattendibilità che gli stessi giudici hanno riservato alle medesime persone offese ( S.M., S.R. e S. A.) quando hanno trattato del reato di concussione, pure contestato all’imputato. Ebbene, con riferimento all’episodio concussivo denunciato dalle citate persone offese la sentenza esclude la sussistenza di elementi probatori idonei, evidenziando la assoluta inattendibilità degli accusatori per avere reso dichiarazioni tardive, colme di discrasie e anomalie, caratterizzate da un atteggiamento di forte contrapposizione con l’imputato, precisando come le stesse modalità della denuncia da parte delle sorelle S. presentino tali anormalità "da farle chiaramente apparire come frutto di un previo concerto, sicchè, non soltanto la loro credibilità ne risulta inequivocabilmente minata", ma l’intero contesto "getta un’oscura luce su tutta la vicenda così come gestita dal nucleo familiare Sa. – S.".

Dopo avere espresso queste valutazioni di totale inaffidabilità e inattendibilità delle fonti di accusa, la sentenza in relazione ad un episodio strettamente e inscuidibilmente connesso con la contestazione riguardante la tentata concussione, si riferisce agli stessi testimoni ritenendoli del tutto credibili, senza offrire alcuna giustificazione su un cambiamento di prospettiva così radicale, che avrebbe meritato una motivazione puntuale e specifica sulla vicenda. Al contrario, la sentenza opera una inammissibile motivazione per relationem alla sentenza di primo grado, inammissibile perchè il contesto di quella pronuncia era completamente differente, avendo il Tribunale affermato la responsabilità di M. per tutti i reati contestatigli, così riconoscendo piena credibilità alle dichiarazioni delle persone offese; nel momento in cui la Corte d’appello riforma in maniera sostanziale la prima sentenza, negando decisamente, per alcuni episodi, la credibilità di quei testimoni d’accusa, che sono anche persone offese, determina una sostanziale e generale svalutazione della affidabilità delle loro dichiarazioni, anche quando si riferiscono ad altri fatti.

In altri termini, per fondare l’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al connesso episodio di appropriazione utilizzando questi testimoni la Corte d’appello avrebbe dovuto motivare in concreto le ragioni per le quali riteneva attendibili queste fonti probatorie e non limitarsi ad una mero rinvio ad una sentenza il cui percorso argomentativo e il cui esito risultano tendenzialmente incompatibili con la decisione assunta in secondo grado.

Proprio le considerazioni negative fatte dalla sentenza in relazione all’episodio della tentata concussione, imponevano un attento controllo di credibilità oggettiva delle dichiarazioni rese dalle sorelle S. e dal Sa. a proposito della appropriazione indebita; peraltro tale controllo appariva ancor più necessario in considerazione del fatto che le accuse provenivano da persone offese, cioè da soggetti che non sono del tutto equiparabili al testimone estraneo, tanto che la giurisprudenza richiede che, in presenza di situazioni che inducano a dubitare della loro attendibilità, siano sottoposte a un attenta verifica di credibilità oggettiva e soggettiva, ricorrendo, ove occorra, anche ai riscontri esterni.

Nella sentenza impugnata oltre ad essere del tutto carente la verifica di credibilità dei testi-persone offese, non vi è stato neppure il tentativo di riscontrare le loro dichiarazioni. Invero, a conferma delle affermazioni di Sa. e delle sorelle S. vengono indicate alcune deposizioni rese da non meglio identificati dipendenti del Comune e dal sindaco. Tuttavia la sentenza tace sul contenuto di tali testimonianze, mentre il ricorrente evidenzia il travisamento della prova in cui sarebbero incorsi i giudici di appello per avere considerato confermative delle dichiarazioni di Sa. e delle sorelle S. quelle rese da G. M. (sindaco del comune) e da P.M. (dipendente comunale), che invece non avrebbero affatto riscontrato quanto detto loro dal Sa. circa il fatto di avere corrisposto al M. quattrocentomila lire per la registrazione della concessione edilizia.

Le rilevate carenze motivazionali impongono l’annullamento della sentenza ai soli effetti civili, con rinvio ex art. 622 c.p.p. al giudice civile competente per valore in grado di appello.

6. – Allo stesso modo deve provvedersi, in accoglimento del ricorso presentato nell’interesse delle parti civili M. e S. R., nei confronti del capo della sentenza impugnata che ha omesso di condannare G.F. al pagamento delle spese processuali e di quelle in favore delle citate parti civili.

Come si è accennato, G.F. è stato assolto in primo grado ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, con la formula "perchè il fatto non costituisce reato"; la pronuncia assolutoria è stata appellata, in via principale, dal pubblico ministero e, incidentalmente, dallo stesso imputato per ottenere una formula assolutoria piena; contro l’impugnazione dell’imputato hanno resistito le costituite parti civili, presentando apposite allegazioni contenute nella memoria difensiva; la Corte d’appello ha rigettato sia l’appello principale, che quello incidentale, ma non ha provveduto sulle spese del procedimento e su quelle in favore delle parti civili.

Come correttamente rilevato dal difensore delle parti civili nel suo ricorso, il rigetto dell’appello proposto nell’interesse di G. F. ha comportato la sua soccombenza, con correlativo obbligo di rifondere le spese giudiziali sostenute da M. e R. S..

Pertanto, come anticipato, il rinvio conseguente alìannullamento della sentenza impugnata deve essere fatto al giudice civile ai sensi dell’art. 622 c.p.p., che provvederà anche sulle spese sostenute nel grado di appello dalle parti civili.

7. – Nel resto entrambi i ricorsi delle parti civili devono essere rigettati.

7.1. – Per quanto riguarda i reati di falso di cui ai capi A) e D) la sentenza non merita le censure proposte.

I giudici hanno riconosciuto che il M. ha operato delle integrazioni nei verbali di consegna dei punti fissi di quota ed allineamento relativi agli immobili di proprietà delle sorelle S., successivamente al sopralluogo effettuato in contraddittorio con le interessate, ma hanno ritenuto che ciò non integrasse il reato di falso materiale. Infatti, dopo avere precisato che le cd. "contestazioni" corrispondono ad una valutazione tecnica operata dal M., quale incaricato di effettuare i controlli sugli immobili, hanno escluso la sussistenza del reato essendo mancata la prova di "una effettiva, concreta ed apprezzabile mutazione del contenuto di un atto già perfezionato", non risultando che l’imputato abbia predisposto un verbale contenente valutazioni favorevoli alla S. e alla B., per poi modificarlo con contestazioni aggiunte successivamente: al contrario, hanno sostenuto che l’atto è stato perfezionato in momenti differenti, ma senza che siano state modificate le conclusioni a cui il tecnico era giunto circa l’abitabilità dei vani posti al primo piano. Peraltro, le aggiunte si riferirebbero a parti non riguardanti direttamente il sopralluogo, formulabili, cioè, anche successivamente, come dimostrerebbe la circostanza, evidenziata in sentenza, che nel modulo precompilato erano state appositamente lasciate in bianco due facciate.

Rispetto a questa ricostruzione dei fatti e alla conseguente valutazione della condotta dell’imputato, la difesa delle parti civili ne oppone un’altra, sostenendo che i verbali in questione dovevano essere redatti in contraddittorio, all’esito del quale erano da considerarsi perfetti e intangibili, sicchè le arbitrarie inserzioni introdotte dal M. hanno integrato il reato di falso materiale.

Si osserva al riguardo, come la difesa delle ricorrenti parti civili, che a conferma della sua tesi ha indicato una serie di dichiarazioni rese da vari testimoni escussi, non tiene conto che la sentenza impugnata ha richiamato quella giurisprudenza che nega la sussistenza del falso materiale in presenza di mere correzioni o integrazioni dell’atto, che non ne modifichino il contenuto, ma siano solo dirette a completarlo e, conseguentemente, ha escluso che nella specie vi sia stata una immutatio veri. Pertanto, ai fini che interessano in questa sede appare irrilevante che la struttura del verbale in questione non prevedesse una redazione in più fasi, in quanto ciò che deve essere dimostrato è che l’integrazione ha apportato una effettiva e sostanziale modifica del contenuto dell’atto, circostanza che i giudici di appello hanno escluso sulla base di un giudizio di merito che, in quanto logicamente e coerentemente motivato, non può essere oggetto di censure in sede di legittimità.

Nel ricorso si contesta anche l’esclusione del falso in relazione alla alterazione della data, ma sul punto la sentenza ha ritenuto essersi trattato di una mera svista successivamente corretta, escludendo anche in questo caso la sussistenza del falso.

Le ricorrenti non segnalano alcuna intrinseca contraddittorietà nella motivazione, limitandosi a proporre una lettura alternativa dei fatti, inammissibile in sede di legittimità. 7.2. – Infondati sono anche i motivi con cui i due ricorsi deducono il vizio di motivazione della sentenza per avere assolto il M. dal reato di tentata concussione.

Si tratta di censure che attengono a valutazioni di merito che i giudici di appello hanno fatto in ordine alla credibilità dei testimoni di accusa, in particolare del Sa. e delle sorelle S., valutazioni che appaiono sorrette da una motivazione coerente e che per questo non possono essere oggetto di rivalutazione in questa sede, se non a costo di trasformare il giudizio di cassazione in un terzo grado di merito.

Invero, la sentenza ha offerto una logica spiegazione delle ragioni per cui ritiene inaffidabili le dichiarazioni di Sa. e delle sorelle S., evidenziando innanzitutto la circostanza che la denuncia di una richiesta di pagamento di una tangente presentata a distanza di quattro anni dal fatto "non può ritenersi genuina nè spontanea", quindi inidonea a sostenere un giudizio di colpevolezza dell’imputato. I giudici di secondo grado hanno considerato inattendibili i testi a carico anche per l’esistenza di forti interessi contrapposti tra il M. e le persone offese, che imputavano al primo lo stallo della pratica di rilascio della concessione edilizia; inoltre, hanno compiuto un attento esame del contenuto delle dichiarazioni rese sia dal Sa. che dalle S., pervenendo ad un giudizio di totale e definitiva inattendibilità, fino a sostenere che la loro credibilità risulta "inequivocabilmente minata", essendo tali dichiarazioni frutto di "un previo concerto" e in grado di gettare "un’oscura luce su tutta la vicenda così come gestita dal nucleo familiare Sa. – S.".

Il dedotto travisamento della prova è destituito di fondamento in quanto secondo un affermato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, successivo alla novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) ad opera della L. 20 febbraio 2006, n. 46, il ricorso per cassazione che denunci questo vizio di motivazione, ovvero l’omessa valutazione di circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati, impone di verificare l’eventuale esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero di verificare l’esistenza della decisiva difformità, fermo restando il divieto di operare una diversa ricostruzione del fatto, quando si tratti di elementi privi di significato indiscutibilmente univoco e non in grado di disarticolare l’intera motivazione che sostiene la decisione (tra le tante v., Sez. 6, 8 luglio 2010, n. 29263, Cavanna; Sez. 4, 16 dicembre 2009, n. 3360, Mutti; Sez. 2, 1 ottobre 2008, n. 38800, P.G. in proc. Gagliardo; Sez. 6, 15 marzo 2006, n. 10951, Casula).

Nella specie, il travisamento denunciato non riguarda prove dichiarative decisive, in grado di mettere in crisi l’intero tessuto argomentativo della sentenza, ma appare rivolto ad offrire una lettura alternativa e diversa rispetto a quella che i giudici di secondo grado hanno fatto di queste dichiarazioni, operazione non consentita nel giudizio di legittimità. 7.3. – Infine, per quanto concerne il motivo con cui il difensore del Comune di Campofiorito contesta la qualificazione della condotta tenuta dall’imputato come appropriazione indebita, si osserva che correttamente la sentenza impugnata ha escluso il reato di peculato, ritenendo che il denaro che Sa. ha dato al M. fosse stato materialmente depositato per pura comodità presso di lui, senza alcuna destinazione specifica e definitiva. In altri termini, si è trattato, nella ricostruzione contenuta in sentenza, di un deposito di "mera comodità" di somme di denaro che non ha attribuito valore di pubblicità alle somme stesse, in quanto non sono entrate nel patrimonio o nella disponibilità della amministrazione pubblica, dal momento che il privato ne avrebbe potuto chiedere la restituzione in ogni momento. Il rapporto è intercorso tra le due persone fisiche, mentre l’amministrazione è rimasta del tutto estranea all’accordo intervenuto tra i due, restando irrilevante la circostanza che uno dei soggetti fosse un pubblico ufficiale.

7.4. – Infondato è anche il motivo con cui il Comune ricorrente lamenta la mancata condanna dell’imputato alla rifusione delle spese del giudizio di appello in favore della parte civile, non essendo state revocate le statuizioni civili riconosciute dal primo giudice in relazione alla originaria contestazione di peculato e, inoltre, potendo la condanna essere giustificata anche in relazione alla ritenuta affermazione di responsabilità per il reato di appropriazione indebita aggravato dall’art. 61 c.p., n. 11.

Deve ritenersi che correttamente la Corte d’appello non ha posto alcuna statuizione civile a favore del Comune di Campofiorito a seguito della diversa qualificazione dei fatti contestati al capo B) della imputazione, in quanto il reato di appropriazione indebita attribuito al M. è stato posto in essere esclusivamente ai danni di privati e l’aggravante contestata riguarda una circostanza della condotta dell’imputato – l’avere abusato delle relazioni d’ufficio -, ma con riferimento ai suoi rapporti con la vittima dell’appropriazione stessa. In altri termini, le relazioni d’ufficio hanno riguardato un terzo e nessun danno diretto da reato è configurabile per l’amministrazione comunale.

Ne consegue che le statuizioni civili che il primo giudice aveva posto a carico dell’imputato per il reato di peculato sono da ritenere implicitamente revocate a seguito della diversa qualificazione giuridica del fatto.

8. – All’integrale rigetto del ricorso proposto dal Comune di Campofiorito consegue, per il principio della soccombenza, la sua condanna al pagamento delle spese processuali; condanna che non viene disposta nei confronti delle altre parti civili ricorrenti, perchè il loro ricorso è stato accolto, sebbene per un unico motivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio in ordine al reato di appropriazione indebita aggravata (capo B) perchè estinto per prescrizione;

annulla le statuizioni civili concernenti il predetto reato, nonchè l’omessa condanna di G.F. al pagamento delle spese processuali dipendenti dal reato di abuso d’ufficio in favore di M. e S.R. e rinvia per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello;

rigetta nel resto i ricorsi e condanna la parte civile, Comune di Campofiorito, al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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